Dossier

La storia medioevale

Medioevo generale e medioevo locale: la bipartizione fra otto e novecento

Si andò delineando, alla fine dell’Ottocento, una bipartizione degli studi torinesi sulla storia medievale.

Giornale Storico della Letteratura Italiana Il filone più professionale si organizzò non solo nell’Università e nell’Accademia, ma anche - spesso con i medesimi protagonisti - in due riviste: il «Giornale storico della letteratura italiana», fondato nel 1883 da Arturo Graf e Rodolfo Renier, voce del “metodo storico”, aperta all’interdisciplinarità e orientata verso un accurato accertamento dei fatti; la «Rivista storica italiana», fondata nel 1884 da Costanzo Rinaudo, medievista e allievo di Ricotti, aiutato nell’impresa da Ariodante Fabretti (archeologo) e da Giuseppe De Leva (maestro di Cipolla) e sostenuto sul piano editoriale da Pasquale Villari, tra i maggiori storici italiani del periodo.

Il filone erudito e localistico da un lato sopravvisse nella Deputazione subalpina di storia patria (dove del resto operavano lo stesso Cipolla e altri universitari torinesi), dall’altro si sviluppò, raggiungendo i livelli massimi di attività e di produzione, nella gabottiana Società storica subalpina, che tra l’altro diede alle stampe, nel 1908, I Saraceni nelle Alpi occidentali e specialmente in Piemonte di Carlo Patrucco. Ma lo stesso filone erudito prosperava - e non sempre senza qualità - in spontanee attività svolte in provincia senza rapporti con le istituzioni. Ne sono esempio due fratelli di Pinerolo attivi fra Otto e Novecento: Albino Caffaro, professore liceale interessato alle attività economiche locali del medioevo; e suo fratello Pietro, canonico e teologo, che si occupò della storia ecclesiastica pinerolese in un’opera monumentale, senza nascondere il ricorso alle competenze paleografiche di Albino.

La cesura - e soprattutto la lunga durata che questa cesura avrebbe mantenuta - fu in certo senso solennizzata nel 1906 quando, a succedere sulla cattedra torinese a Cipolla (trasferitosi a Firenze) non fu chiamato Gabotto, bensì Pietro Fedele, formatosi alla scuola filologica romana, perfetto per segnare una continuità sul piano diplomatistico-paleografico, ma ben più del predecessore disinteressato alla storia del Piemonte e dei Savoia. Da quel momento, mentre nelle aule universitarie si insegnavano metodi di ricerca e temi del medioevo europeo, in altre sedi proseguivano le indagini sul territorio subalpino e sulla storia dinastica sabauda.

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