Dossier

La rivoluzione culturale di Enrico Fermi

Un ragazzo prodigio

"Ho studiato con passione la matematica perchè la considero necessaria per intraprendere lo studio della fisica, alla quale io voglio esclusivamente dedicarmi". È già molto sicuro di sé il giovane Fermi che, da completo autodidatta, ha assimilato a diciassette anni gran parte della matematica e della fisica che uno studente medio affronta in diversi anni di studio universitario.

Fermi adolescente Ancora più piccolo, praticamente un ragazzino, chiacchierando con un amico di famiglia, l'ingegner Adolfo Amidei, Enrico pone domande con ingenuità e acume veramente disarmanti: "È vero che esiste un ramo della geometria in cui senza ricorrere alla nozione di misura si trovano importanti proprietà geometriche?" (si riferisce alla geometria proiettiva). Una delle cose più sconcertanti è la memoria di Enrico: al ragazzo basta leggere un libro una sola volta, lo ricorda e lo assimila, giudicando da solo quali argomenti saltare senza compromettere la comprensione del testo. E quando afferma: "Non ho incontrato nessuna difficoltà", dice sul serio, spesso ha svolto anche tutti gli esercizi.

Segré - Persico - Fermi Il compagno di scuola Enrico Persico ricorda il suo amico come un ragazzo fuori del comune: "Quando lo incontrai per la prima volta aveva quattordici anni; mi accorsi con meraviglia di avere un compagno di scuola non soltanto 'bravo in scienze', come si diceva, ma anche dotato di un'intelligenza completamente diversa [...] Prendemmo l'abitudine di fare lunghe passeggiate da un capo all'altro di Roma, parlando di argomenti di ogni genere con l'irruenza tipica della gioventù. Ma in queste conversazioni di adolescenti Enrico introduceva una precisione d'idee, una sicurezza di sé e un'originalità che non cessavano di stupirmi. Inoltre in matematica e fisica dimostrava di conoscere molti argomenti non compresi nei nostri studi. Conosceva questi argomenti non in modo scolastico, ma in maniera tale da potersene servire con la massima abilità e consapevolezza. Già allora per lui conoscere un teorema o una legge scientifica significava soprattutto conoscere il modo di servirsene".

Ansioso di capire in fretta i fenomeni che osserva, il giovane Fermi costruisce da solo rudimentali modelli teorici. Avrebbe conservato anche da adulto questa abitudine di riottenere risultati noti partendo da poche premesse e sviluppando poi autonomamente il discorso, per esercizio o per puro divertimento intellettuale. Uno dei problemi che più lo affascinano è il moto della trottola. Amidei gli spiega che avrebbe capito meglio la fisica che c'è dietro se avesse studiato la meccanica razionale che, a sua volta, richiede una certa dimestichezza con l'analisi matematica. Lo indirizza quindi verso testi di matematica più aggiornati e recenti rispetto a quelli che Enrico si diverte a sfogliare e talvolta a comprare alle bancarelle dell'usato.

Adolfo Amidei ha visto giusto, prima ancora dei genitori: dopo averli convinti a iscrivere Enrico all'università di Pisa per partecipare anche al concorso di ammissione alla prestigiosa Scuola Normale Superiore, Fermi entra alla Normale alla sua maniera. I commissari che devono giudicare il suo compito non possono crederci: come può un ragazzo di diciassette anni svolgere il tema "Caratteri distintivi dei suoni e loro cause" scrivendo l'equazione differenziale alle derivate parziali che descrive una verga vibrante e sviluppandola in serie di Fourier? Una simile argomentazione sarebbe forse stata sufficiente per uscire dalla scuola con il diploma, piuttosto che per entrarvi! Avranno la conferma diretta della maestria del ragazzo convocandolo di persona.

La Normale ha così un nuovo allievo: è un esperto conoscitore della fisica e della matematica, già in grado di insegnare. È il 1918, la rivoluzione culturale di Enrico Fermi è iniziata.

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