Dossier

La Stazione Spaziale Internazionale

La Iss e il caso

rischi legati alla costruzione

Un centinaio di tasselli da incastrare gli uni con gli altri. Trentatre missioni di Shuttle statunitensi e 12 di Proton russi per la costruzione in orbita del più grande castello orbitante costruito dall'uomo, un sogno orbitante di circa 450 tonnellate. E in più le missioni delle navicelle russe Soyuz, per ora le uniche a garantire all'equipaggio della ISS un rientro sulla Terra nel caso sia necessario abbandonare in fretta e furia la Stazione orbitante.

E poi ci sono gli altri viaggi, quelli meno illuminati dai riflettori, i viaggi senza passeggeri dei Progress russi, che scandiscono la costruzione della casa spaziale con corse regolari da Baikonour alla ISS, come treni merci che corrono nella notte, silenziosi agli occhi dell'opinione pubblica.

Shuttle e ISS

Tra Souyz e Progress sono previste altre 48 missioni, per un totale di 93.

Possibile che tutto questo avvenga senza intoppi? Possibile che tutto fili liscio, senza incidenti?

L'allarme è stato lanciato nel '98 da un'indagine di un gruppo di lavoro esterno alla NASA, il Cost Assessment and Validation Task Force (CAV), che aveva lo scopo di fare le "pulci" alla più importante agenzia spaziale della Terra.

E le pulci c'erano, grosse e in bella vista.

La ricerca, oltre a fare i conti nelle tasche dell'ente spaziale statunitense, faceva notare che la NASA non si era preoccupata di formulare una minima valutazione dei rischi nel corso della costruzione della ISS. E non si parla di incidenti disastrosi, ma anche di semplici intoppi che in un'operazione senza precedenti come la costruzione della ISS sono da mettere in conto, perché "(…) la complessità globale e lo scopo dell'impresa è oltre l'attuale esperienza della NASA e dei suoi partner" ("The overall complexity and scope of this effort is beyond the current experience base of NASA and the International Partners").

In effetti, l'unica agenzia spaziale che ha un'esperienza significativa nella costruzione di una vera e propria stazione orbitante è la Rosaviakosmos, l'ente spaziale russo. Un'esperienza accumulata grazie ai 15 anni di vita della Mir, che è stata costruita con una filosofia molto simile a quella dell'assemblaggio in orbita della ISS. E tuttavia, senza niente togliere a questo glorioso progetto, la complessita della Mir è di gran lunga inferiore a quella della ISS.

Alcuni semplici dati per rendersene conto.

La costruzione della Mir inizia nel 1986 con il lancio del modulo Core. Nel 1987 viene aggiunto il modulo Kvant 1. Nel 1989, dopo un anno di pausa, la Mir è raggiunta dal suo terzo modulo, il Kvant 2, a cui si aggiunge nel 1990 il modulo Kristall. Negli anni seguenti (1991, 1992, 1993) vengono aggiunte, una per ogni anno, alcune componenti secondarie. Nel 1994 un'altra pausa di riflessione. Nel 1995 raggiungono la stazione il modulo Spektr e un modulo che le porta in dotazione una nuovo sistema di attracco, l'anno successivo il modulo Priroda che, in sostanza, completa la Mir in modo definitivo.

In totale 6 moduli (Core, Kvant 1 e 2, Kristall, Spektr e Priroda) e pochi altri elementi secondari, come i pannelli solari, importanti ma non altrettanto complessi come quelle strutture che sono in grado di mantenere in vita un astronauta.

Mir

Nonostante la dimensione ridotta dell'impresa Mir rispetto a quella programmata per la ISS, la casa spaziale russa è stata un vero e proprio laboratorio per imprevisti e incidenti, grandi e piccoli.

I primi tre moduli, per esempio, hanno fallito tutti l'aggancio con la stazione russa al primo tentativo. E sono dovuti intervenire direttamente i cosmonauti per sbloccare la situazione. Il 1997 poi, complice anche la difficoltà finanziaria della Russia post comunista, è stato un anno di fuoco e non solo per modo di dire. Il 24 febbraio, infatti, una perdita di ossigeno provocò un piccolo incendio che i cosmonauti riuscirono a controllare e a spegnere solo dopo una decina di minuti. L'eccesso di anidride carbonica prodotta e di particelle combuste in sospensione nell'aria fece compagnia agli astronauti per diverso tempo. Una compagnia poco gradita. Il 5 marzo, poi, smise di funzionare un sistema per la produzione di ossigeno, costringendo gli abitanti della stazione a una situazione di emergenza risolta solo più di un mese dopo, il 19 aprile, con l'arrivo di un Progress automatico con una nuova scorta di cartucce.

E infine, il 25 giugno fu il giorno del primo scontro tra navicelle spaziali: una navetta Progress sfuggita al comando degli astronauti della Mir urtò violentemente contro un pannello solare, provocando un foro nella struttura della stazione, con la conseguente fuga di aria e di ossigeno. Il modulo interessato dall'incidente fu isolato dal resto della Mir e la situazione tenuta sotto controllo.

Tutto questo non certo per indurre paure o timori. Il fatto è che nello spazio non esistono operazioni di routine: la più piccola disattenzione può provocare guai e il caso è sempre pronto ad essere nemico, come ben sanno alla NASA dopo il tremendo incidente del 1986 dello Shuttle Challenger, che provocò l'atroce morte delle sette persone dell'equipaggio e, con essa, una vera e propria crisi di fiducia nell'ente spaziale stesso tra i cittadini.

È proprio per questo che appare sorprendente che la NASA, abbia rimandato l'analisi dei fattori di rischio dell'intera missione. Oppure è proprio a causa dell'esplosione del Challenger, che si è preferito adottare la tecnica dello struzzo, nascondendo la testa di fronte al pericolo?

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