Dossier

Le istituzioni della ricerca

La continuità del modello organizzativo nel XIX secolo: L'età della Restaurazione

Una prima tappa del lento processo di trasformazione si ebbe con Carlo Felice, nell’età della Restaurazione: dopo una fase di dura epurazione, che colpì soprattutto la Facoltà di medicina e chirurgia, molte risorse furono investite nell’ampliamento dell’Orto Botanico, nella complessiva riorganizzazione dell’intero sistema universitario con il potenziamento del gabinetto di fisica, dei laboratori di chimica e la costruzione del nuovo teatro anatomico all’Ospedale San Giovanni. Ospedale San Giovanni Battista

La Scuola di veterinaria, diretta da Carlo Lessona, fu rilanciata all’interno di Venaria Reale, mentre, con il regolamento del 1815 prese avvio la battaglia dei chirurghi per la piena parità con i medici nella Facoltà di medicina: parità raggiunta con il regolamento del 1844.

Assai forti e persistenti restavano ancora le suggestioni del modello settecentesco di comunità scientifica, che assegnava all’Università e ai suoi collegi il compito principale nella formazione professionale lasciando invece alle accademie e a istituti appositi come la Deputazione di Storia Patria, voluta da Carlo Alberto nel 1833, il primato nella ricerca. Basti vedere la dura polemica tra Accademia e Università, che ciclicamente si ripropose nel 1801 (momento in cui le rispettive collezioni vennero finalmente riunificate in un più grande museo di scienze naturali, dotato di laboratori e collocato nel Collegio dei Nobili), quindi nel 1816 e 1817, su chi dovesse esercitare il controllo e la direzione del nascente museo. Analoga questione si pose nel 1824 in occasione delle definitive collocazioni del Museo Egizio e del Museo d’Antichità nei locali dell’Accademia. Con la gestione scientifica della raccolta Drovetti, nucleo originario del Museo Egizio, ad opera di una commissione formata dai soci al cui interno venne prescelto il primo direttore del museo, Giulio Cordero di San Quintino, Torino divenne un centro internazionale nel campo della egittologia rilanciando nel mondo il prestigio scientifico dell’Accademia. Lo stesso Jean-François Champollion, nominato socio corrispondente, fece tesoro di un soggiorno torinese nel gennaio del 1825, per confermare le sue scoperte sui geroglifici applicandosi nello studio dei reperti raccolti dal Drovetti.

La funzione politica e amministrativa di Torino capitale dei domini sabaudi, che aveva condizionato il carattere della ricerca nel corso del secolo XVIII, continuò a rivelarsi determinante anche nella prima metà del secolo successivo. Durante la restaurazione e poi subito dopo nuovi laboratori furono aperti nell’Arsenale e nell’Accademia militare. Rinacque la gloriosa Scuola di applicazione di artiglieria e genio, rinnovando con scienziati e militari che erano anche soci dell’Accademia delle scienze un antico e fruttuoso connubio. A quel mondo appartengono le ricerche di Luigi Federico Menabrea, di Giovanni Cavalli, di Paolo Ballada di St. Robert, di Francesco Siacci. Logo Accademia delle Scienze di Torino Sempre nell’Accademia delle scienze – cui lo Stato affidava nel 1826 anche il compito di un moderno ufficio brevetti, nonché la funzione di organo tecnico da consultare in grandi occasioni come nel caso delle scelte da compiere per il traforo del Frejus – la cultura tecnologica trovò un'attenzione senza la quale sarebbero mancati i presupposti necessari alla nascita della Scuola di applicazione per gli ingegneri, inaugurata nel 1859 sull’esempio dell’Ecole des ponts et Chaussés, e del Museo industriale sorto nel 1862 ad imitazione del Conservatoire. Ancora nel decennio cavouriano il motto dell’Accademia, Veritas et Utilitas, guidò l’ammodernamento di una comunità scientifica che pareva aver smarrito l’originaria ispirazione illuministica a favore di un municipalismo e di una vocazione corporativa.

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