Dossier

Le istituzioni della ricerca

L'impresa scientifica subalpina nella prima metà del Novecento

Mazza del rettore dell'Università Nei decenni successivi la struttura dell’impresa scientifica subalpina ormai egemonizzata dall’Università con i suoi molteplici istituti scientifici non subì più radicali trasformazioni sul piano del modello istituzionale complessivo. In campo scientifico fu soprattutto il Politecnico a dare i segni di maggior vitalità con la realizzazione di nuovi istituti e di laboratori sperimentali (è del 1912 la costruzione del primo laboratorio aeronautico italiano ad opera di Modesto Panetti). Nel 1934 nasceva nei pressi della «città della scienza» per volontà di Giancarlo Vallauri l’Istituto Elettrotecnico Nazionale intitolato a Galileo Ferraris, quasi a suggello finale della grande stagione positivistica.

Un capitolo fondamentale per la sanità pubblica cittadina e per gli sviluppi della ricerca universitaria in campo medico venne tuttavia scritto soprattutto negli anni trenta con la costruzione della cosiddetta città ospedaliera delle «Molinette» destinata a estendersi su un’area di 142.000 metri quadrati sulla sponda sinistra del Po. Il confronto tra il governo locale e l’Università per delineare un progetto capace di garantire la nascita del nuovo grande Ospedale Maggiore di san Giovanni Battista dove collocare le cliniche mediche cominciò sin dal 1903. Dieci anni dopo, superando faticosamente molteplici contrasti sulla localizzazione finale del nosocomio (l’Università avrebbe preferito una maggiore vicinanza con gli istituti scientifici di corso Massimo d’Azeglio dando in tal modo vita ad un unico complesso senza soluzione di continuità lungo la riva del Po), il Consiglio comunale decise finalmente l’acquisto dei terreni Lanza delle Molinette. La prima guerra mondiale bloccò il processo di costruzione che riprese nel 1928 con la firma definitiva delle convenzioni e dei contratti. Nel 1935 l’Ospedale venne inaugurato alla presenza di Vittorio Emanuele III. Ospedale San Giovanni Battista L’opera costò una cifra notevole per i tempi: Il Municipio spese 27 milioni più 8 per l’acquisto del terreno; 21 milioni vennero dal governo, l’amministrazione del vecchio Ospedale Maggiore diede 5 milioni per l’arredamento, mentre la famiglia Abegg donò ben 10 milioni. La ricerca universitaria che oggi definiremmo di tipo traslazionale conobbe grazie alle nuove strutture un straordinario sviluppo. I nuovi laboratori di analisi Baldi e Riberi, le numerose cliniche rinnovate e rafforzate divennero un punto di forza della Facoltà di medicina.

In quegli stessi anni, benché penalizzato dalla mortificante censura del ventennio fascista, l’ateneo vide anche crescere il rilievo della componete umanistica soprattutto ad opera di grandi maestri come Mosca, Solari, Einaudi, Ruffini e tanti altri ancora. La riforma universitaria allora elaborata dal grande filosofo dell’attualismo Giovanni Gentile consentiva e auspicava la presenza nell’ambito dell’Ateneo di nuovi istituti superiori accanto alle tradizionali Facoltà al fine di assecondare le esigenze della ricerca e della didattica in settori disciplinari decisivi e troppo trascurati in passato.

Sin dal 1878, con i fondi del Consorzio Universitario, era stata prospettata l’istituzione di due scuole superiori: una di Commercio, nell’ambito della Facoltà di Giurisprudenza, e una di Agraria, dipendente dalla Facoltà di Scienze Naturali. Tuttavia, solo nell’ottobre del 1906 iniziarono i corsi della Regia Scuola Superiore di Studi applicati al Commercio destinata a trasformarsi nel 1935 nell’attuale Facoltà di Economia. Nello stesso anno nasceva – seppure dopo non poche traversie – la moderna Facoltà di Agraria. Nel 1934 era stato il turno della vecchia Regia Scuola di Medicina Veterinaria, fondata nel 1851, a trasformarsi in Facoltà. Docenti di veterinaria

L’anno dopo fu la volta del Magistero nato nel 1923 come Istituto Superiore e destinato nella programma pedagogico fascista a formare i maestri delle scuole elementari e delle medie inferiori. Con queste trasformazioni si chiudeva definitivamente, pure sul piano istituzionale, la grande stagione avviata oltre mezzo secolo prima dal rinnovamento positivistico con i suoi entusiasmi e la sua fede nel progresso scientifico. Dal primo decennio del Novecento il nuova clima idealistico pur avendo in qualche modo completato l’opera precedente, impose anche una pausa di riflessione, una revisione critica di programmi e prospettive sempre però nell’ambito di uno sviluppo e di una crescita complessiva dell’Ateneo e quindi della ricerca scientifica piemontese. Il resto è storia di oggi. E non è detto che sia una bella storia per le istituzioni scientifiche subalpine alle prese con mille problemi e con tagli continui di risorse.

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