Dossier

La rivoluzione culturale di Enrico Fermi

Nuove visioni del mondo: relatività e meccanica quantistica

La maturazione di Fermi segue di pari passo lo sviluppo della fisica moderna. I primi venticinque anni della sua vita, infatti, vedono la nascita di due tra le più grandi rivoluzioni concettuali nella storia della scienza: la relatività e la meccanica quantistica. Le idee alla base di queste teorie non riguardano solo la fisica, ma invadono l'intera concezione del mondo. Il loro potere innovativo è paragonabile a quello dell'invenzione della ruota, della rivoluzione copernicana, delle teorie darwiniane, della meccanica di Newton: nuovi strumenti pratici e concettuali per conoscere.

I quanti di energia di Planck

Il primo "rivoluzionario" ad aprire la carrellata di idee nuove è, ironia della storia, un conservatore: il tedesco Max Planck. La formula per l'energia in una cavità a temperatura fissata (ottima approssimazione di corpo nero) è uno degli anelli mancanti per completare le conoscenze dei fisici di fine '800. La maggiorparte dei contemporanei di Planck ritiene infatti che la fisica abbia raggiunto una sorta di "saturazione" e che nulla di profondo (se non pochi dettagli, come il corpo nero) sia rimasto da spiegare.

Max Planck Nel 1900 Planck ottiene una formula con cui può prevedere il comportamento della radiazione di corpo nero per la prima volta a tutte le frequenze. Tale comportamento era ben noto invece sperimentalmente da molto tempo. La chiave sta in due idee inedite: l'energia nella cavità non assume tutti i valori possibili tra uno iniziale e uno finale, ma è distribuita in "pacchetti" o quanti; la seconda idea è che l'energia di un quanto è proporzionale alla frequenza ν della radiazione e il coefficiente di tale proporzionalità dev'essere una nuova costante universale, oggi nota come costante di Planck (h = 6,63 10-27 erg s). L'energia di un quanto è quindi E = e solo multipli interi di E sono permessi: E, 2E, 3E, ecc. Inizialmente Planck non vede molto al di là della porta che egli stesso ha sfondato con la sua scoperta, considerata dapprima solo una trovata ingegnosa in grado di riprodurre fedelmente i dati osservati. Anzi, per anni cercherà invano di recuperare l'ipotesi dei quanti dalla fisica classica, dove l'energia e tutte le grandezze variano con continuità.

I quanti di luce di Einstein

La prima applicazione importante non legata al corpo nero della quantizzazione dell'energia viene nel 1905 da un altro tedesco, uno sconosciuto impiegato dell'ufficio brevetti di Berna: Albert Einstein. Il fisico tedesco spiega teoricamente l'effetto fotoelettrico, ma la sua idea va ben oltre e coinvolge, o meglio, travolge tutta la fisica. Einstein applica l'ipotesi dei quanti direttamente al campo elettromagnetico, le cui oscillazioni, nella visione classica di Maxwell, sono l'essenza delle onde elettromagnetiche.

Albert Einstein (1912) Einstein, a differenza di Planck, è consapevole dell'enormità che sta postulando: a una radiazione di lunghezza d'ondaλ e frequenzaν sono associati anche un impulsop = -h/λ e un'energia E = . Oltre alle usuali proprietà ondulatorie, la luce possiede quindi anche caratteristiche corpuscolari! Solo più tardi i quanti di luce di Einstein verranno chiamati fotoni. Ma la vecchia e obsoleta concezione corpuscolare della luce cara a Newton è molto lontana: le "particelle" di luce di Einstein viaggiano, appunto, alla velocità della luce. Per questo devono essere addirittura prive di massa.

La relatività ristretta

Quest'ultima bizzarra conclusione deriva dall'altro capolavoro di Einstein del suo "anno di grazia 1905": la teoria della relatività ristretta (o speciale). Le equazioni di Maxwell, mirabile sintesi formale dell'elettromagnetismo, hanno il difetto piuttosto grave di cambiare forma se le si scrive in diversi sistemi di riferimento inerziali (ovvero in moto rettilineo uniforme l'uno rispetto all'altro). Ciò significa che le leggi dell'elettromagnetismo cambiano se le si "guarda" da un sistema inerziale diverso. Non vale quindi il principio di relatività di Galileo (le leggi fisiche sono le stesse in sistemi inerziali), che si applica infatti solo alla meccanica.

Hendrick Antoon Lorentz È il danese Hendrik Antoon Lorentz a trovare "a mano", come artificio matematico, le leggi corrette di trasformazione da un sistema inerziale all'altro per sostituire le inefficaci trasformazioni galileiane. Ma, come mostrato anche da Fitzgerald, le trasformazioni di Lorentz prevedono dei fenomeni assurdi nella vita quotidiana: la contrazione delle lunghezze e la dilatazione dei tempi e non spiegano il problema dell'etere. Einstein invece, spinto solo da esigenze di semplicità, logica ferrea e onestà intellettuale, deriva le trasformazioni di Lorentz da principii primi. Non vuole rinunciare a un'idea bella e semplice come il principio di relatività, allora lo estende a tutte le leggi fisiche (ma il principio è ancora ristretto ai sistemi inerziali) e assume in più la costanza della velocità della luce e di tutte le onde elettromagnetiche, a prescindere dal moto della sorgente o dell'osservatore. La fiducia di Einstein in questi principii è totale e coerente. Egli ne accetta le conseguenze, per gli altri inconcepibili, senza troppi problemi: se le barre appaiono contratte di un fattore dipendente dalla velocità e gli intervalli temporali appaiono invece dilatati dello stesso fattore, ciò non è un paradosso, ma una semplice conseguenza degli assiomi della teoria, in cui la simultaneità di eventi perde ogni significato, se non nello stesso riferimento.

La fisica classica ritorna solo come caso particolare: quando le velocità sono piccole rispetto alla velocità della luce c. Infatti, sebbene gli effetti relativistici ci siano sempre, a qualsiasi velocità V, essi sono in genere irrilevanti visto che dipendono dal rapporto V/c, sempre estremamente piccolo nei "lentissimi" fenomeni classici e nella vita quotidiana.

Tra le altre conseguenze spettacolari della teoria, ci sarà la fin troppo celebrata formula dell'equivalenza tra massa ed energia: E = mc2, la quale stabilisce che anche a una particella ferma e non soggetta a forze è associata un'energia "di riposo".

Il moto browniano e le teorie atomiche

Non contento di aver sradicato in pochi mesi idee scontate da secoli come l'esistenza di uno spazio e un tempo assoluti e la natura ondulatoria della luce, Einstein (ancora nel 1905!) trova il tempo e il modo di concentrarsi su un altro problema: la natura del moto caotico di particelle in sospensione (moto browniano). Interpreta il fenomeno in termini di urti con le molecole del liquido, dando una svolta decisiva ai futuri sviluppi della teoria del rumore e delle fluttuazioni, ma sopratutto alle nascenti teorie atomiche.

Infatti, i modelli atomici di quel periodo sono piuttosto carenti. Uno dei più celebri (oggi di sola importanza storica) è quello di Thomson, secondo cui gli elettroni sarebbero disseminati in una distribuzione uniforme di carica positiva (modello a panettone).

L'atomo di Rutherford

Ernest Rutherford Il primo modello realistico di atomo arriva nel 1911 dall'Inghilterra: Ernest Rutherford formula l'ipotesi che la carica positiva dell'atomo sia distribuita in una regione enormemente più piccola dell'atomo stesso: il nucleo. Gli elettroni orbitano a mo' di pianeti intorno al nucleo seguendo le leggi classiche di Newton. Rutherford sa bene che è la stessa fisica classica a stabilire i limiti del suo modello. Infatti, una carica accelerata (come è un elettrone quando orbita su un'ellisse) deve perdere energia e cadere spiraleggiando sul nucleo, contro l'evidenza sperimentale della stabilità degli atomi. Il modello di Rutherford poi non spiega la presenza delle righe negli spettri.

Einstein: teorie quantistiche e principio di equivalenza

Nel frattempo, nel 1907, Einstein aveva dato un altro contributo fondamentale alle teorie quantistiche trovando una formula per il calore specifico dei solidi. La legge classica di Dulong e Petit non è in grado di prevedere quei calori specifici tendenti a zero che si misuravano a basse temperature, mentre la formula di Einstein è più generale e comprende il caso classico come limite di alta temperatura.

Ancora Einstein, ancora nel 1907, formula il principio di equivalenza e getta le basi della relatività generale, che estende il principio di relatività anche ai sistemi di riferimento non inerziali. Appare subito chiaro che una tale teoria deve essere anche una teoria della gravitazione. Il prezzo concettuale da pagare è alto: si deve abbandonare la geometria euclidea (in cui il parallelismo delle rette o il fatto che la somma degli angoli interni di un triangolo è 180° sono concetti familiari da secoli) per ammettere che la geometria dello spazio può essere non-euclidea, contro la concezione di spazio e tempo accumulatasi in più di 300 anni di fisica, almeno per quanto riguarda le grandi scale di distanza. Einstein ha già pronte le basi filosofiche e concettuali per questa rivoluzione: i primi a introdurre delle geometrie non euclidee erano stati i matematici Nikolai Ivanovich Lobachevskij e Bernhard Riemann. Mentre gli strumenti dell'analisi tensoriale, senza i quali Einstein non avrebbe potuto formalizzare la sua teoria in delle equazioni utili alla scienza, gli erano stati forniti dai matematici italiani Gregorio Ricci Curbastro e Tullio Levi Civita.

Bohr e l'atomo quantistico

Niels Bohr Anche per la visione del mondo microscopico alcuni fisici europei, lavorando indipendentemente, stanno preparando il colpo di grazia. Nel 1913 il danese Niels Bohr formula il primo modello quantistico di atomo. Gli elettroni non possono trovarsi dappertutto, ma solo a certe distanze multiple del "raggio" dell'atomo d'idrogeno. Il problema della stabilità dell'atomo di Rutherford viene provvisoriamente risolto con un'intuizione tipica dello stile di Bohr: l'atomo emette o assorbe radiazione a una frequenza ν = ΔE/h soltanto in occasione di un salto dell'elettrone da un'orbita all'altra (ΔE è il salto energetico tra le due orbite permesse), altrimenti non ci sono perdite di energia. Bohr parla infatti di stati stazionari.

Arnold Sommerfeld Dal momento che anche nell'atomo di Bohr gli elettroni si muovono su delle orbite (circolari per semplicità), è evidente che il problema della stabilità e della perdita di energia è soltanto aggirato: per quale ragione fisica gli stati dovrebbero essere stazionari? Perchè gli elettroni scambiano energia solo nei salti e non la perdono nelle loro orbite? Questa è solo una delle tante lacune della cosiddetta vecchia teoria dei quanti, fondata dai "padri" Planck, Einstein, Bohr e Arnold Sommerfeld, che lavora con Bohr alla quantizzazione dell'atomo. Eppure il modello funziona brillantemente: le righe degli spettri osservate in laboratorio corrispondono con grande precisione alle frequenze previste dalla formula di Bohr.

La relatività generale

Nel frattempo, l'instancabile Einstein procede i suoi studi alla disperata ricerca delle equazioni del campo gravitazionale. Diversamente dalla genesi fulminea e pressocché completa della relatività ristretta, stavolta il percorso di Einstein verso la teoria generale è molto più lungo e tormentato, non privo di errori e ripensamenti. Con l'aiuto del matematico Marcel Grossmann, Einstein impara il formalismo degli spazi di Riemann e del calcolo tensoriale di Ricci e Levi Civita. Solo grazie a questo linguaggio matematico, nel 1915 Einstein può estendere il principio di relatività a tutti i sistemi di riferimento. Le equazioni del campo gravitazionale corrispondono a uno scenario inedito e inaudito: lo spazio-tempo (concetto emerso già nella teoria ristretta, grazie anche all'opera del matematico Hermann Minkowski) è ora un continuo quadridimensionale non-euclideo (se non in piccole regioni) e la geometria è stabilita dalla particolare distribuzione della materia-energia. Anche una forma di pura energia è sorgente di campo gravitazionale e modifica lo spazio-tempo circostante!

La meccanica matriciale

Siamo quindi nel 1915, e intanto sul fronte della fisica atomica le cose non vanno altrettanto bene. La fisica classica viene messa ripetutamente in crisi dagli esperimenti, mentre i calcoli della vecchia teoria dei quanti sono sempre più insoddisfacenti. Dovranno passare circa dieci anni prima di sbrogliare la matassa e di inserire la vecchia teoria dei quanti in uno schema più completo e rigoroso.

Fermi, Heisenberg, Pauli I primi a realizzare questo compito sono dei ragazzi coetanei di Fermi: Werner Heisenberg, Wolfgang Pauli, Pascual Jordan, e il loro maestro Max Born. La spinta verso una meccanica quantistica completa viene soprattutto da Heisenberg, il quale capisce che il moto degli elettroni va affrontato da un'ottica radicalmente diversa: bisogna concentrarsi esclusivamente sulle grandezze che possono essere misurate, tutto il resto non ha significato fisico. Questa linea guida lo porta nel 1925 a delle equazioni inconsuete.

Max Born È Born ad accorgersi che l'algebra soggiacente al modello di Heisenberg non è commutativa: ab non è uguale a ba. Ciò vuol dire che a e b non possono essere numeri, ma devono essere quelle tabelle di numeri che i matematici chiamano matrici. I fisici non sono abituati a questo formalismo, ma non possono negare il successo della quantenmechanik.

Pascual Jordan L'articolo in cui compare la prima meccanica quantistica completa è firmato da Heisenberg, Born e Jordan.

Il principio di Heisenberg

Werner Heisenberg Heisenberg completerà il suo capolavoro nel 1927, con le relazioni di indeterminazione che modificano il concetto di misura minando il metodo sperimentale direttamente alle fondamenta. Secondo il principio di Heisenberg non è possibile misurare con precisione arbitraria posizione e velocità di una particella. Non si tratta di un'impossibilità tecnica o tecnologica, risolvibile in un lontano futuro quando i fisici sperimentali saranno in grado di sondare l'infinitamente piccolo. È qualcosa di più profondo, è un'impossibilità di principio. Col senno di poi l'idea appare addirittura ovvia: ogni interazione che si può immaginare di fare con un sistema microscopico per misurarlo perturba inevitabilmente il sistema stesso, cambiandone irrimediabilmente lo stato. Questo non succede con gli "enormi" oggetti della fisica classica e della vita di tutti i giorni.

Le conseguenze del principio di indeterminazione di Heisenberg sono devastanti. Si può finalmente dire addio alle insoddisfacenti orbite planetarie di Rutherford, perché il concetto stesso di orbita non ha più senso. Infatti, ciò che rende unica una traiettoria, che si trova risolvendo le equazioni di Newton, è la conoscenza simultanea di posizione e velocità iniziali di una particella. Ma è proprio ciò che in meccanica quantistica non si può avere!

La meccanica ondulatoria

Louis de Broglie La storia non finisce qui, presto toccherà a un altro "protagonista" della fisica classica andare in profonda crisi: il concetto di particella. Infatti un filone di ricerche parallelo e solo inizialmente antagonista a quello della cosiddetta "scuola di Gottingen" di Heisenberg, Born e Jordan parte da un'intuizione di Louis De Broglie. Il francese fa un'ipotesi complementare a quella dei quanti di luce di Einstein e altrettanto sconvolgente: non solo la luce ha proprietà corpuscolari, ma anche la materia ha proprietà ondulatorie!

Nasce quello che si chiamerà dualismo onda-particella. La formula di base è la stessa che aveva proposto Einstein per l'impulso dei quanti di luce. De Broglie postula che una particella di impulso p abbia una lunghezza d'onda associata data da λ = h/p.

Erwin Schroedinger Nel 1926 l'austriaco Erwin Schrödinger sfrutta l'ipotesi di De Broglie per ricavare l'equazione fondamentale della dinamica quantistica: l'equazione d'onda che porta il suo nome. Molti fisici, Fermi è tra questi, tirano un sospiro di sollievo: il linguaggio di Schrödinger è quello familiare delle equazioni alle derivate parziali. Sono le sue equazioni, non quelle di Heisenberg, a diffondersi più rapidamente nella comunità scientifica. Schrödinger stesso si premura di dimostrare l'equivalenza delle due teorie. Le procedure di calcolo di Schrödinger non sono comunque meno innovative e originali: i livelli energetici degli atomi si trovano ora risolvendo un problema agli autovalori, mentre l'impulso è diventato una derivata rispetto alle coordinate.

Onde o particelle?

Ma che fine ha fatto l'elettrone, la particella per il cui moto si è creata questa nuova meccanica? È una particella o un'onda? Come si conciliano concetti come la massa e la carica elettrica, tipici delle particelle, con la lunghezza d'onda e la delocalizzazione tipici delle onde? Se due particelle sono in realtà due onde, allora possono interferire? Tempo un anno, e gli esperimenti di Davisson e Germer daranno una risposta positiva a questa domanda: sì, esiste la diffrazione degli elettroni e la loro interferenza, proprio come per le onde. È difficile da accettare, ma gli elettroni passano attraverso due fenditure ... contemporaneamente!

Ma le particelle sono proprio onde? Ormai i fisici non si stupiscono più di nulla, neanche dell'interpretazione che Born dà alla funzione d'onda: le particelle non sono delle vere onde, ci sono però delle "onde di probabilità" che possono interferire proprio come le onde meccaniche o elettromagnetiche. È ancora un'altra grossa novità, ma stavolta dietro c'è qualcosa di noto: l'indeterminazione di Heisenberg. Non è possibile sapere dove si trova una particella e seguirla nella sua traiettoria (non esiste più alcuna traiettoria); né si può sperare di trovarla in un determinato punto (la probabilità è zero). Ci si deve accontentare della probabilità di avere la particella in un certo volume dello spazio. Quanto al passaggio simultaneo dell'elettrone in due fenditure, la spiegazione è semplice ed elegante, una volta accettato di rinunciare alla visione classica del mondo: l'elettrone "vive" delocalizzato in una sovrapposizione di stati e finché non si sceglie un suo stato con una misura, l'elettrone ha una certa probabilità di passare in entrambe. Una versione suggestiva di questo principio è quella della celebre metafora del gatto di Schrödinger.

La cosiddetta interpretazione di Copenhagen ha tra i suoi uomini simbolo uno dei padri fondatori della teoria dei quanti: Niels Bohr. Il suo principio di complementarità afferma che il comportamento particellare è solo una delle due essenze complementari, assieme a quello ondulatorio, che la Natura non ci mostra mai contemporaneamente.

La teoria di Dirac

Paul Audrien Maurice Dirac Nel 1925 c'è addirittura una terza versione della meccanica quantistica, più rigorosa e assiomatica, pubblicata dall'inglese Paul Audrien Maurice Dirac. L'opera di Dirac dà alla meccanica quantistica la veste matematica e concettuale che unifica la visione matriciale e ondulatoria, ed è ancora oggi insegnata nelle università. Dirac estende poi alla fisica quantistica le dovute correzioni della relatività, creando nel 1928 la teoria quantistica relativistica che prevede l'esistenza dello spin (inserito "a mano" nella teoria non relativistica come grado di libertà aggiuntivo), e delle antiparticelle.

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