Dossier

Musica e Rivoluzione Scientifica

1617-1619, Fludd e Keplero: due modelli a confronto

Terminiamo questa breve introduzione ai rapporti tra musica ed astronomia richiamando due modelli proposti a pochi anni di distanza l'uno dall'altro, ma tra loro profondamente diversi. I due autori ebbero tra loro accese discussioni, e tra le righe di questo dibattito è possibile intravedere lo spirito di una scienza moderna che sta ormai facendo capolino.

Nel 1617 il medico inglese Robert Fludd pubblica sull'Utriusque Cosmi (Sui due Mondi) una propria rappresentazione dell'universo, immaginato come un immenso monocordo accordato direttamente dalla mano di Dio. In esso le dieci sfere pitagoriche dei pianeti manifestano l'armonia della creazione attraverso le relazioni che esistono tra le distanze delle sfere stesse. Il Monocordo del Mondo In pratica, mettendo in relazione le distanze degli oggetti celesti dal centro del cosmo (che secondo Fludd coincide con la Terra) si dovrebbero ricavare gli stessi rapporti che si trovano tra le distanze a cui dovrei premere un dito sulla corda del Monocordo divino per ottenere quei particolari intervalli musicali che avvertiamo come piacevoli, come "consonanti".

Le differenze di questo modello con quello proposto subito dopo da Keplero sono sia sostanziali, sia metodologiche; Fludd non si era preoccupato di verificare se i rapporti tra le distanze dei pianeti fornissero realmente i valori corrispondenti alle note musicali (il che in effetti non è). Viceversa, per Keplero un preciso riscontro sperimentale è fondamentale per avvalorare le proprie ipotesi, così che lo scienziato tedesco pubblica un violento attacco contro l'opera di Fludd.

Non è più la tradizione classica a sostenere le tesi di Keplero; al contrario, la forza dei dati sperimentali è ai suoi occhi tale da poter giustificare anche numerose scelte "rivoluzionarie":

1. il sistema del mondo scelto da Keplero è quello copernicano, e non più quello tolemaico: è il Sole e non la Terra al centro del sistema solare.

2. al posto delle distanze sono le velocità dei pianeti ad essere messi in analogia con le note musicali, in quanto Keplero verifica che solo in questo caso si possono ritrovare corrispondenze precise.

3. è ormai chiaro che a ciascun pianeta non è più associata né una precisa distanza (le orbite non sono perfettamente circolari) né una determinata velocità (il pianeta accelera quanto più si avvicina al Sole e decelera mentre se ne allontana, in accordo alla seconda legge di Keplero). Keplero decide di non considerare valori medi o approssimati, ma dedica numerosi anni a valutare le velocità minime e massime di ciascun pianeta, per poi utilizzare questi valori nelle proprie teorie.

Ecco quindi che il modello di Keplero è unico perché l'armonia che si ascolta non è più, come era nel caso dei pitagorici, data dalla sovrapposizione di alcune note fisse, ma evolve continuamente nel tempo. La rigorosità metodologica e il coraggio innovativo dimostrati da Keplero in queste ricerche gli permisero di arrivare alla scoperta di quella che oggi chiamiamo 'la terza legge di Keplero', la quale fissa la relazione tra la distanza di un pianeta dal Sole ed il tempo che tale pianeta impiegherà per percorrere l'intera orbita (ovvero il periodo).

Osserviamo come agli occhi di Keplero sia particolarmente affascinante il fatto che questa relazione (che sui libri di scuola abbiamo studiato come R3/T2= costante, ma che Keplero scriveva nell'equivalente forma R3/2=T) sfrutti il rapporto 3/2, che nel linguaggio di Keplero e dei suoi contemporanei prendeva il nome di intervallo sesquialtero. Difatti questa frazione rappresentava l'intervallo musicale di quinta, che stava alla base della costruzione della scala pitagorica su cui si fonda l'intera musica occidentale.

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