Dossier

La rivoluzione culturale di Enrico Fermi

Fermi a via Panisperna: un modo diverso di pensare e di insegnare

Orso Mario Corbino Negli anni '20 c'è a Roma uno dei pochi personaggi del mondo accademico italiano in grado di seguire, sia pure da lontano e senza contributi diretti, il grande fermento che stava portando alla "nuova fisica": è Orso Mario Corbino, il direttore dell'Istituto di Fisica di via Panisperna. Influente personalità in ambito istituzionale e industriale, Corbino è troppo preso da impegni politici per stare nel "giro" della ricerca, ma il suo formidabile fiuto per la fisica gli consente di rimanere abbastanza aggiornato.

Il direttore ha ben chiaro il quadro dei pochi fisici validi in Italia: conosciuto Fermi, non tarda a scoprirne il genio e capisce subito che deve trovare il modo di tenerlo a Roma. Sa bene che non gli capiterà facilmente un altro fenomeno come Fermi e che mentre in Europa i fisici teorici stanno cambiando la concezione stessa della realtà fisica, nel Paese dove con Galileo tutto era cominciato neanche esiste la cattedra di fisica teorica. Affiancandogli poi un fisico sperimentale, avrebbe potuto creare il nucleo di un'equipe di prima classe per il rilancio del suo istituto e della fisica italiana. Uno sperimentale di tale livello esiste, pronto allo scopo: Franco Rasetti.

Amaldi, Rasetti, Segre' Nel giro di pochi anni a partire dal primo incontro con Fermi (avvenuto nel 1922) e dopo che questi avrà frequentato ambienti più attivi come Gottingen e Leiden (grazie a borse di studio ottenute col suo appoggio) Corbino realizza il suo grande progetto: nel 1926, dopo qualche esperienza accademica a Roma e Firenze, Fermi è il primo professore di Fisica Teorica in Italia. Il concorso, inutile dirlo, è solo una formalità per Fermi che a 25 anni è ormai un'autorità mondiale grazie al lavoro sulla statistica quantica. Rasetti è chiamato come assistente di Corbino e nel 1930 avrà la cattedra di Spettroscopia. Naturalmente due persone, sia pure di grande valore, non bastano. Allora Corbino, che insegna Fisica alla facoltà di Ingegneria, continua la sua Giuseppe Occhialiniopera di "reclutamento" tra i suoi studenti, cercando qualcuno che volesse cambiare corso per cogliere l'irripetibile opportunità di studiare con Fermi.

Ettore Majorana Tre ragazzi iscritti a Ingegneria capiscono di potersi meglio realizzare professionalmente come fisici: Emilio Segrè, Edoardo Amaldi ed Ettore Majorana in tempi diversi passeranno a Fisica. Sono i primi "ragazzi di via Panisperna" o "ragazzi di Corbino", i fondatori della scuola di fisica di Roma, tuttora esistente e prestigiosa grazie a loro, nonostante la cronica "fuga dei cervelli" che, iniziata proprio da loro, affligge ancora oggi la ricerca italiana.

In seguito si sarebbero aggiunti in qualità di studenti, collaboratori o visitatori, tanti altri futuri personaggi di primo piano del mondo della fisica: Oscar D'Agostino (chimico), Bruno Pontecorvo, Giulio Racah, Bruno Ferretti, Gian Carlo Wick, Mario Ageno, Ugo Fano, Giovanni Gentile jr, Gilberto Bernardini, Enrico Persico, Bruno Rossi, Giuseppe Occhialini e altri ancora. Quando la fama della scuola di Roma si diffonde anche all'estero, arrivano in visita o per brevi periodi di studio molti fisici stranieri: Hans Bethe, George Placzek, Felix Bloch, Rudolf Peierls, Edward Teller, Sam Goudsmith, Eugene Feenberg.

Una volta presa la cattedra, Fermi può finalmente trasmettere a degli studenti il suo personalissimo stile di apprendimento, introducendo dei metodi tuttora diffusi nelle università: rompe con la tradizione della vecchia fisica matematica insegnando come ottenere i risultati con argomenti di fisica, di plausibilità e di valutazione degli ordini di grandezza, quasi nascondendo la sua profonda conoscenza della matematica. Per la prima volta qualcuno non spiega ciò che la fisica matematica aveva prodotto nei secoli precedenti, ma cosa la fisica sta sfornando in quegli stessi anni. Così fa l'amico Persico a Firenze (dove nasce un'altra prestigiosa scuola di fisica diretta da Antonio Garbasso), così faranno Bruno Ferretti e tutti gli altri suoi successori alla cattedra di Fisica Teorica a Roma, così farà Ettore Majorana a Napoli, così si cerca di fare oggi.

L'atmosfera dell'Istituto e i metodi informali del maestro-amico Fermi sono ben descritti dalle parole di Rasetti: "La personalità unica di Fermi, la poca differenza di età fra docenti e discepoli, l'affinità negli interessi scientifici e persino nelle ricreazioni al di fuori dell'attività universitaria, creavano tra i membri dell'Istituto un'amicizia personale e un affiatamento che raramente hanno legato un gruppo di ricercatori. Nulla vi era di formale nel modo in cui Fermi ci insegnava le teorie fisiche più recenti, prima di tutte la nuova meccanica quantistica [...] Si tenevano riunioni che si potrebbero chiamare seminari, ma senza alcun orario o altro schema prestabilito, su argomenti suggeriti sul momento da una domanda che uno di noi faceva a Fermi, o da qualche risultato sperimentale che avevamo ottenuto e che si trattava di interpretare, o infine da un problema che Fermi stava studiando o che aveva risolto o che cercava di risolvere [...] Fermi procedeva [...] col suo passo non troppo rapido ma costante, non accelerando nei passaggi facili e neppure rallentando sensibilmente davanti a[lle] difficoltà [...] Spesso non ci accorgevamo al momento se Fermi stesse esponendo teorie già a lui o ad altri ben note, o se stessimo assistendo ad un nuovo passo che egli faceva [...] Abbiamo così veduto più volte nascere una nuova teoria, che Fermi sviluppava, per così dire, pensando ad alta voce".

Rasetti, Fermi, Segrè Un simile approccio didattico sarebbe oggi improponibile in Italia, soprattutto per l'assenza di un "Fermi" nel terzo millennio, ma anche per l'elevato numero di studenti che frequentano oggi gli istituti di fisica. Il ruolo di maestro è evidente non solo nelle lezioni e nei seminari di fisica, ma anche nell'attività di laboratorio, per la quale Fermi è coadiuvato dall'insostituibile Rasetti. Ancora Rasetti ricorda come Fermi si muove in fisica sperimentale con pari competenze e dimestichezza che in fisica teorica: Fermi "amava soprattutto alternare i due tipi di attività" raggiungendo i massimi livelli in entrambe, caso rarissimo nella storia della fisica. Prosegue Rasetti: "Fermi partecipava agli esperimenti e all'interpretazione teorica dei risultati. Egli non era, né sarà mai, uno sperimentatore raffinato nelle tecniche di precisione, ma aveva un'intuizione acutissima di quali fossero gli esperimenti cruciali per risolvere un determinato problema, e andava dritto allo scopo senza curarsi di particolari inessenziali. Analogamente, nella teoria egli si avvaleva di qualunque mezzo lo portasse più direttamente al risultato, servendosi della sua padronanza dei mezzi analitici se il caso lo richiedeva, altrimenti ricorrendo a calcoli numerici, incurante di eleganze matematiche".

Fermi in laboratorio Spesso i pezzi meccanici o i circuiti elettrici del gruppo sono inadeguati. In quel caso Fermi non disdegna di andare in officina per fabbricarsi letteralmente a mano ciò che occorre, senza pretendere una precisione estrema (tipica invece di Rasetti), ma giusto il necessario per effettuare misure con un ragionevole errore sperimentale.

L'intuizione acutissima di cui parlava Rasetti è effettivamente una delle armi vincenti di Fermi. Quando vuole spiegare come sia riuscito a capire qualcosa senza apparente sforzo, quasi per giustificarsi di fronte ai compagni sconcertati dice col suo tipico sorrisetto, ma senza scomporsi troppo: "C.I.F.! Con Intuito Formidabile". Anche questo gergo inventato dà un'idea dell'atmosfera e dello spirito di gruppo creatosi a via Panisperna: l'infallibile Fermi è il "Papa"; il potente Corbino il "Padreterno"; il numero due, l'eclettico Rasetti, è il "Cardinal Vicario" (ma anche il "Venerato Maestro"); l'ipercritico Majorana è il "Grande Inquisitore"; ci sono poi il "Basilisco" Segrè, la "Divina Provvidenza" Giulio Cesare Trabacchi (che dall'Istituto Superiore di Sanità fornisce i materiali per gli esperimenti), il "Cucciolo" Amaldi; il "Sig. Nord" Lo Surdo, l'odioso e antiquato successore di Corbino (morto prematuramente nel 1937) alla direzione dell'Istituto. Segrè racconta che addirittura i ragazzi prendevano la cadenza di Fermi nel parlare e chi fosse a conoscenza di questo fatto li poteva riconoscere solo dalla parlata!

Un aspetto fondamentale nell'esperienza di Fermi è l'uso del calcolo numerico. Fermi è un fisico puro e preferirà sempre usare la fisica e non la matematica per arrivare ai risultati. Di fronte a un simile atteggiamento da parte di un fisico "normale", molti potrebbero storcere il naso. Effettivamente, la matematica è qualcosa di più per la fisica che un semplice strumento. D'altra parte però, davanti al genio fenomenologico di Fermi, non c'è fisico teorico o sperimentale che non rimanga per lo meno sconcertato dall'apparente semplicità dei suoi ragionamenti. Quando questo approccio non è possibile, o quando i calcoli sono troppo complessi per il suo inseparabile regolo calcolatore, Fermi ricorre volentieri al calcolo numerico che alla fine degli anni '20 comincia a implementarsi sulle prime calcolatrici. L'equazione di Thomas-Fermi per gli atomi a molti elettroni è uno dei primi problemi che Fermi si diverte (è la parola giusta) a risolvere in questo modo.

Enrico Fermi alla lavagna durante una lezione Pochi scienziati hanno il privilegio di essere i fondatori di una tradizione o di una scuola vincente, neanche il grande Einstein vi riuscì. Fermi invece ne ha creato addirittura due! Esporterà infatti negli Stati Uniti la "rivoluzione culturale" avviata a via Panisperna, quel modo unico di fare fisica confondendo quasi la didattica con la ricerca. L'esperienza e la maturità saranno stavolta dalla sua parte e anche a Chicago, una volta sparsa la voce del suo arrivo, accorreranno giovani da tutte le parti del mondo per studiare con il leggendario Fermi. Tra i suoi studenti più celebri, i premi Nobel Tsung Dao Lee, Chen Ning Yang, Murray Gell Mann. Il racconto di Yang ricorda molto da vicino quello di Rasetti sulla didattica di Fermi:

"Per ogni argomento aveva l'abitudine di cominciare sempre dall'inizio, faceva esempi semplici ed evitava per quanto possibile i formalismi. (Usava ripetere per scherzo che il formalismo era per 'gli alti sacerdoti'). La semplicità dei suoi ragionamenti creava l'impressione di una totale mancanza di sforzo da parte sua. Ma quest'impressione è falsa. La semplicità era il risultato di un'accurata preparazione e di una ponderata valutazione delle possibili diverse alternative di esposizione. [...] Aveva l'abitudine di riservare a un piccolo gruppo di studenti già laureati lezioni informali e non preparate in precedenza. Il gruppo si riuniva nel suo studio e lo stesso Fermi o qualcuno del gruppo proponeva un argomento specifico di discussione. Fermi allora cercava all'interno dei suoi quaderni di appunti, tutti corredati di indici accurati, per trovare le sue note sull'argomento e quindi passava all'esposizione. [...] Metteva sempre in risalto la parte più essenziale e pratica dell'argomento; la sua impostazione era quasi sempre intuitiva e geometrica più che analitica".

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