Dossier

La Psicologia come disciplina in Piemonte

La seconda fase dei rapporti tra la psicologia e la filosofia torinesi

Rivista di psicologia Se confrontato con altri periodici dell’epoca, in particolare con la «Rivista di psicologia» fondata a Bologna da Giulio Cesare Ferrari, l’«Archivio» kiesowiano appare caratterizzato da un più acceso carattere sperimentale, nonché dall’interesse, ereditato da Wundt, per la psicologia dei popoli e la sua divulgazione.

Nel 1936 Alessandro Gatti subentrò al maestro Kiesow nella direzione di questo periodico, che modificherà il titolo in «Archivio italiano di psicologia generale e del lavoro». Quale organo ufficiale del “Gabinetto di Psicologia del Centro di studi sul lavoro della Confederazione dei lavoratori fascisti dell’industria di Torino”, il nuovo «Archivio» ospitò articoli concernenti soprattutto la psicologia del lavoro secondo le tematiche care al fascismo. A questo preciso riguardo va riconosciuto che, al pari degli altri studiosi italiani, anche gli psicologi dell’Ateneo torinese si dimostrarono attivi soprattutto in quei settori applicativi che erano stati incoraggiati dal fascismo (aspetto che traspare inoltre dal tipo di interventi ai congressi internazionali) e che, oltre a questioni attinenti all’orientamento professionale, privilegiavano temi di igiene e profilassi mentale. Alla morte prematura di Gatti nel 1938, nella direzione dell’«Archivio» succederà fino al 1942 Angiola Costa, che era entrata a far parte del gruppo di Kiesow, quale assistente volontaria, nell’anno accademico 1934-35. In più di un’occasione Torino fu scelta come sede di importanti convegni: nel primo Congresso Nazionale, che si tenne dal 15 al 17 ottobre 1911, venne presentato e approvato lo statuto della recentemente costituita Società Italiana di Psicologia (SIP).

Di particolare rilievo sarà anche il settimo congresso della SIP, sempre a Torino, nel 1929. Per la prima volta fu intitolato “Congresso nazionale di psicologia sperimentale e di psicotecnica”, dove con questo termine si sanciva una svolta importante rispetto alla tradizione della psicologia sperimentale, in quanto si indicavano esplicitamente le applicazioni della psicologia all’attività lavorativa, in vista di un adattamento ai compiti e all’ambiente di lavoro.

Ricerche nell’ambito storico-critico, psicotecnico, sperimentale (sulle illusioni nella percezione visiva, sulla mescolanza dei colori, sull’analisi di figure prospettive e geometriche ecc.) nonché ancora segnatamente psicofisico (sulle sensazioni tattili, visive ecc.) caratterizzano gli studi della seconda generazione di successori di Kiesow, tra i quali, oltre ad Angiola Costa, si segnalano Giuseppe Corberi, Vittorio d’Agostino, Leopoldo Chinaglia, oltre ai già citati Luigi Botti e Luigi Agliardi (al quale si deve la traduzione italiana del Grundriss der Psychologie di Wundt).

Pubblicità sulla rivista di psicologia A partire dall’anno accademico 1933-34 Kiesow fu professore emerito. Il suo ritiro per limiti di età apriva anche a Torino una fase critica per la psicologia. I problemi legati alla sua successione non costituivano però un’eccezione rispetto alla situazione in cui versava, in generale nell’Università italiana, l’insegnamento di questa materia, a proposito del quale aveva avuto luogo un fenomeno addirittura di “triplicazione” degli incarichi. A partire dall’immediato dopoguerra questi furono conferiti a titolo perlopiù gratuito a una pletora di liberi docenti (filosofi, pedagogisti o fisiologi) che s’improvvisavano insegnanti di psicologia. Tuttavia siffatta proliferazione di incarichi non coincise purtroppo con un innalzamento del livello di scientificità della psicologia. Anzi, se è vero che le cattedre sono l’autentica espressione di ufficialità e stabilità di un insegnamento, il fatto che quelle italiane di psicologia fossero soltanto quattro nel 1925 (a fronte di nove insegnamenti in varie università italiane) significa che forse era solo apparente l’intenzione di servire gli interessi di questa disciplina. Al decreto Gentile del 1923 ne era seguito un altro nel ’35 a firma del Ministro dell’Educazione nazionale Cesare De Vecchi di Val Cismon, in base al quale la psicologia sperimentale veniva inclusa tra le materie complementari per il conseguimento di lauree in medicina, filosofia, pedagogia e giurisprudenza. Benché alla sua formulazione avesse contribuito padre Gemelli, questo decreto indeboliva la già precaria autonomia della psicologia italiana, in quanto favoriva l’istituzione di molti corsi soprattutto di psicologia “applicata”, funzionali agli scopi del regime. Ma il peggio doveva ancora venire: infatti, di lì a poco, più precisamente nel ’38, a quel decreto avrebbe fatto séguito un altro, ispirato questa volta da Gentile, in base al quale nelle Tabelle per le lauree in Filosofia presso la Facoltà di Lettere e filosofia e in Pedagogia (a Magistero) la denominazione della disciplina perdeva l’aggettivo “sperimentale”. Questa soppressione non mancò di suscitare un vespaio di reazioni tra gli psicologi. Certamente in ambiente scientifico si sarebbe continuato a considerarla “sperimentale”, giacché ormai da tempo la psicologia si era separata dalla metafisica; ma le ragioni che avevano condotto a tale sparizione non apparivano tra le più limpide, e soprattutto non erano sfuggite agli psicologi.

Era naturale che lo strascico di queste polemiche si facesse sentire anche nell’ambiente torinese, dove la vicinanza con i filosofi continuava a creare difficoltà. Alcuni dei personaggi che, prima degli anni Venti, si erano inseriti nella cerchia universitaria, provenienti da Pavia o da Firenze (tra cui Erminio Juvalta e Adolfo Faggi), si erano tra l’altro occupati di temi e questioni di psicologia, non esclusa la psicofisica. Ma ora negli anni Trenta molti di quei personaggi della cultura filosofica o si erano ritirati dall’insegnamento o erano deceduti. Al ritiro di Kiesow, quale direttore incaricato dell’Istituto di psicologia sperimentale di via Po 18 fu nominato Valentino Annibale Pastore, all’epoca professore ordinario di Filosofia teoretica (e successivamente di Estetica). In un saggio pubblicato In difesa della psicologia sperimentale anche Pastore interveniva sulla questione dei difficili rapporti tra filosofia e psicologia, lamentando la scomparsa dell’aggettivo “sperimentale”. In questo saggio Annibale Pastore commentava che la soppressione del termine ‘sperimentale’ avrebbe significato ben poco se l’insegnamento della psicologia si fosse impartito nella Facoltà di Scienze. Trattandosi invece di una materia insegnata all’interno della Facoltà di Lettere e filosofia, l’attributo sarebbe dovuto restare bene in evidenza, affinché la psicologia non corresse il rischio di venir fagocitata dalla filosofia. Nel caso in cui l’incarico dell’insegnamento della psicologia fosse stato conferito a un docente di filosofia teoretica o morale o di storia della filosofia o di pedagogia, l’esito del mancato ricorso a uno psicologo specialista si sarebbe rivelato disastroso, a meno che il docente filosofo non fosse in grado di vantare anche conoscenze tecniche di laboratorio. Tuttavia, come aveva avuto modo di osservare Agostino Gemelli, «la conoscenza tecnica non [era] presumibile in un filosofo».

Prescindendo dalle questioni metafisiche, la psicologia doveva essere «di laboratorio» e ben poche chances avevano i suoi detrattori, ai quali faceva comodo sostenere che usurpava il terreno della fisiologia, ma anche della filosofia teoretica, occupandosi dell’anima. Al contrario, nella presunta natura ibrida della psicologia Pastore ravvisava la ragione della sua forza e autonomia: come l’attività psichica non poteva esser considerata un sottoprodotto di quella vitale, così la psicologia non si limitava a essere un capitolo della fisiologia. Chi aveva interesse a far cadere il termine “sperimentale”? A questo riguardo Pastore dichiarava di non nutrire “cattivi” pensieri. Né intendeva individuare particolari colpevoli, o dar credito alle voci secondo le quali i filosofi idealisti sarebbero stati i principali responsabili della sua caduta. Il futuro della giovane disciplina si preannunciava comunque gravido di rischi: se la psicologia scientifica era stata la prima vittima, su questa china sarebbe presto stata seguita dalla psicologia cosiddetta “filosofica”.

Appunti di Pastore D’altra parte, come osservava anche Mario Ponzo, tra le ragioni che avevano condotto alla sparizione del termine, alcune erano soprattutto pratiche, in quanto molti dei docenti incaricati in questa disciplina erano pedagogisti. Non solo costoro non si erano mai occupati di filosofia, ma tutt’a un tratto parevano diventati competenti di psicologia, con le immaginabili conseguenze del caso! Non meno perverse erano le ragioni teoriche, riconducibili tutte al nefasto influsso dell’idealismo. Il fatto che gli unici veri esperti di questa materia, vale a dire gli psicologi, non fossero mai stati interpellati, era da imputare all’influsso di un uomo potente, dai modi accattivanti, ma ingannevoli. Sotto mentite spoglie si celava in Giovanni Gentile un nemico giurato della psicologia sperimentale. E la sua avversione non era affatto un caso isolato; non era un mistero che tutti i fautori dell’idealismo attualistico la pensassero come lui.

Dal canto suo, Annibale Pastore era una figura davvero singolare nel panorama filosofico dell’epoca, in grado di stabilire stretti collegamenti tra svariati ambiti scientifici, spaziando dal pensiero di Husserl, Heidegger, Chestov e Meyerson fino all’elaborazione di una teoria logica (cosiddetta “del potenziamento”) quale «inchiesta del processo di costruzione delle forme più elementari del pensare e dei loro rapporti», da lui applicata alla fisica. Ma i suoi interessi comprendevano anche il calcolo dei processi psicofisici, lo studio sensoriale delle alterazioni cutanee, le oscillazioni tattili, la teoria della cronassia e la questione della causalità «relativamente al metodo sperimentale». Pastore era succeduto all’hegeliano Pasquale D’Ercole nel 1914, dopo essersi laureato sia in Lettere con Arturo Graf sia in Filosofia con lo stesso D’Ercole. Ma aveva conosciuto anche Mosso e Kiesow, e anzi era stato proprio lui a proporre la nomina di quest’ultimo a professore emerito. Se all’opera di Giuseppe Peano si era ispirato nella formulazione della propria teoria logica, dai due fisiologi-psicologi aveva tratto l’idea della possibilità di costruire apparecchiature tecniche con le quali implementare gli strumenti logici da lui elaborati.

L’impeto entusiastico e forse, dati i tempi e la mentalità dei filosofi, eccessivamente irruente, di Pastore fece sì che le sue attività eccentriche e diversificate non mettessero capo a risultati significativi in ambito psicologico. Con le ricerche di Angiola Costa, invece, il laboratorio torinese mantenne la rotta psicofisica impartita da Kiesow: tra gli anni Trenta e Quaranta sono infatti numerosi i saggi dedicati dalla studiosa alle sensazioni cinestetiche, alle illusioni ottico-geometriche, alla percezione delle differenze spaziali, del chiarore e della lucentezza, alla soglia di differenza, al lavoro muscolare, all’attenzione ecc. Guzzo

Ma nel corso degli anni Trenta, le cose alla Facoltà di Lettere e filosofia erano sul punto di cambiare di nuovo. Era infatti il momento della cultura “napoletana”, rappresentata da Augusto Guzzo e da Nicola Abbagnano che, pur provenendo da esperienze culturali diverse, inauguravano una nuova fase della filosofia torinese, nella quale si rimescolavano elementi diversi, dominati dall’idealismo gentiliano, ma soprattutto dal cosiddetto “spiritualismo cristiano” (propugnato da Guzzo), secondo il quale la filosofia idealistica era un’introduzione al cristianesimo.

Nel 1939 Pastore lasciò l’insegnamento e gli succedette Guzzo, il quale giocoforza prese il suo posto anche nella direzione dell’Istituto di psicologia sperimentale. A quell’epoca Guzzo era professore ordinario di Filosofia teoretica (con Luigi Pareyson assistente) e incaricato di Storia della filosofia antica e di Filosofia morale.

Dopo una prima fase gentiliana, Guzzo si era andato accostando a una forma di esistenzialismo riveduto e corretto che, con un innesto di idealismo religioso, sembrava particolarmente indicato dal punto di vista delle esigenze culturali italiane. E a questo progetto collaborava anche l’allievo Pareyson con la formula del “preesistenzialismo”.

Suggerimenti