Dossier

Cinquant’anni di DNA – Parte I

Uomo e scimmia: una manciata di basi nucleotiche

La comprensione della storia evolutiva attraverso l’analisi del DNA si basa sull’invenzione di alcune tecniche di analisi inventate durante gli anni ’80, e dalla scoperta della presenza nel genoma di tratti caratteristici che variano da un individuo all’altro, chiamati polimorfismi. Inoltre, il completamento del sequenziamento del genoma umano e di altri organismi permette di effettuare uno studio più completo, grazie anche all’utilizzo di sofisticati programmi di analisi di dati generati dalla nascita di una nuova disciplina, la bioinformatica.

Per capire la nostra origine biologica, la cosa più immediata è paragonare il nostro genoma con quello delle scimmie. In particolare, il nostro DNA differisce da quello degli scimpanzé per solo l’1,2 % dei nucleotidi, ed è più simile alle scimmie africane che a quelle di altri continenti. Questo dato fa supporre che scimpanzé ed uomini possano realmente aver avuto un comune antenato, probabilmente africano, vissuto circa 4-6 milioni di anni fa, secondo la datazione genetica. Prima di questi studi si pensava che l’uomo distasse dallo scimpanzé di oltre 30 milioni di anni, mentre oggi la datazione sull’analisi del DNA acquista sempre maggior credito presso la comunità scientifica.

In realtà le cose non sono così semplici. Non è possibile avere una visione approssimativa della nostra storia genetica se si considera il genoma nel suo insieme: infatti ogni frammento di DNA, ogni gene sembra aver avuto una storia a sé, da quando è comparso in un primo organismo alle modifiche che ha acquisito durante la scala evolutiva. Non esiste una regola generale, se non la sopravvivenza del gene più adatto.

Suggerimenti