Dossier

Cinquant'anni di DNA - Parte II

DNA e nanotecnologie

Il DNA è una molecola dalle caratteristiche ideali per essere utilizzate nella nanotecnologie: è sufficientemente minuscola, ha delle piccole ripetizioni strutturali (ogni giro dell’elica di DNA) della lunghezza di circa 3,4-3,6 nanometri, presenta una discreta rigidità.

Nelle nanotecnologie esistono due possibili classi di applicazioni:

- i sistemi top-down (dall’alto al basso), dove la manipolazione microscopica di un piccolo numero di atomi o molecole conduce alla formazione di strutture

- i sistemi bottom-up (dal basso all’alto), in cui diverse molecole si auto-assemblano in passaggi paralleli, in base alle loro caratteristiche reciproche di riconoscimento.

L’utilizzo del DNA nelle nanotecnologie riguarda il secondo tipo di applicazioni. I primi studi risalgono agli anni Settanta, quando venivano effettuati i primi tentativi di modificazione genetica in vitro realizzando soluzioni contenenti molecole con estremità adesive in grado di unirsi spontaneamente le une alle altre. Le estremità adesive di una molecola come quella del DNA sono strutture che si formano in condizioni particolari e che si comportano come un velcro che si attacca ad un contro-velcro. Quindi due estremità per essere adesive fra di loro devono essere complementari (una come il velcro e una come il contro-velcro, o, per usare un altro esempio, una come un bottone a pressione e l’altra come il contro-bottone).

Nel caso specifico del DNA si tratta di piccole estremità a singolo filamento che sporgono dalla doppia elica. Due tratti di DNA hanno fra loro estremità adesive se uno presenta nel tratto a singolo filamento una sequenza di DNA complementare rispetto a quella presente nell’altro.

Le estremità coesive possono essere disegnate a tavolino con un numero estremamente elevato di possibilità diverse, permettendo quindi di programmare con precisione il tipo di interazioni che si vogliono ottenere fra una miscela di molecole di DNA diverse.

Citato in