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Intervista a Emilio Mello direttore dei laboratori scientifici del Centro Restauri di Venaria Reale

Laureato in Chimica, è autore di numerosi articoli scientifici, in particolare sull’applicazione di metodi chimico-fisici allo studio di manufatti di interesse storico- artistico, sul loro ambiente di conservazione e sui metodi di intervento.

Mello Emilio Laureato in Chimica, a partire dal 1975 Emilio Mello ha lavorato come ricercatore presso l'Istituto «Guido Donegani» di Novara (allora centro ricerche del Gruppo Montedison) creando, dopo qualche anno, una società dedicata ai sistemi per la conservazione e il restauro dei beni culturali, dove ha poi ricoperto diversi incarichi scientifici e gestionali. È autore di numerosi articoli scientifici, in particolare sull’applicazione di metodi chimico-fisici allo studio di manufatti di interesse storico-artistico, sul loro ambiente di conservazione e sui metodi di intervento. All’attività istituzionale ha sempre affiancato l’insegnamento universitario come professore a contratto presso le Università di Pisa, Bologna e Piemonte Orientale. Tra il 1997 e il 2001 ha coordinato la progettazione e realizzazione del sistema di conservazione dell'«Uomo venuto dal ghiaccio» (mummia del Similaun) per il nuovo Museo archeologico dell'Alto Adige a Bolzano.

Dottor Mello, al momento presso il Centro di Venaria sono attive le aree scientifiche dedicate alla diagnostica e al controllo ambientale, mentre quella di biologia è ancora in fase di allestimento. Alla base c’è una particolare scelta strategica?

Proprio così. In vista della riapertura della Reggia e della mostra inaugurale abbiamo avuto dalla Regione l’incarico di monitorare le condizioni ambientali di conservazione delle opere. Il settore degli studi biologici è altrettanto importante, ma in questa fase non rappresentava un’emergenza e ne abbiamo rinviato l’attivazione.

Cosa si intende per «controllo ambientale»?

Monitorare i parametri che caratterizzano un ambiente conservativo. Si pensi, ad esempio, alle sale della Reggia di Venaria: possono avere necessità diverse, a seconda che debbano preservare solo se stesse o anche arredi settecenteschi e altre opere, che richiedono "zone di benessere" specifiche in relazione ai materiali costitutivi. San Secondo olio su tela (1606-1608 ca) Per esempio i metalli stanno bene in ambienti abbastanza secchi, mentre sono abbastanza indifferenti alle variazioni di temperatura. Gli arredi lignei, tra cui mobili molto preziosi, hanno invece bisogno di umidità più elevata (attorno al 50-55%). Quindi, in uno stesso contesto espositivo, può essere necessario mantenere caratteristiche differenti. Per garantire queste condizioni è indispensabile allestire un accurato sistema impiantistico e di monitoraggio, per evitare che le opere siano sottoposte a shock termici e/o igrometrici. Preliminarmente abbiamo valutato quali erano le condizioni di conservazione ottimali per ciascuna opera (solo in alcuni casi avevamo già indicazioni precise di mantenimento). Oltre a temperatura e umidità, i parametri da tenere sotto controllo sono parecchi: per esempio la polverosità degli ambienti, la quantità di anidride carbonica nell’aria (strettamente connessa al numero di visitatori... ), la luminosità. In alcune sale della Reggia, ad esempio, abbiamo dovuto introdurre tende che non hanno solo una funzione estetica, ma permettono di ridurre l'irraggiamento solare e le sue eventuali conseguenze negative sulla conservazione delle opere.

Come avviene in concreto il monitoraggio?

Ci serviamo di sistemi di rilevamento che inviano tutti i dati a una centralina. Le informazioni raccolte vengono analizzate e valutate di volta in volta insieme ai tecnici impiantisti e ai conservatori che, sulla base dei dati rilevati, possono decidere se e come agire sugli impianti in modo da modificare i parametri insoddisfacenti.

L’area diagnostica dei laboratori scientifici è già molto ricca di strumentazione...

Vero, tanto più se si include l’equipaggiamento del laboratorio di imaging. In generale, ogni opera su cui si deve intervenire viene sottoposta a una prima serie di analisi non invasive, realizzate dagli stessi restauratori attraverso l’osservazione diretta e dagli esperti di imaging attraverso le varie tecniche già descritte. È un lavoro molto prezioso per orientare le successive indagini scientifiche e ridurre al minimo indispensabile il numero dei campioni da prelevare. CCR laboratorio scientifico3 Il laboratorio di imaging si é dotato recentemente anche di strumenti utili al rilievo. A fine 2007 ha infatti acquistato un laser scanner 3D che consente di ottenere un modello tridimensionale degli oggetti in studio, in modo da poterli poi gestire con programmi di computer aided design (CAD) e conservare memoria della forma in maniera molto precisa. Volendo è anche possibile registrare una serie di informazioni direttamente sul modello tridimensionale in modo da annotare con precisione, ad esempio, dove è stato fatto un prelievo, e mappare eventuali zone di alterazione. A questo sistema se ne affianca poi uno di "fotografia sferica" che permette di fare registrazioni di ambienti a 360°. All’interno di una chiesa, ad esempio, è possibile fare riprese che registrano tutto ciò che è presente sulle pareti (es. affreschi e bassorilievi, oltre agli oggetti), sul pavimento e sul soffitto, lavorando su 360°. Sono riprese molto utili quando non sia possibile fare sopralluoghi ripetuti. In pratica si tratta di una doppia ripresa: alla prima ne segue una seconda da un altro punto, in modo da poter procedere alla definizione delle distanze mediante triangolazione. È una tecnica mutuata dalla polizia scientifica, che la applica alle scene dei delitti.

Acquisterete altri strumenti scientifici?

Sì, prevediamo di acquisire altri strumenti, come la cromatografia ionica e qualche sistema raffinato di misura del colore. L'idea, in generale, è di dotarsi di una strumentazione d'avanguardia, ma “di base”, evitando cioè specialismi eccessivi, che richiedono grandi investimenti in denaro e persone. Sarebbe uno spreco inutile, dal momento che tra i soci della fondazione ci sono l'Università e il Politecnico di Torino, con cui abbiamo convenzioni specifiche.

Avete in programma anche l’assunzione di personale qualificato?

Certo. Quest'anno, grazie a un contributo di 150 mila euro della Fondazione per l’Arte della Compagnia di San Paolo, mirato a supportare l’attività dei laboratori scientifici e la formazione, sono state avviate 6 borse di studio in collaborazione con vari dipartimenti universitari. Per un settore importante come quello del legno, che richiede approfondite competenze di selvicoltura, cooperiamo con la Facoltà di Agraria a Torino. Altrettanto importante il dottorato con il Dipartimento di Fisica Sperimentale. La disponibilità di attrezzature scientifiche e di personale qualificato ci ha consentito, inoltre, di partecipare a un progetto regionale sullo studio dei sistemi di pulitura con tecnologie laser. Stiamo anche presentando un progetto assieme all'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (sezione di Torino) e al Dipartimento di Fisica Sperimentale per la messa a punto di sistemi diagnostici specifici per i beni culturali, in particolare tomografia e sistemi per radiografia digitale, oggi usati soprattutto in campo medico. Abbiamo attivato infine una borsa di studio in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Ricerca metrologica (INRIM) per studi sulla misurazione del colore: un tipo di informazione importante per registrare eventuali variazioni cromatiche, che in tempi ravvicinati possono essere minime e quindi richiedono strumenti di rilevazione molto raffinati.

Collaborate anche con Università e Istituti di altri Paesi?

Al momento le nostre collaborazioni scientifiche guardano soprattutto alle Università locali, l’Università e il Politecnico di Torino, che sono state per noi di fondamentale importanza per l’avvio dell’attività: questi Atenei, infatti, hanno messo a disposizione della nascente struttura personale formato e altamente specializzato, che attualmente è alla guida di alcuni dei laboratori del Centro. Louvre museo Tuttavia non trascuriamo le altre realtà nazionali ed europee. Abbiamo stabilito, ad esempio, un primo collegamento con i laboratori del Museo del Louvre. E poco alla volta ci organizzeremo per accedere ai programmi di ricerca comunitari. Ho assunto la direzione dei laboratori scientifici a marzo 2006: solo adesso posso contare su laboratori dotati di personale e strumenti adeguati. Consolidata la struttura e forti di una certa credibilità, possiamo anche pensare a un ruolo in ambito europeo.

Dopo l’esperienza al gruppo Montedison e sulla mummia di Similaun, il Centro di Venaria: quali sono state le difficoltà maggiori del nuovo incarico?

Ho accolto con entusiasmo la nuova sfida del Centro di Venaria ed è stata una scelta impegnativa, specie nella scelta degli strumenti per l’equipaggiamento di base, ma anche nella messa a punto dei laboratori. La loro sistemazione in una struttura moderna inserita dentro a un edificio storico ci ha procurato parecchi problemi pratici. Tipicamente, infatti, un laboratorio chimico ha bisogno di cappe aspirate, sfiati e sistemi di smaltimento che, nel nostro caso, non potevano passare attraverso i soffitti (intoccabili), ma solo attraverso i pavimenti: in parte ciò era stato previsto in fase di progettazione, ma in parte è emerso a posteriori, per cui abbiamo dovuto inventare una serie di soluzioni originali, che oggi per fortuna ci consentono di lavorare in tutta sicurezza.

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