Dossier

Un viaggio nel sistema solare. Parte prima

La presenza dell'acqua e il meteorite della discordia

Periodicamente il dibattito sulla possibile presenza della vita su Marte si riapre scatenando polemiche anche aspre fra gli scienziati. Due sono soprattutto le notizie che, negli ultimi anni, sono comparse sui mass-media, anche in modo ricorrente, e che hanno alimentato le discussioni: la presenza dell’acqua su Marte e il ritrovamento di tracce lasciate da micro-batteri fossili in un meteorite proveniente dal pianeta rosso.

Quanto all’acqua numerosissime immagini, riprese dalle varie sonde americane e sovietiche che hanno sorvolato il pianeta, hanno evidenziato la presenza di ciò che rassomiglia fortemente a sinuosi letti di corsi d’acqua ormai prosciugati. L’interpretazione più accreditata, anche se non manca chi ritiene si tratti soltanto di canali di scorrimento della lava, è che si tratti davvero di vecchi fiumi e mari, testimoni di un tempo remoto in cui le condizioni ambientali del pianeta erano drasticamente diverse e permettevano la presenza dell’acqua liquida in superficie. Con il passare del tempo Marte divenne però arido soprattutto a causa della sua bassa gravità (incapace di trattenere un’atmosfera di una certa consistenza) e della bassa temperatura; parte dell’acqua andò persa nello spazio e parte ghiacciò, mescolandosi alla roccia e andando a costituire uno strato di permafrost nel sottosuolo marziano.

Nel luglio del 1997 la sonda Mars Pathfinder, scesa al suolo nella zona chiamata Ares Vallis, trovò indizi della presenza di rocce di origine sedimentaria (e quindi formatesi in presenza dell’acqua) e nella prima parte del 2002 l’effettiva esistenza dell’acqua nel sottosuolo di Marte venne confermata da una scoperta della sonda orbitante Mars Odissey. A voler essere pignoli la Mars Odissey rilevò la presenza di idrogeno nel terreno già a partire dagli strati superficiali, ma non si capisce a cosa esso possa essere legato se non all’ossigeno per formare la molecola dell’acqua. Su questa questione, pertanto, le polemiche sono destinate a placarsi, o quantomeno a concentrarsi sulla possibilità che l’acqua possa scorrere anche in superficie, magari in modo occasionale e non permanente, come alcune immagini riprese da un’altra sonda orbitante, la Mars Global Surveyor, potrebbero far supporre.

meteorite basaltico trovato in Antartide e proveniente probabilmente da Marte La seconda questione riguarda invece il ritrovamento di un meteorite in Antartide nel 1984 in una zona chiamata Alan Hills, e per questo contraddistinto dalla sigla ALH84001, di cui si sospetta fortemente la provenienza marziana. Al suo interno sono stati infatti rinvenuti dei gas intrappolati in sferule vetrose, la cui composizione è molto simile a quella dell’atmosfera marziana.

Ma all’interno di ALH84001 è stato anche rinvenuto qualcos’altro: nell’agosto del 1996, David McKay, un ricercatore del Johnson Space Center, annunciò di avervi ritrovato tracce di una presunta attività biologica, forse riconducibile alla presenza di batteri marziani fossili. La roccia contiene infatti degli idrocarburi aromatici policiclici, sostanze che si possono formare per via inorganica ma anche per via organica. Questa fu la strada privilegiata dal gruppo di McKay perché vennero rinvenuti anche cristalli di magnetite e altri composti del ferro, sottoprodotti dell’attività di certi batteri. Inoltre la presenza di strutture ovoidali leggermente allungate simili a piccoli vermicelli fece proprio pensare a batteri fossili, benché le loro dimensioni fossero decisamente inferiori a quelle di qualsiasi consimile terrestre. La questione è rimasta aperta e da allora analisi, controanalisi, conferme e smentite si sono succedute a un ritmo frenetico.

Un altro capitolo viene scritto nel corso del 2001 quando Imre Friedman, della Florida State University, ritenne di aver scoperto, per mezzo di un nuovo microscopio elettronico, che i famosi cristalli di magnetite formano una catena, proprio come ci si aspetterebbe nel caso in cui la loro origine derivasse da un’attività biologica di qualche tipo. Addirittura Friedman affermò di aver intravisto segni di una membrana fossile che avvolgerebbe tale catena, proprio come succederebbe con i batteri terrestri che producono la magnetite.

Gli scettici però non si danno ancora per vinti e, se da un lato chiamano in causa l’assenza di una prova indiscutibile, dall’altro insinuano la possibilità che questi nanobatteri siano “nostrani”, infiltratisi in qualche modo nei recessi del meteorite, o siano strutture causate dalla preparazione del campione da sottoporre all’analisi. Niente di definitivo, quindi, soltanto un altro tassello in più.

E la saga continua anche se una riflessione si impone, al di là della cronaca degli eventi. Negli ultimi anni le notizie che hanno riguardato la vita su Marte, ogni volta propagandate come sensazionali, a conti fatti si sono rivelate ripetitive e, particolare da non trascurare, sono state date in pasto alla stampa in coincidenza con il varo di nuove missioni automatiche. Al primo annuncio del 1996, ad esempio, ha fatto seguito il lancio della Mars Pathfinder, atterrata con successo il 4 luglio di un anno dopo, non a caso proprio nel giorno della festa dell’indipendenza. Nel corso del 2000 la notizia della possibile presenza di acqua liquida sulla superficie di Marte a seguito delle osservazioni compiute dalla Mars Global Surveyor seguì abbastanza da vicino i disastri delle sonde Mars Climate Orbiter e Mars Polar Lander, perse dalla NASA in circostanze assai sfortunate. Mentre la notizia della scoperta di Friedman anticipò di pochissimo il lancio della Mars Odissey, avvenuto il 7 aprile del 2001. Solo coincidenze? Forse sì.

Ma quando ci sono in ballo milioni di dollari a missione vale forse la pena di spendere due lire in dietrologia, vista anche l’importanza che riveste la comunicazione nell’attività degli enti di ricerca statunitensi. In definitiva, qualche perplessità sull’effettiva valenza di queste scoperte sembra legittima. E non tanto sull’attendibilità delle ricerche, quanto, soprattutto, sull’enfasi e sul risalto che viene dato ogni volta a questo argomento. Se va riconosciuto che l’ipotesi di aver individuato tracce di batteri fossili in un meteorite marziano non è del tutto campata per aria, è anche vero che permangono pochi dubbi sull’uso strumentale che la NASA sta facendo di questa presunta scoperta. Del resto tutto fa supporre che la manfrina continuerà anche nei prossimi anni, almeno fino a quando qualche nostro inviato, sonda o essere umano, non avrà acquisito la capacità di andare a controllare direttamente. Magari proprio per mezzo di una missione della NASA.

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