Dossier

La storia medioevale

Fascismo, dopoguerra e storiografie senza dialogo

Non era stato antifascista Giorgio Falco, almeno non in modo dichiarato. Eppure nel 1938, per ragioni non ideologiche, fu colpito dalle leggi razziali e dovette abbandonare la cattedra. Sostituito provvisoriamente da Natale Grimaldi e definitivamente da Francesco Cognasso, entrambi fedeli al regime fascista, nel 1945 fu reintegrato, ma in soprannumero e quindi affiancato a Cognasso, con cui la convivenza era difficilissima. Dopo un periodo trascorso nell’Università di Genova (1951-1954) e un ritorno a Torino su una cattedra di Storia moderna, nel 1957-58, Falco riuscì a essere l’unico cattedratico di Storia medievale dell’Università di Torino, sfruttando il suo anno in meno rispetto al collega.

La ricchezza di particolari cronologici e biografici su questo periodo della medievistica torinese è giustificata dal suo valore emblematico. Per la prima volta erano convissuti, nella stessa facoltà universitaria, due medievisti opposti fra loro: per ragioni etico-civili ma anche per orientamenti storiografici. Uno (Falco) aveva dato voce al modo liberal-cattolico (si fece battezzare nel 1939) di rapportarsi al millennio medievale; l’altro (Cognasso) era l’erede della più netta tradizione sabaudista e monarchica, ben radicata in varie istituzioni culturali torinesi a dispetto dei progressi della storiografia internazionale. L’insegnamento del primo mantenne prestigio nel tempo, pur nella crisi dello storicismo crociano; le opere del secondo continuarono a essere il punto di riferimento per l’erudizione locale, nonostante ulteriori e rigorosi accertamenti ne mostrassero i limiti. Ma entrambe le personalità avevano in fondo avviato su diversi binari morti la ricerca storico-scientifica. Per qualche tempo fu rinviata la ricomposizione ma anche il ritorno a livelli di qualità.

Uno dei due filoni (quello locale e sabaudistico, interpretato da Cognasso) si distinse per un grande lavorìo di base, con ben 235 tesi di laurea discusse, quasi un terreno di coltura per una ripresa che doveva avvenire su basi nuove e con orientamenti storiografici aggiornati. La Società storica subalpina frattanto, nel dopoguerra, non aveva riacquisito autonomia. La Deputazione subalpina di storia patria rimase, in modo irreversibile, il solo ente espressamente impegnato sulla storia regionale, con ampia prevalenza del medioevo; il “Bollettino storico-bibliografico subalpino” continuò a essere pubblicato con la direzione di Cognasso (e quindi aperto anche a contributi eruditi e locali di qualità incostante), mentre la collana di fonti e studi (con il titolo abbreviato “Biblioteca storica subalpina”) riprese la sua attività di accumulo di documenti e informazioni sul medioevo subalpino. In questo contesto molto tradizionale trovarono tuttavia spazio anche le ricerche di storia economica sul medioevo piemontese di Maria Clotilde Daviso di Charvensod, innovatrice coraggiosa che, purtroppo, morì prematuramente. L’opera della Daviso è un segnale interessante: Cognasso, monarchico e compromesso con il fascismo, l’aveva agevolata nonostante fosse stata attiva nella Resistenza. Inoltre la personalità curiosa del maestro si manifestava anche in una particolare tolleranza nei confronti delle ricerche di storia sociale e degli allievi che le praticavano: e questi indirizzi, ormai lontanissimi dalla storia dinastica e dal racconto sulle grandi personalità, ebbero fortunato sviluppo negli anni successivi.

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