La sfida di tradurre dall'italiano all'italiano
Qualche anno fa (1993), Alan Cromer, un distinto fisico americano da poco scomparso, pubblicò con la Oxford U.P. un libro dal titolo suggestivo, Uncommon sense
"
Ho sottolineato l'ultima frase perché è esattamente ciò che chiamerei "catastrofe". Naturalmente, se al posto di un Dio si mette un'altra finalità, per esempio il profitto, anziché un obiettivo culturale generale e condivisibile, il risultato può essere ugualmente catastrofico.
Tuttavia, della dominanza del pensiero irrazionale nelle sue forme più anonime, direi "di fondo", abbiamo segni tangibili più che travolgenti: esso è spesso il fondamento della comunicazione di massa e della cattura del consenso; stravolge il confronto dialettico, raggiunge punte insospettabili di violenza nei conflitti; alimenta l'intolleranza, crea illusioni e afflizioni. Secondo Cromer, i greci ebbero, a differenza dei popoli che li circondavano, l'eccezionale ventura di non essere governati da monocrazie ereditarie, di non avere una religione monoteista, di intrattenere quieti rapporti commerciali con popoli diversi, di credere nella cultura e nella scuola, di essere convinti della possibilità di risoluzione dialettica delle controversie. La legge, l'etica erano, presso di loro, frutto di analisi basata sui fatti, elementi di una realtà sociale vissuta e accettata perché, in qualche modo, ottimizzata. Sicché si faceva strada l'abitudine a sviluppare le argomentazioni probanti, all'apice delle quali si trova, se le aspirazioni intellettuali non sono troppo meschine e anguste, la dimostrazione matematica: come non stupirsi ancora del fatto che una cultura di 3000 anni fa sapesse dimostrare, senza possedere nonché carta e penna nemmeno i simboli con cui oggi rappresentiamo queste cose, che √2 non è un numero "razionale", esprimibile cioè come rapporto di interi (che, per inciso, è ancora incomprensibile alla maggior parte dei nostri contemporanei)?
La funzione dello scrittore di scienza per il pubblico è, oggi, a mio parere ancora in ombra. Ho citato Cromer perché, nonostante fosse un fisico ricercatore militante nel campo degli esperimenti sulle particelle elementari con acceleratori di alta energia, sentiva che "molte cose si devono e si possono dire", al di là delle mirabolanti scoperte moderne; e non vengono dette. Di solito, chi scrive di scienza per un lettore ignoto, si trova in un imbarazzante dilemma stilistico: spiegare? sbalordire? metaforizzare? divertire? Eccetera. Ciascuno ha il suo modo, i suoi gusti. Ma ci vorrebbe un accordo, un codice: Giovanni Maria Pace ha raccontato su la Repubblica dell'11 aprile le innumerevoli, troppe, devianze analizzate nei quotidiani dall'Osservatorio Universitario di Pavia; sembrano davvero un po' troppo frequenti e comuni. Forse, è il modello di "lettore ignoto" che è sbagliato: chi scrive divulgativamente immagina di dover adescare un lettore restio e svogliato, che non ha intenzione di imparare ma solo di riconoscere ciò che già sa o di trovare spunti che rafforzino qualche sua stravagante concezione (pensate ai numeri ritardati del lotto o alla telepatia o ai sogni premonitori); il buffo compiacimento per il dejà vu lo confermerebbe il fatto che la sola formula ammessa dai giornali è E=mc2 , non perché la gente la capisca veramente ma perché è stata usata come il prezzemolo.
Io penso però che ci siano alcune possibilità non ancora ben sfruttate che dovrebbero essere sperimentate sulla stampa ospitale e provo a farne un elenco:
1 Le figure. Ai tempi di Isaac Newton, la gente si chiedeva come mai i sassi cadono e la Luna no. Già c'è sotto un equivoco: cadere, per i più, vuol dire fare un tonfo al suolo, sulla Terra. Newton se la cavò con un disegno, uno schizzo essenziale che vi faccio vedere: non ha nemmeno bisogno di spiegazioni. Oggi, abbiamo mille modi per fare figure, anche animate, assai espressive: ma, badate, nella figura di Newton non è la qualità artistica che conta, è l'idea. Ebbene, molti divulgatori dovrebbero produrre idee grafiche e, francamente, mi sembra che non lo facciano mai. Il mio compianto amico Bruno Touschek insegnava disegnando, beato lui; non tutti ne sono capaci, io non vedo figure con gli "occhi della mente", ma penso che sia un mio handicap.
2 La storia. Le scienze moderne sono su una brutta china: come Attila e i suoi Unni, bruciano i territori di cui si impadroniscono. Della storia delle idee non resta quasi traccia. C'è una vera e propria frenesia di tradurre i risultati in linguaggio canonico e archiviarli nei trattati. D'altra parte, gli storici della scienza hanno il difetto tipico degli eruditi e degli archivisti, di occuparsi di anticaglie riesumate da documenti e di vivere in un mondo separato da quello in cui la scienza vive. Servono appena, storici siffatti, a tratteggiare i caratteri dei personaggi e a rapportarli alle vicende del loro tempo (guerre, autocrazie dominanti e interessi economici e industriali, soprattutto); meglio se la vita del grande nome è tormentata da vicende politiche o sentimentali piccanti. Delle idee di Galilei si sa meno che dei suoi cattivi rapporti con la Chiesa; di Evariste Galois si sa che è morto in duello; di Pierre Curie si sa che era il marito di Marie; delle idee di Enrico Fermi si sa molto meno che del suo lavoro per la bomba atomica; di Ettore Majorana si sa soprattutto che è "misteriosamente scomparso", oppure si sa delle visioni apocalittiche che gli sono state gratuitamente attribuite da Leonardo Sciascia e su cui si sono esercitate coorti di morbosi commentatori. La storia delle idee è un settore quasi nuovo e molto promettente, bisogna potenziarlo perché le idee filtrerebbero da essa in modo naturale: ma forse è necessaria una figura professionale nuova (spero che i Master come quello della Sissa di Trieste la identifichino bene). In ogni caso, per me è scandaloso che l'insegnamento della fisica, della matematica, della biologia e di tutte le scienze nelle scuole secondarie sia stato deliberatamente depurato della loro storia.
3 Le condizioni al contorno. Come ho già detto, l'
La mia esperienza viene da venti anni di direzione (gratuita, beninteso) della più vecchia rivista divulgativa italiana: Sapere, classe 1935. Un vero bimestrale underground, che si sta avviando a diventare un samiszdat. Mai sovvenzionato da leggi sulla stampa, mai aiutato dall'onnipotente pubblicità, mai adottato da un ricco imprenditore. L'emarginazione dà un senso effimero di libertà: Sapere è una specie di "salottino" in cui alcuni amici possono parlare persino di reattori e rifiuti nucleari, ogm, ottusità governativa e così via. Vero è che a suo tempo ho avuto minacce dagli animalisti, insulti dagli ambientalisti e volgarità antinucleari: ma siamo così innocui che un bello sfogo verbale è sufficiente a soddisfare i "contrari". A me sembra incredibile ma gratificante che alcune grandi testate riprendano a volte nostre idee senza citare la fonte, come se fossimo "concorrenza". Mi scappa da ridere. E' la stranezza di questo modo di fare che mi fa ridere; ma anche un inveterato ottimismo. Al quale non intendo rinunciare: in fondo, forse è per questo che mi avete invitato; e vi ringrazio.