Dossier

Musica e Rivoluzione Scientifica

Armonia delle sfere, musica delle sfere

L'idea di rappresentare il cosmo come un insieme di sfere concentriche, all'interno delle quali sono incastonati i pianeti, risale ad Eudosso di Cnido (c.408 - c.355 a.C.); essa è poi diffusamente ripresa nelle opere di Platone (ne vediamo le tracce per esempio nell'Epinomide, nel Timeo, nella Repubblica), di Cicerone (nel Somnium Scipionis) e, ancora molti secoli più tardi, nella Divina Commedia di Dante.

Alla rotazione dei pianeti viene associata una sinfonia musicale, prodotta proprio dal movimento delle rispettive singole sfere celesti. Questa celeste armonia è per alcuni reale, concreta, sensibile (non ce ne accorgiamo semplicemente perché udendola sin dalla nascita non la distinguiamo più, così come chi vive lungo la riva di un fiume non è più in grado di distinguere il fragore delle acque); secondo altri si tratta invece di una musica astratta, puramente razionale.

Come abbiamo già detto, per i Pitagorici era fondamentale la ricerca delle giuste proporzioni nell'ordine dell'universo. Essi associavano a ciascuno dei 7 pianeti allora conosciuti una sfera celeste, aggiungendone tre che ne portavano il numero a 10, considerato particolarmente mistico; ed erano altrettanto affascinati dalla precisione aritmetica che emergeva dallo studio di quei particolari intervalli musicali (ovvero da quelle coppie di note) che davano una sensazione piacevole all'udito, detti giusti o consonanti. I Pitagorici Il fenomeno che colpiva i Pitagorici consisteva nel fatto che il rapporto matematico tra le lunghezze dei segmenti di corde che pizzicate offrivano una sensazione piacevole all'udito era costituito sempre da frazioni particolarmente semplici, come essi potevano verificare con un monocordo.

Il legame tra la musica e l'astronomia era rappresentato dalle distanze dei pianeti dal centro del cosmo: in un'epoca in cui era impossibile ricavare tali valori da misure sperimentali, essi avanzarono l'ipotesi che i rapporti tra le distanze degli oggetti celesti possiedano una semplicità analoga a quella osservata nella lunghezza delle corde musicali, ed in particolare offrano proprio gli stessi valori. Un modello semplificato è già rintracciabile nel papiro di Eudosso, dove il rapporto tra la distanza Terra/Luna e la distanza Terra/ Sole si riteneva pari a 1/9, intervallo con cui in musica si individua il tono (ovvero la distanza per esempio tra un Sol e un La, seppure ad ottave differenti).

Secondo il racconto di Plinio, nel modello pitagorico abbiamo una precisa corrispondenza tra distanze astronomiche ed intervalli musicali, così che considerando per esempio che la Terra emetta un do, nota base della moderna scala musicale, si ascolterebbe la seguente successione di note: do, re, mib, mi, sol, la, sib, re.

Nel corso dei secoli troviamo molte proposte di note associate ai pianeti, utilizzando analogie tra distanze o velocità dei pianeti e la lunghezza delle corde musicali. Solo come esempi possiamo ricordare il modello proposto da Maurolico all'inizio del 1500 (per il quale il sistema dei pianeti avrebbe prodotto la successione di note do, re, mi, fa, sol, la, sib, do, re), o quello avanzato da Achille Petavio all'inizio del 1700 (che ricavava le note do, re, mi, fa, sol, la, sib, si, do).

Si instaura una ricca tradizione, che assimila il cosmo ad uno strumento musicale e che si tramanda lungo il Medio Evo, per trovare nuova vita nel corso del Rinascimento. Ancora nel XVII secolo, il gesuita Atanasio Kircher ricorda "la grande musica del mondo, questa corrispondenza meravigliosa dei cieli, degli elementi e delle creature", mentre in Francia Marin Mersenne sostiene come tutto ciò in cui sono rintracciabili delle proporzioni, e in particolare la disposizione dei corpi celesti, possa essere considerato un elemento che manifesta l'armonia universale.

           

                                                                                                 Redazione Torinoscienza - Anna Maria Lombardi

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