Dossier

Leggi, guarda, tocca. La scienza nei giornali, in tv e...

Un mensile in evoluzione. "Le Scienze" tra il modello americano e la via italiana alla divulgazione

Breve sintesi dell'intervento (testo raccolto da Andrea Vico)

Nel 1968 Felice Ippolito, uno scienziato non troppo amato, per la sua estrema schiettezza, dai politici e dai suo stessi colleghi, e un editore coraggioso come Mondadori decisero di proporre al pubblico italiano una versione tradotta del prestigioso mensile Scientific American.

Tutti li sconsigliarono, compresi gli eminenti esperti del marketing (e questo la dice lunga sui consigli che sanno dare queste persone): "per una simile operazione, in Italia, non c'è mercato", continuavano a sentirsi dire. Ma loro perseguirono i loro obiettivi e, a oltre trent'anni di distanza, i fatti gli danno ragione: con 33 mila abbonati e circa 35 mila copie vendute in edicola, "Le Scienze" è un successo. Forse un "piccolo" successo se paragoniamo la nostra tiratura a quella di altri mensili di divulgazione scientifica; ma ci è sempre stato chiaro che il nostro è un pubblico di nicchia.

Tant'è che con il fiorire, negli ultimi anni, di ben 4 nuove testate, noi non abbiamo perso lettori e ogni testata ha individuato la sua fascia di pubblico senza causare un travaso dai lettori di una testata potenzialmente concorrente.

Detto questo, devo confessare che non sono affatto ottimista circa lo stato di salute della divulgazione scientifica in Italia. Nonostante nel nostro Paese si vendano poco meno di 2 milioni di copie di riviste scientifiche (tra quelle più tecniche e di nicchia a quelle più popolari) resta il fatto che il 64% degli italiani è illitteracy: non sa capire fino in fondo e riassumere i concetti racchiusi in un qualsiasi editoriale di un quotidiano. Altro dato allarmante è la continua emorragia di iscritti dalle facoltà scientifiche: in certi atenei, i corsi di laurea in fisica, matematica, scienze naturali hanno ormai perso il 50% degli iscritti.

Accanto ai risultati dell'indagine condotta dall'Osservatorio Tutti Media, il recente rapporto dell'osservatorio di Pavia su come i temi di agrobiotecnologie sono stati trattati dalla stampa dimostra come molte scelte da parte del pubblico e dei politici siano l'immediato frutto della disinformazione. Una disinformazione che è così grave e sistematica che non può essere imputabile all'ignoranza o alla superficialità dei giornalisti; evidentemente è parte di una strategia programmata. Quello che abbiamo letto nell'ultimo anno riguardo il supposto "rischio elettrosmog" (elettrosmog, tra l'altro, è una parola che non esiste, che non ha alcun fondamento scientifico, che è stata "imposta" da quei giornali più attenti ai titoli che al contenuto dell'articolo) o quello che ormai da 2-3 anni si legge in fatto di organismi geneticamente modificati non si spiega altrimenti: è una disinformazione voluta e abilmente orchestrata. Ciò che è accaduto più di 15 anni fa dopo l'incidente di Chernobyl evidentemente non è bastato.

E con così tanto fumo negli occhi, i cittadini non si accorgono dei problemi veri del mondo della scienza: negli ultimi 8-9 anni tutti i governi che si sono avvicendati (tutti, a prescindere dallo schieramento politico di cui erano espressione) hanno continuamente tagliato fondi alla ricerca, ben il 35% in meno, nel complesso. E oggi assistiamo ad altre "economie".

Togliere fondi alla ricerca, anche a quella "pura" che apparentemente non ha risvolti immediati, significa tarpare le ali al benessere di domani e legare il nostro Paese alla "sudditanza" scientifica verso chi nella scienza crede e investe. E continuare a permettere la disinformazione, anziché sostenere una vera e sana divulgazione scientifica, significa andare incontro alla perdita di libertà nelle decisioni importanti per il nostro futuro.

Suggerimenti