Dossier

La vita nell'universo

La vita nell'universo

La presenza di esseri viventi sulla Terra rende sicuramente peculiare il nostro pianeta se lo si confronta con gli altri che compongono il Sistema Solare

Il fenomeno vita sotto forma di animali e piante si estende su tutta la superficie del globo terraqueo e nel sottosuolo, dove lo troviamo presente finanche a kilometri di profondità sotto forma di organismi cosiddetti estremofili, date le condizioni difficili alle quali si sono adattati.

Questo fenomeno presenta anche un'altra caratteristica che dona alla Terra una ulteriore particolarità. Sul nostro pianeta infatti la vita si è evoluta fino a sviluppare esseri intelligenti tra i quali l'uomo sembra essere il migliore esempio.

Ma da dove è venuta la vita? Si è generata qui in loco? Se la risposta è sì, possiamo pensare che si sia sviluppata spontaneamente o vi è la possibilità che vi sia stata portata? Da dove? Da chi? E, se può avere senso porsi queste domande, quanto senso ha continuare a considerarla come un fenomeno tale da rendere la Terra un pianeta unico nel suo genere?

Immaginiamo soltanto le ripercussioni che potrebbe avere nella quotidianità della persona più normale, il sapere che è stato trovato un essere vivente - seppure di dimensioni minime - nello spazio esterno alla nostra atmosfera. Sapremmo che, avendone trovato uno nel nostro vicinato, nulla impedisce che l'Universo ne contenga molti altri, ovvero che sia più o meno uniformemente riempito di forme di vita con diversi gradi di intelligenza.

Questo significherebbe che non saremmo più autorizzati a ritenerci soli e dovremmo cominciare seriamente a valutare la possibilità di rapportarci con questi esseri ponendoci il problema di come comunicare al meglio con essi. Forse scopriremmo di essere in pericolo o, forse peggio, di essere una razza ignorata da tutti perché ritenuta più arretrata culturalmente e tecnologicamente di tutte le altre.

Probabilmente si svilupperebbero nuove malattie mentali, nuove agorafobie al pensiero di una piazza cosmica così fittamente popolata o claustrofobie dovute alla permanenza forzata nella prigione terrena con un Universo intero che vive al di fuori; oppure si svilupperebbero sensi di inferiorità, estensione cosmica di quelli che già proviamo sul nostro piccolo pianeta, per il solo rapportarci ai nostri simili.

A sostegno di quanto affermo, lungi dal volere fare la parte dell'allarmista, suggerisco di pensare agli effetti che sortì la celebre trasmissione radiofonica di Orson Welles del 30 ottobre 1948, nella quale egli annunciava in diretta lo sbarco degli alieni apportatori di stragi e distruzione. Moltissimi tra gli ascoltatori che non seppero distinguere la realtà da una finzione radiofonica impazzirono. La maggior parte affollò la strade in preda al panico cercando di sfuggire non si sa bene come e dove e alcuni di loro arrivarono addirittura a suicidarsi per sfuggire alla minaccia venuta dallo spazio profondo per la quale non sembrava esservi alcun rifugio più adatto della morte.

In ogni caso, paure a parte, le nostre vite, anche le più interessanti, potrebbero apparire vacue per il solo essere da sempre centrate sul nostro essere qui, prive del tutto di una dimensione che le connetta allo svolgersi dei destini cosmici dai quali scopriremmo di essere stati per così tanto tempo esclusi (e culturalmente autoesclusi con logiche politiche ed economiche che di cosmico hanno ben poco).

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