Dossier

La Psicologia come disciplina in Piemonte

La psicologia nella Facoltà di Lettere e Filosofia

Loggiato Tra alti e bassi, nell’anno accademico 1911-12, l’insegnamento della Psicologia sperimentale a Torino contava comunque 59 iscritti. Kiesow tenne per breve tempo anche il corso libero di «Psicologia dei popoli» di chiara ispirazione wundtiana. La psicologia dei popoli mirava a indagare sul piano antropologico e sociologico le manifestazioni delle più elevate attività intellettuali e culturali, quali l’arte, il linguaggio, la religione e gli usi e costumi. Mario Ponzo ebbe un secondo corso libero parziale di psicologia sperimentale. Tuttavia il panorama filosofico entro il quale il nuovo insegnamento veniva impartito era ben diverso dal clima positivistico che aveva caratterizzato la cultura scientifica di fine Ottocento e che aveva assistito alla nascita della psicologia. Qualcuno aveva persino azzardato che la filosofia torinese avesse «due anime». Ora l’insegnamento della filosofia era permeato dall’hegelismo più conservatore e la situazione appariva molto mutata rispetto ai tempi, per la verità neppur troppo lontani, in cui Mosso insegnava fisiologia oltre che nella facoltà di Medicina e chirurgia e in quella di Scienze, anche in quella di Lettere.

Intanto nei confronti della psicologia cominciavano a prender piede perplessità e, a partire da questo periodo, la giovane disciplina è fatta oggetto di mancati riconoscimenti non soltanto da parte delle facoltà letterarie, ma anche di quella di Medicina. Mentre i docenti delle facoltà scientifiche esprimevano riserve soprattutto circa l’attendibilità dei suoi metodi e la validità dei contenuti, i filosofi manifestavano invece dubbi riguardanti la pretesa natura «sperimentale» della psicologia, scienza che mirava, tutto sommato, a una riduzione dei fenomeni vitali a processi fisiologici. E di conseguenza diventava pericolosamente incline al materialismo. Archivio italiano di psicologia

Nonostante la laurea in filosofia conseguita a Lipsia, lo stesso Kiesow si presentava come uno studioso che a fatica avrebbe potuto essere inquadrato nell’ambito delle scienze umane. Non era però la sua formazione di sperimentalista a suscitare le diffidenze dei docenti che nel 1910 avrebbero dovuto promuoverlo a professore ordinario. E per quanto la commissione sembrasse nutrire dubbi sull’originalità scientifica dei suoi lavori, altre erano le ragioni di queste riserve.

Eppure, alla luce dei caratteri del programma psicofisico di cui Kiesow era rappresentante in Italia, i dubbi dei filosofi non avevano ragion di sussistere. Nella psicologia kiesowiana si celavano infatti elementi contrastanti che facevano pensare a una sorta di equilibrio instabile, ma tale da giustificare il suo inserimento in una facoltà letteraria. In più di una occasione Kiesow aveva chiarito che l’etichetta di «psicologia fisiologica» non doveva trarre in inganno facendo ritenere che vi sia un nesso causale tra funzioni fisiologiche e fenomeni psichici. Quel termine significava piuttosto che occorreva tener conto delle condizioni fisiologiche sotto le quali si effettua l’osservazione psicologica del singolo individuo, e che i metodi sperimentali della psicologia erano quelli della fisiologia e delle scienze naturali. In questo modo si portava a compimento il programma di Theodor Fechner, il quale si era proposto di stabilire mediante «esatte misure il rapporto tra anima e corpo» secondo il principio del parallelismo psicofisico.

Da parte sua, Kiesow si presentava come il più fedele interprete del sistema wundtiano, oppositore tanto del materialismo quanto del razionalismo. A questo fine aveva elaborato il cosiddetto volontarismo empirico, in base al quale il soggetto si identifica fondamentalmente con i «processi volitivi» contraddistinti dal libero arbitrio e in grado di sollecitare la reazione psichica. Con ciò, da un lato veniva respinta qualsiasi forma di causalità psicofisica, mentre da un altro lato si ribadiva che la causalità psichica non poteva entrare in contrasto con quella fisica. Concetti di questo genere furono presentati a più riprese in svariati saggi degli anni Venti, nei quali non si perdeva occasione di sottolineare come i processi fisici fossero la condizione, non già la causa, di quelli psichici. In un saggio in cui distingueva due forme di anima, attuale e sostanziale, Kiesow denunziava i limiti del materialismo, e non faceva mistero di ricorrere al metodo sperimentale per studiare soprattutto le manifestazioni meno elevate dell’attività psichica, vale a dire le sensazioni. Dovendo accostarsi a differenti, e più nobili, caratteri della vita mentale, la psicofisica si sarebbe dovuta integrare con altre metodiche, quali ad esempio la «psicologia dei popoli» di ispirazione wundtiana. Infine, la tanto invocata autonomia della psicologia si sarebbe realizzata sotto l’egida della filosofia. Toccava infatti al filosofo (morale, gnoseologo o metafisico) l’impiego dei risultati dell’analisi psicologica. Anzi, lo psicologo non poteva neppure decidere quale valore attribuirvi. Quel metodo sperimentale che si dimostrava formidabile per quantificare in modo preciso le variabili psichiche dei processi sensoriali e percettivi, doveva stare al servizio della filosofia, soprattutto della metafisica wundtiana, nella quale si sarebbe conseguita la perfetta sintesi del sapere filosofico.

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