Dossier

La storia medioevale

La medievistica si professionalizza

Biblia magna di Novalesa Gli ultimi due decenni del secolo XIX rappresentano la vera maturazione: definitiva affermazione della professionalità medievistica con la chiamata a Torino nel 1882, sulla cattedra di Storia moderna, di Carlo Cipolla; sistematica attività di edizione di documenti medievali con la fondazione, nel 1895, della Società storica subalpina da parte di Ferdinando Gabotto, scolaro di Cipolla che non rimase a lungo in buoni rapporti con il maestro.

Cipolla, cattolico veronese, era estraneo alla tradizione risorgimentale e sabaudista della sua nuova sede universitaria. Non cercò tuttavia la rottura completa: spostò gli interessi di ricerca verso l’alto medioevo (sottraendosi in tal modo alla storia dinastica), ma li mantenne indirizzati sulla documentazione piemontese, particolarmente quella monastica (famose le sue indagini sulle abbazie di S. Pietro di Novalesa e di S. Giusto di Susa).

Gabotto, monarchico ma laico, era alieno dalle ‘grandi domande’ della storiografia ma tutto concentrato sull’edizione di documenti e sulla ricostruzione di storie territoriali del medioevo subalpino. Sostenne, perdendo, un duro dibattito con Gioacchino Volpe, attribuendo ai comuni italiani un’origine tutta riconducibile all’azione di gruppi parentali nobiliari: ma in fondo anche questa posizione di ordine generale era coerente con la passione di Gabotto per gli alberi genealogici aristocratici, ricostruiti talora in modo spregiudicato. Formato alla rigorosa scuola cipolliana, Gabotto coinvolse tutti i cultori di storia locale interessati a lavorare sotto il coordinamento della sua “Società”. Ne derivarono, ovviamente, limiti qualitativi: ma è innegabile che la rivista “Bollettino storico-bibliografico subalpino” (avviata nel 1896) e la collana “Biblioteca della Società storica subalpina” (pubblicazioni ancor oggi esistenti, assorbite dalla Deputazione subalpina di storia patria, la seconda con il titolo “Biblioteca storica subalpina”) dotarono il Piemonte di strumenti di ricerca e di divulgazione che - almeno per quanto concerne l’abbondanza di documenti editi fino al secolo XIII - non hanno eguali nel resto d’Italia. Per raggiungere questi obiettivi Gabotto non esitò ad accantonare i propri convincimenti laici e a dare voce a due teologi, Francesco Gasparolo e Felice Alessio, al gesuita Fedele Savio (autori tutti di opere su chiese e vescovi piemontesi) e ad aprire le porte a uno studioso valdese, Alessandro Vinay.

I rapporti fra Cipolla e Gabotto si guastarono presto, certo per ragioni ideologiche, ma non solo: troppo metodologo e paleografo il primo, troppo esuberante e affascinato dal passato della nobiltà sabauda il secondo. Nell’ateneo torinese Gabotto riuscì solo a tenere un corso di «Storia della letteratura in Italia durante il secolo XV»: l’insegnamento di “Storia moderna” con contenuti medievistici dovette cercarlo altrove, prima nell’Università di Messina poi in quella di Genova.

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