Dossier

L'Istituto di Ricerca e Cura del Cancro di Candiolo

Intervista al Direttore Scientifico dell'IRCC: Prof. Paolo Maria Comoglio

Comoglio Paolo MariaLa strategia di un centro di ricerca traslazionale, dove la ricerca di base e clinica si integrano, quali vantaggi porta?

Il cancro, lo sappiamo da pochi anni, è una malattia genetica somatica, cioè una malattia genetica che colpisce le cellule. E’ ereditaria nel 5% dei casi e nel 95% è frutto di una mutazione che colpisce il genoma di una cellula adulta. Se non si è in grado di isolare le cellule, sequenziare il DNA, non si può sapere qual è la driving force che sostiene la malattia del paziente. Quindi, dal punto di vista della clinica la risposta è molto semplice. Dal punto di vista della ricerca, se non si hanno i pazienti, non si può andare a vedere qual è la cellula che ha la mutazione e quale sia la mutazione. In altre parole, è essenziale lavorare interfacciando la biologia molecolare e la medicina. Più che fornire dei vantaggi è un MUST, un requisito essenziale.

Come si integra Candiolo nelle strutture oncologiche piemontesi? E’ un punto di riferimento, ci sono collaborazioni scientifiche con gli altri centri?

Sì ci sono, però nella scienza degli anni 2000 non possiamo avere la cinta daziaria come perimetro delle collaborazioni, quindi credo che Candiolo collabori di più con i centri di ricerca italiani, europei, americani che con i centri di ricerca in Piemonte, non per cattiveria ma per ragioni pratiche.

-Può citarne alcuni?

L’elenco è molto lungo. Ad esempio, siamo sede di un laboratorio della Harvard University Medical School, sostanzialmente le grandi strutture di oncologia in Europa e nel mondo sono interconnesse. Con questo, ci tengo a sottolineare, noi non abbiamo la puzza sotto il naso, per cui i piccoli centri ospedalieri non ci interessano, al contrario, vorremmo instaurare e mantenere rapporti laddove è molto utile per la casistica e l’esperienza. Noi possiamo essere utili all’ospedale fornendogli le linee guida che vengono fuori dai clinical trial. Perché il trattamento in campo oncologico segue l’informazione con un ritardo di 5 anni e qualche volta 10.

Com’è strutturata la ricerca di base al Centro? Alla nascita di Candiolo si è pensato che il filone di ricerca potesse essere questo?

Assolutamente sì. Candiolo è uno dei pochi esempi dove la progettualità ha preceduto l’edilizia. C’è stato uno studio su cosa fare, c’è stata un’esperienza durata qualche anno di un istituto senza muri, cioè gruppi di persone che lavoravano interconnessi ma in istituti diversi.

Noi non vogliamo occuparci di tutto, non siamo un general hospital, abbiamo identificato un argomento di ricerca traslazionale clinica che è l’invasività e la metastasi. Ci si ammala di cancro, ma si muore di metastasi. Abbiamo studiato la competizione internazionale ed abbiamo visto che c’era una nicchia, proprio su questi argomenti.

C’interessiamo di un gene, Met, che in questo momento è il quarto target terapeutico in linea di importanza per lo studio del cancro. E’ coinvolto nel controllo dell’invasività e delle metastasi e serve per progettare farmaci di seconda generazione, cioè non tossici, inibitori, i così detti "farmaci mirati".

Per quanto riguarda la struttura della ricerca clinica invece?

La ricerca clinica è nata dopo, è decollata fortunatamente poco prima del collasso dell’ospedale Mauriziano quindi abbiamo sperimentato momenti di grande difficoltà. Abbiamo fatto dei sacrifici tranne che sull’eccellenza nella cura dei pazienti. Il momento è assolutamente superato perché negli ultimi 2 o 3 anni la ricerca clinica cresce con un incremento, in termine di citazioni e pubblicazioni, superiore a quello della ricerca di base. Va detto però che la ricerca di base è “steady state” la nostra produttività scientifica a livello di base è satura in questo momento, mentre quella clinica è ancora in crescita.

Quali sono i caratteri d’eccellenza del Centro?

Nella ricerca scientifica non si corre per chi arriva prima, quindi non è che Candiolo sia all’avanguardia rispetto ad altri centri. Candiolo studia un problema che è suo, è il proprietario diciamo.

Quindi che non si studia da nessun altra parte?

No, si studia in tutte le parti del mondo. Però è un problema nato qui, dove si mantiene la leadership.

E su Met, ci lavorano almeno 70 persone nell’Istituto direttamente ed altre 130 indirettamente. E se a qualcuno in Giappone o in America viene in mente di studiare qualcosa sul gene Met corre il rischio che noi lo abbiamo già fatto, se non altro per capacità organizzative.

Suppongo che sia partita da lei l’idea di studiare Met.

No, dalla prof.ssa Silvia Giordano che ci ha inciampato e picchiato il naso. Sa, come dice Pasteur “la fortuna aiuta le menti preparate”. Tutti gli scienziati guardano più o meno le stesse cose, ma c’è qualcuno che vede. Quest’anno Silvia Giordano è diventata professore ordinario e Met compie 18 anni. Era una studentessa, quando lo ha scoperto.

Ha potuto scoprire Met grazie ad una tecnologia sviluppata qui: gli anticorpi anti-fosfotirosina. C’è sempre una scoperta tecnologica che precede una scoperta scientifica.

Cosa ha visto la professoressa Giordano che le ha fatto captare qualcosa…?

La Giordano ha fatto uno screening mirato. Si era scoperto che l’attività enzimaticatirosino-cinasica è ristretta a molecole che hanno funzione di controllo. Il problema del cancro è che la terapia attuale inibisce delle funzioni housekeeper cioè è come se gli togliesse la corrente, o è citotossica o comunque è una inibizione aspecifica di funzioni essenziali alla vita, che quindi colpisce le cellule del cancro ma colpisce anche tutte le altre.

Quindi si potrebbero integrare con una terapia con i così detti farmaci mirati?

Sì, ma i farmaci mirati sono ancora abbastanza pochi, hanno dei costi spaventosi -Nell’ordine di quanto? Un milione delle vecchie lire a somministrazione. Un paziente che prende l’herceptin fa 500-700 euro a dose e la prende una volta ogni qualche giorno. E’ a carico del SSN( Servizio Sanitario Nazionale), il problema è che spesso viene data a sproposito, perché se uno non ha la mutazione del gene che è inibito dall’herceptin, ad esempio, il farmaco non ha nessun beneficio. -Questo perché appunto il cancro è una malattia genetica e quindi è diversa da individuo ad individuo? Da individuo ad individuo, ad esempio un cancro alla vescica può essere causato da una mutazione del gene ras, da amplificazione del gene mic o da mutazione di met. Sono tre malattie completamente diverse. I farmaci anti ras curano i pazienti con la mutazione del gene ras, e così via. Però quello che sto dicendo come una cosa naturalissima, non è passato. -Non è passato dai clinici?Non è passato dai clinici.

CAndiolo4

Quali risultati ha portato lo studio di met in questi 18 anni e quali sono le prospettive?

Allora, ha portato alla dimostrazione che è un gene importantissimo che sostiene un programma che si chiama crescita invasiva, che questo programma non è un errore della natura, ma è un programma fisiologico che usa le cellule per rigenerare le ferite, per l’ossificazione, per tutto quello che riguarda l’invasività fisiologica.

Il sequenziamento del genoma umano è stata la chiave di volta per la ricerca in campo oncologico, quali frontiere ha reso raggiungibili?

Trovare le mutazioni responsabili del cancro, è fondamentale. Un esempio, quando si studia un farmaco inibitore dell’EGF receptor, esso funziona solo dove l’EGF-R è mutato, come ho accennato prima. Può sembrare l’uovo di Colombo, ma gli americani hanno speso milioni di dollari. Hanno trattato decine di migliaia di pazienti con questi inibitori dell’EGF-R e nel 90% dei casi i pazienti non avevano nessun giovamento ed in un 10% dei casi c’era, ed in questi casi il 100% avevano la mutazione.

E’ questa la funzione del laboratorio di onco-genomica del centro?

Si, il laboratorio di onco-genomica del centro si sta impegnando ad identificare quali sono le malattie che portano alla mutazione di Met.

Un altro filone di ricerca sono le Plexine. Può illustrarci cosa sono e la loro funzione? Ed il contributo dato dal suo team nella scoperta dei geni che le codificano?

Le plexine sono le sorelle piccole di met ed il professor Tamagnone le ha identificate: sono recettori delle semaforine per omologia strutturale. All’inizio sembrava un paradosso e poi si è scoperto che sono sub-unità dello stesso complesso recettoriale e che funzionano insieme. A questo punto altri hanno scoperto le semaforine ed hanno scoperto che inducono la migrazione, l’invasività di un tumore ed allora si è chiuso il cerchio.

La funzione, il risvolto scientifico delle plexine?

Le plexine partecipano alla generazione del segnale che controlla la crescita invasiva però, se di Met sappiamo quasi tutto, delle Plexine non sappiamo quasi nulla. Non abbiamo ancora neanche pubblicato e cominciamo a trovare adesso le loro mutazioni in alcuni tipi di cancro.

Le altre branche di ricerca del centro quali sono?

L’angiogenesi. Argomento del prof. Bussolino.

Può darne una definizione?

L’angiogenesi è un processo fisiologico in cui i tessuti che rigenerano richiamano i vasi (sanguigni) e ne fan fare di nuovi, neo-angiogenesi, cioè generazione di nuovi vasi. La sopravvivenza del tumore dipende dall’angiogenesi per cui i tumori producono dei fattori detti angiogenetici (il VEGF è il più noto) i quali si diffondono nel tessuto circostante e richiamano i vasi.

Quali sono gli studi condotti a Candiolo che stanno per avere uno sviluppo terapeutico?

Met, abbiamo 11 industrie che se ne stanno occupando. Tutte le grandi multinazionali sostanzialmente.

Laboratori biotecnologie

Si è scoperto che c’è un nesso tra i sistemi che regolano la coagulazione e la comparsa del cancro. Può illustrarci il contributo dell’Istituto in questa scoperta?

Questa è stata la scoperta più importante, per adesso, dell’Istituto, in termini di popolarità. Dal 1865 si sapeva che prima di avere il cancro i pazienti avevano disturbi nella coagulazione: si chiama la sindrome di “Trousseau" o "tromboflebite migrante”. La dottoressa Boccaccio, copertina di Nature dell’agosto dell’anno scorso, ha dimostrato anche in questo caso per serendipity e per bravura, che nei modelli animali l’attivazione dell’oncogene met e forse di altri, attiva il gene della coagulazione, in particolar modo un gene che si chiama COX-2 ed uno che si chiama PAI-1 inhibitor. L’attivazione di questi geni serve alla cellula tumorale per fare un nido di fibrina intorno al tumore. Per fare un esempio, se una persona ha un tumore nel pancreas ed esso si sta facendo un nido di fibrina intorno, indispensabile per crescere, il sistema diventa circolante e quindi vengono delle trombosi periferiche. Questo è stato studiato in modelli animali. E’ in corso un trial clinico in istituto per vedere se è vero anche nell’uomo. Ci scommetterei: uomini e topi sono simili. Met c’è nell’uomo, c’è nel topo, i geni della coagulazione sono gli stessi.

Per quanto riguarda la formazione Universitaria e le possibilità d’inserimento dei giovani ricercatori, Candiolo quali prospettive offre?

Formazione. Qui c’è tutto. L’Università, che insegna istologia, biochimica, oncologia medica. Poi abbiamo le scuole di specialità, dottorati di ricerca ed il master in Oncologia Molecolare. Noi pensiamo che l’oncologia negli anni 2000 sia una disciplina a se stante, nuova, completamente diversa.

Quindi, abbiamo organizzato con grande impegno e fatica un corso di 2 anni dove cerchiamo di trasferire queste informazioni minime alle persone che sono già specialiste in oncologia o che sono medici che lo vogliono diventare.

Cerchiamo di dare borse professionali e abbiamo un programma che credo sia unico in Europa e forse anche nel resto del mondo: i clinical researcher assistant, cioè dei medici oncologi che lavorano in corsia con gli ammalati ma sono pagati per fare ricerca. Perché la ricerca clinica è sempre fatta afterhours dai clinici. Io personalmente, ma anche il comitato scientifico dell’istituto, ritengo che la ricerca clinica sia quello che è chiamato un core business in altre parole un lavoro professionale full time. La ricerca clinica è la ricerca clinica sui malati, sui farmaci, sui sintomi, sulla diagnosi. In Italia non c’è tradizione. Essa non significa fornire i campioni al biologo molecolare dopo un intervento chirurgico, per vedere quale gene è o no attivato nel tumore asportato. La ricerca clinica è studiare i problemi clinici, vale a dire se il farmaco anti-met funziona in tutti i tumori o nei tumori che hanno met amplificato.

Tutti parlano della mancanza di soldi per la ricerca in Italia. Paradossalmente penso non sia vero, penso sia la mancanza di risorse umane, un allontanamento delle persone in gamba dalle attività di ricerca. Parlo di quella biologica e medica soprattutto. Per coloro che si dedicano professionalmente alla ricerca, ci sono un sacco di risorse, noi che siamo un istituto che di risorse ne ha, non troviamo persone qualificate.

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