Dossier

Cinquant’anni di DNA – Parte I

L’origine dell’uomo nel suo DNA

Il genoma umano fra individui diversi è simile al 99,9%, e può essere diviso in una serie di blocchi che contengono delle aree calde di variazione nucleotidica, chiamate aplotipi. Questi blocchi possono rimescolarsi durante la produzione di un nuovo individuo, che sarà quindi caratterizzato dal possedere determinati blocchi con determinati aplotipi, ognuno indipendente per quanto riguarda la propria storia evolutiva dagli altri.

Per comprendere questo concetto immaginiamo un genoma composto da solo tre blocchi, chiamati A, B e C. Ciascuno di questi esiste nelle varianti gialla, rossa e blu e può essere trasmesso dai genitori ai figli in modo indipendente dagli altri. Quindi possiamo avere persone con il genoma giallo-giallo-blu oppure blu-verde-rosso. Questo è importante perché ad esempio noi sappiamo che la forma A gialla era presente già nelle scimmie, mentre quella rossa è comparsa solo nell’uomo. E questo lo sappiamo proprio perché abbiamo studiato questo blocco in tutte le specie viventi, e lo abbiamo trovato nella scimmia nella sua forma gialla e non nelle altre. Con studi di questo tipo si può quindi risalire all’antichità di certi tratti di DNA.

Gli scienziati hanno analizzato 928 di questi blocchi in persone derivanti da diversi continenti, e hanno visto che la maggior parte delle differenze sono osservabili in Africa, mentre nel resto del mondo si trovano solo alcune di queste variazioni: in pratica, la maggior parte della variabilità si osserva in Africa e tutto ciò che si vede al di fuori è un sottosettore delle variazioni osservate in questo continente.

L’analisi del DNA può essere condotta su tratti genici particolari, che ci forniscono delle informazioni molto importanti, poiché non hanno subito grandi variazioni durante l’evoluzione. Si tratta del DNA mitocondriale che viene trasmesso unicamente per via materna e quello del cromosoma Y, trasmesso solo per via paterna. Anche questo tipo di analisi dimostra che tutte le variazioni genetiche osservabili si sono originate in Africa, da una popolazione piuttosto piccola che poi si è espansa e ha iniziato ad emigrare nel resto del mondo. In pratica dal punto di vista genetico, come afferma il ricercatore Svante Paabo, siamo tutti africani, qualcuno di noi vive in Africa, qualcuno vive in esilio al di fuori di questo continente, da un tempo che, geneticamente parlando, è relativamente breve.

Sappiamo che in Europa l’H. sapiens ha convissuto per un certo periodo con l’H. neanderthalensis, che poi si è estinto. L’analisi del DNA mitocondriale dei reperti fossili evidenzia, almeno per questo tipo di analisi, come il genoma di questa specie di Homo non abbia influito sul nostro: in altre parole, non si è verificato alcun tipo di incrocio fra le due specie, o almeno un incrocio che abbia dato una progenie in grado di portare ai giorni nostri il proprio genoma. L’analisi del genoma nucleare in questo caso non è di alcun aiuto, poiché la nascita di un significativo numero di blocchi nuovi e differenti è decisamente anteriore alla nascita delle varie specie di ominidi.

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