L'innovazione tecnologica e l'industria militare alla fine del Settecento
Accanto all'Università continuò a svilupparsi una fitta rete di istituzioni comunque connesse, direttamente o indirettamente, alla ricerca. Basti pensare alla nascita nel 1739 delle Reali scuole teoriche e pratiche di artiglieria e fortificazioni. Al suo interno sorsero i primi laboratori di chimica delle polveri, di metallurgia, di mineralogia: qui si formarono architetti militari e ingegneri esperti in fortificazioni, in idraulica, in balistica, nella nascente scienza delle costruzioni; vi insegnarono personaggi come Luigi Lagrange, Papacino d’Antoni, Francesco Michelotti, destinato a dirigere uno dei più grandi laboratori d’idraulica del tempo fatto costruire dal sovrano nel 1763. In quelle scuole, cui vennero poi annessi i laboratori scientifici del nuovo e immenso Arsenale voluto da Carlo Emanuele III, anche il Piemonte sperimentò attraverso le ricerche connesse alla cosiddetta tecnologia del cannone e più in generale degli armamenti, quanto importante doveva rivelarsi il nesso tra l’innovazione tecnologica e l’industria militare. In virtù degli investimenti della corona nell’ammodernamento dell’esercito la comunità scientifica piemontese si trovò all’avanguardia in molti settori connessi alla proto-industria, alle tecniche di estrazione e lavorazione dei metalli, nell’elaborazione di utensili, di prove di controllo sui materiali, nella costruzione di forni, di macchinari utili anche per l’industria tessile e la chimica tintoria interessata alla manifattura delle divise. Furono artiglieri come Ludovico Morozzo o Angelo Saluzzo di Monesiglio, insieme con alcuni professori dell’Università, come Carlo Allioni, Ambrogio Bertrandi, Gianfrancesco Cigna a portare Torino nel circuito scientifico europeo.
Alle spalle della componente militare, quasi a voler ulteriormente ribadire il carattere statale dominato dalla volontà dei Savoia di controllare i nuovi saperi inserendoli precocemente nella macchina burocratica, stavano anche le istituzioni di ricerca in qualche modo connesse alle magistrature tecniche dello Stato. Sin dal Cinquecento e poi per tutto il Seicento avevano conquistato crescente importanza tecnici e specialisti posti a capo del
Con il nuovo sovrano Vittorio Amedeo III il baricentro si spostò infatti decisamente nella nascente Accademia delle scienze, cui le lettere patenti del 1783 conferivano il definitivo statuto di Reale. La svolta in questa direzione rendeva in tal modo l'organizzazione dell'impresa scientifica sabauda più simile e comparabile al resto d'Europa. Negli anni Ottanta l'Accademia divenne il cuore della comunità scientifica piemontese in tutte le sue componenti, secondo il modello enciclopedico dell’Illuminismo. Dalla sua attività ormai pubblicamente riconosciuta dipendevano, direttamente o indirettamente, tutti i centri della comunità scientifica subalpina: dall’Università (i professori più importanti erano anche soci) alle Reali scuole d'artiglieria (gli artiglieri avevano partecipato alla fondazione dell'Accademia). La rete di rapporti coinvolgeva altresì l’Accademia Agraria Torinese, nonché la vita stessa di tante piccole società letterarie e accademie che andavano nascendo in provincia e nella capitale.
Il più significativo periodico illuministico italiano del tardo Settecento, la «Biblioteca oltremontana», apparso nel 1787, era organicamente legato all'Accademia: uno dei due direttori, il conte San Martino della Motta, era divenuto socio sin dal novembre del 1784 mentre l'altro, Giambattista Vasco, dopo che Saluzzo lo aveva vanamente indicato sin dalla fondazione, lo divenne nel 1788.
Ambedue partecipavano attivamente a uno dei riti più interessanti praticati all'interno dell'Accademia, cioè alla lettura collettiva dei più importanti periodici stranieri. Ma la conferma di questo singolare ruolo propulsivo che l’Accademia svolgeva non solo nel settore strettamente scientifico, ma più in generale in tutte le forme di vita intellettuale, si trova nell'apparizione di un altro importante periodico, il «Giornale scientifico, letterario e delle arti» del chimico Antonio Giobert e del medico Carlo Ignazio Giulio, apparso nel 1789.
Esso incarnava quegli ideali enciclopedici sensibili al cosmopolitismo e alla cultura dei lumi che avevano emancipato il vecchio 'letterato' di corte per farlo approdare al nuovo ruolo di accademico.
Sin dai primi anni la nuova istituzione accademica aveva assunto il prestigioso compito di organo tecnico di governo prefigurato dal Saluzzo. Nelle sale del Museo di scienze naturali e nei laboratori approntati nel Collegio dei Nobili, concesse dal sovrano a partire dal 1784, le commissioni accademiche si riunivano senza un calendario prefissato per fare ricerca, esaminare ogni tipo di nuove invenzioni, delineando una sorta di mappa del sapere tecnologico sabaudo dell'epoca.
I verbali delle riunioni, in particolare il
Valperga di Caluso, Michelotti e lo stesso Lagrange, quest'ultimo pur restando all'estero, fecero di Torino, dell'Accademia e del suo Museo delle scienze naturali anche un punto di riferimento dei grandi dibattiti nel campo della geologia, della cartografia, della matematica, dell'idraulica, dell'astronomia. La scelta come soci stranieri di Pierre-Simon de Laplace, Leonhard Euler, Jean-Antoine-Nicolas Caritat marchese di Condorcet, Gaspard Monge, Jean-Baptiste Le Rond d'Alembert, Joseph Priestley, Benjamin Franklin andava del resto in questa direzione. Nel 1790 fu finalmente costruita, per «ordine del sovrano» e per «uso dell'Accademia», la nuova specola astronomica, dando l'avvio a una tradizione di studi sino ad allora trascurata per mancanza di attrezzature. Ma era soprattutto nei nuovi settori della cosiddetta seconda rivoluzione scientifica che i soci diedero il meglio di sé.
L’elettricismo piemontese di Cigna e di Giambatista Beccaria trovò in Anton Maria Vassalli Eandi un degno rivale di Jean Senebier, di Alessandro Volta e di Luigi Galvani. Nel campo della meteorologia, della chimica industriale e agraria, della zoologia, della botanica e della clinica i contributi degli accademici furono alla fine del Settecento tutti di alto livello.