La psicologia e l’Accademia delle Scienze di Torino
Il lettore che ha seguito fin qui il dipanarsi di queste vicende non farà fatica a rendersi conto che quello della psicologia torinese è un caso tutto a sé. Oltre ai molti problemi teorici e istituzionali (comuni del resto alla maggior parte delle scuole psicologiche sorte in Italia tra Otto e Novecento), il fenomeno torinese presenta almeno due ulteriori fattori di contraddizione. Il primo derivato dal legame stritolante con le idee di Wundt, il secondo dall’abbraccio con la cultura filosofica della città. I sintomi di questa lacerazione si avvertono anche nello sbiadito rapporto che le figure (per la verità scarse e neppure troppo vistose, se fatta eccezione per Kiesow) degli psicologi, universitari e non, intrattennero con la stessa Accademia delle Scienze. Se si esaminano gli “Atti” e le “Memorie” della Reale Accademia, balza allo sguardo con prepotenza la natura “divisa” della psicologia torinese, la quale non si presenta con una linea di ricerca ben definita, né tanto meno unitaria. A cavallo tra Otto e Novecento, infatti, agli sporadici contributi di stampo strettamente fisiologico da parte di Mosso e di qualche suo collaboratore, per esempio il già citato Zaccaria Treves, dedicati all’asfissia, all’apnea e in genere alla respirazione (specialmente sulle Alpi), fanno da contraltare soprattutto gli interventi di Giuseppe Allievo.
I suoi contributi spaziano da temi di pedagogia femminile a discussioni sulla forme speciali della vita psichica od «oltremondana». Anzi, si può dire che la prima autentica testimonianza, risalente al 1880, di un interesse verso temi, questioni e metodi dell’indagine sui fenomeni psichici sia coincisa con l’esposizione critica della dottrina associazionistica di Alexander Bain da parte dell’Allievo, sull’intervento del quale nella stessa occasione riferì Giuseppe Carle. Allievo era uno dei più strenui sostenitori dello spiritualismo, in nome del quale si proponeva di contrastare l’ondata di positivismo che stava per abbattersi su tutti gli ambiti del sapere, dalla psicologia alla politica. Lo studio dell’opera di Herbert Spencer e di Bain lo aveva convinto di quanto fosse «rovinosa» per la cultura pedagogica la cosiddetta psicologia «fenomenistica», negatrice della «sostanzialità e unità dell’anima». E almeno fino a tutto il primo decennio del Novecento i suoi contributi imperverseranno nelle pagine degli “Atti”, facendo intuire quale fosse il genere di psicologia che entrava nelle discussioni dei membri dell’Accademia.
Dello stesso tenore sono gli interventi di Adolfo Faggi, le cui ricerche sfiorano la psicologia specialmente attraverso la disamina del rapporto tra spiritualismo e positivismo. Benché Faggi avesse scritto sul metodo scientifico adottato in psicologia (oltre che in epistemologia e in estetica) e avesse trattato il materialismo psicofisico e i principi della moderna psicologia, la sua non può considerarsi l’opera di uno psicologo in senso stretto, come dimostrano anche i numerosi contributi apparsi sugli “Atti” dell’Accademia, nei quali l’esame psicologico sfuma in interventi a carattere letterario, pedagogico e storico-filosofico.
All’inizio del nuovo secolo compaiono soprattutto scritti di Pastore (da solo e, in collaborazione con Agliardi, sulle oscillazioni delle sensazioni di deformazione cutanea) e un unico contributo di Kiesow sulle terminazioni nervose nelle papille della punta della lingua. Presentato da Lorenzo Camerano per la classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali nel biennio 1903-04, questo lavoro riferiva su una sperimentazione condotta sulla scimmia, riprendendo i risultati già pubblicati in un articolo apparso poco prima sulla «Zeitschrift für Psychologie und Physiologie der Sinnesorgane». Si trattava di uno studio più anatomo-fisiologico che non di psicologia, che mirava a mostrare, a fondamento della notevole sensibilità della lingua, come in una sola papilla possano trovarsi più campi di sensazione. Tra gli anni Venti e Quaranta, i pochi interventi che evocano sia pure da lontano la ricerca psicologica sono quelli di Pastore, sulla filosofia dell’intuizione e del potenziamento, sul calcolo nel lavoro mentale, sull’analisi logica e il calcolo psicofisico e sul rapporto tra tempo ed emozione. A firma di Giovanni Marro compare nel 1919-20 un saggio sulla psicologia nell’antico Egitto. Marro, tra l’altro, nel 1897 aveva pubblicato uno studio medico-biologico sulla pubertà. Da queste scarse tracce si evince comunque che i contenuti autentici dell’indagine psicologica di fatto non rientravano tra gli argomenti di cui si discuteva nell’Accademia. Se poi si scorre l’elenco dei soci, l’unico nome è quello di Mario Ponzo, che figura tra i soci corrispondenti. Ma per trovarlo occorre aspettare fino al 10 gennaio 1951, quando Ponzo era già lontano da Torino, e professore di Psicologia nell’Università di Roma. Unico psicologo ante litteram, eletto tra i soci corrispondenti nel 1908, fu Roberto Ardigò, all’epoca professore di Storia della filosofia nell’Università di Padova. Un’ultima considerazione può aiutare a gettar luce sulla natura controversa e
Un allievo molto promettente era sicuramente Alessandro Gatti che aveva trascorso lunghi periodi di studio anche in svariati laboratori americani, e cominciava a diversificare i propri interessi, allargandoli alla fenomenologia e alla psicologia sociale e del lavoro. Ma la sua prematura scomparsa nel 1938, lasciò libero il campo alla sola Angiola Costa.