Dossier

La storia medioevale

Fra corte e archivi: il medioevo dei funzionari

Archivi di Corte (Archivio di Stato di Torino) Nel 1820 Prospero Balbo, incaricato di una riforma, propose per l’Università la cattedra di “Paleografia e arte critica diplomatica”, affidata a Giuseppe Vernazza di Freney: ma quell’insegnamento si interruppe con la morte del docente, nel maggio del 1822. Nel 1826 fu istituita presso gli Archivi di Corte la “Scuola di paleografia”: dell'insegnamento fu incaricato Pietro Datta, medievista e funzionario degli archivi. Nel 1833 fu fondata a Torino la prima Deputazione di storia patria d'Italia. Nel 1846, infine, fu creata nell’Università la cattedra di “Storia militare d’Italia”, affidata a chi, come Ercole Ricotti, poteva trasferire nell’insegnamento le ricerche che aveva sviluppato come accademico: la denominazione della cattedra fu poi cambiata in “Storia moderna”, ma si tenga conto che, per molto tempo, sotto questo titolo si impartivano lezioni prevalentemente relative al medioevo.

La Scuola di paleografia non riuscì a incidere come avrebbe potuto: Gian Francesco Galeani Napione, allora presidente dei Regi Archivi, volle riservarla ai funzionari di Stato e ai dipendenti degli Archivi (probabilmente per essere certo di fornire strumenti solo a personaggi fedeli a lui e alla monarchia). Qualche effetto positivo tuttavia si ebbe. Perché i criteri di ammissione non furono sempre rigidi, perché aumentò il numero di studiosi in grado di affrontare i documenti medievali con criteri filologicamente perfezionati e perché, infine, era naturale che i funzionari così formati finissero per avere anche un’attività da studiosi, confluendo presto nella Deputazione di storia patria: fra i primi lo stesso Datta, che nel 1834 pubblicò un manuale di paleografia, non solo raro nel panorama editoriale di quegli anni, ma anche ispirato (come ben si vede nell’introduzione dell’autore) a un più ambizioso intento di “fare storia” attraverso i documenti sabaudi.

Datta incarnava la posizione contraddittoria di chi da un lato voleva promuovere ricerche, dall’altro non aveva mai considerato i documenti come oggetto di libera consultazione. La concezione privatistica della conservazione dei documenti sortì due esiti: il più triste fu la sospensione dall’incarico di Datta, sorpreso a vendere alcuni documenti da lui sottratti agli Archivi; il secondo, più proficuo, fu la presa di posizione di Prospero Balbo, in linea con i più giovani Sclopis e Cibrario nell’auspicare un’ampia e libera ripresa delle ricerche sul medioevo sabaudo. I Regi archivi di Corte risentirono della politica ambigua di re Carlo Alberto, attratto dalla storia ma preoccupato dalla apertura indiscriminata degli archivi.

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