Dossier

Un viaggio nel sistema solare. Parte prima

Alla ricerca della vita

L’ipotesi dell’esistenza di una qualche forma di vita su Marte ha affascinato intere generazioni, al punto che alcune missioni automatiche dirette al pianeta rosso hanno avuto, tra gli altri, lo scopo di sbarcare su Marte proprio per verificare tale possibilità.

Senza escludere che tale obiettivo sia stato spesso usato in modo strumentale per ottenere con maggiore facilità e rapidità finanziamenti e consenso, non vi è però dubbio che alcuni esperimenti scientifici sono stati davvero condotti in questa direzione. A metà degli anni ’70, sulla scia dei successi raggiunti dalle sonde Mariner e dai continui insuccessi sovietici nella corsa al pianeta rosso, la NASA tentò un’impresa senza precedenti: due navicelle, chiamate Viking, avrebbero tentato la discesa sul pianeta portando con sé una camera stereoscopica e diversi strumenti scientifici fra cui un mini-laboratorio biologico. Nel frattempo le navicelle rimaste in orbita – i Viking Orbiter – avrebbero scrutato il pianeta ottenendo immagini con una risoluzione a quei tempi senza precedenti, in grado senza ombra di dubbio di scoprire la presenza di un’eventuale civiltà. Ma gli Orbiter non rilevarono nulla che potesse far pensare a qualcosa di artificiale. Entrambe le navicelle conseguirono comunque un successo straordinario: la prima, il Viking 1, atterrò il 20 luglio 1976 nella piana di Chryse Planitia, a 22,5° di latitudine Nord e la seconda, il Viking 2, ammartò all’inizio di settembre su Utopia Planitia, a circa 7.000 Km di distanza dalla prima, in un punto situato a 48° di latitudine Nord. Entrambe funzionarono per qualche anno ed eseguirono diversi rilievi fra cui quello più atteso era il prelievo, tramite un braccio meccanico robotizzato, di una piccola porzione di terreno da analizzare in loco tramite il mini laboratorio biologico. I campioni vennero sottoposti a tre tipi di esperimenti per verificare l’eventuale presenza di microrganismi nel suolo marziano.

Nessuno dei tre esperimenti fu però in grado di dare una risposta definitiva; i risultati furono contradditori e, dopo un primo momento di euforia in cui si pensò di aver davvero trovato prova dell’esistenza di vita microscopica, una riconsiderazione dei risultati portò alla conclusione che le particolarità chimico-fisiche del suolo marziano (in cui abbondano ossidi di ferro) spiegavano i risultati ottenuti anche senza supporre l’intervento di forme di vita microscopica.

Se, dunque, per forme macroscopiche la partita sembra persa in partenza a causa di diversi fattori, fra cui la mancanza di acqua liquida, di un’atmosfera consistente e di uno strato di ozono in grado di proteggere dai raggi ultravioletti, per forme di vita più semplici la questione potrebbe essere ancora aperta.

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