Personaggi

Carlo Cipolla (1854 - 1916)

Storico, si dedicò a studi di storia monastica, pur non accantonando il suo interesse per la civiltà germanica e i suoi rapporti con l'Italia.

Nato a Verona nel 1854 frequentò l'università di Padova, e fu allievo dello storico Giuseppe De Leva (maestro di metodo che lo orientò sui problemi relativi all'Italia tra la fine del Medioevo e l'inizio dell'età moderna) e del paleografo e diplomatista Andrea Gloria, che determinò nel giovane laureando un vero culto nei confronti del documento. La sua attività di ricerca spaziò subito fra scavi, epigrafia romana, critica dei testi classici, storia medievale, problemi etnografici: si occupò di una lapide a Villafranca, dei Dicta Catonis in un manoscritto della Biblioteca capitolare di Verona, del giudizio di Petrarca su Dante, di istituzioni veneziane. Seguì la sua opera più importante, la Storia delle Signorie italiane dal 1313 al 1530, divenuta uno dei volumi della Storia d'Italia scritta da una società di professori, edita da Francesco Vallardi, a cui Croce avanzò due rimproveri: l'assenza di un «vivo e intimo interesse» per la materia, e un radicato moralismo di matrice cattolica.

Grazie a questo libro vinse a Torino, nel 1882, la cattedra universitaria di “Storia moderna” che era stata di Ricotti. Alla Facoltà di Lettere torinese si inserì subito nell’ambiente della scuola storica: Arturo Graf, Rodolfo Renier, Giovanni Flecchia e Costanzo Rinaudo. Cipolla accentuò la sua vocazione filologica e paleografica dedicandosi a studi di storia monastica: Monumenta Novaliciensia vetustiora. Raccolta degli atti e delle cronache riguardanti l'abbazia della Novalesa, il Codice diplomatico del monastero di San Colombano di Bobbio, entrambi editi nelle «Fonti per la storia d'Italia» dell'Istituto storico italiano, Il gruppo dei diplomi adelaidini a favore dell'abbazia di Pinerolo, nella «Biblioteca della società storica subalpina». Ma non accantonò il suo interesse per la civiltà germanica e per i suoi rapporti con l'Italia, e scrisse La supposta fusione degli Italiani coi Germani nei primi secoli del Medioevo (1900-01).

Durante la sua permanenza a Torino operò anche all’esterno del mondo universitario e si inserì negli ambienti di ricerca più tradizionali (Deputazione di storia patria e Accademia delle scienze), e in quelli di recente formazione (il «Giornale storico»e la «Rivista storica italiana» di Rinaudo).

Nel 1906 fu chiamato a succedere a Pasquale Villari sulla cattedra di storia moderna nell'Istituto di studi superiori di Firenze. L'abbandono della sede torinese dopo ventiquattro anni d'insegnamento fu giustificato da motivi di salute: i legami con le istituzioni culturali subalpine continuarono e la Facoltà torinese di Lettere gli conferì, poco dopo la sua partenza, il titolo di professore emerito. Mantenendo dunque una certa torinesità raggiunse, in parallelo, la massima capacità di incidere sul piano internazionale, collaborando per anni con il «Nuovo Archivio veneto», le «Mitteillungen der Instituts für Österreichische Geschichtsforschung», i «Monumenta Germaniae Historica», la «Revue historique» e gli «Jahresberichte der Geschichtswissenschaft». La sua attività di studioso fu così vasta che Giuseppe Biadego registrò 427 scritti, senza tener conto delle recensioni ( oltre 150).

Morì a Tregnago, vicino a Verona, nel 1917.

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