Dossier

Leggi, guarda, tocca. La scienza nei giornali, in tv e...

L'intervento del Direttore di Quark

In Italia la tribù dei ricercatori è di norma emarginata dai tagli alla spesa pubblica, umiliata da un sistema che non paga né in termini di lavoro né in termini di opportunità economica e sociale, eppure comunque la tecnologia e la scienza sono potentemente presenti nel nostro quotidiano e conquistano terreno su tutti i media.

In Italia scarseggiano le “vocazioni” verso le facoltà scientifiche (gli ultimi dati in mio possesso indicano al contrario una diminuzione del 12 per cento) ma oltre 1 milione e 300.000 lettori di ogni ordine e grado, ma soprattutto giovani, leggono riviste scientifiche o almeno di divulgazione scientifica.

C’è una contraddizione che occorre studiare cominciando con spiegarci

·che cos’è la divulgazione scientifica e se è diversa dal giornalismo scientifico

·come può se può aiutare la comprensione e quindi anche lo sviluppo della scienza

·chi la fa e come in Italia

·quale è il modello di riferimento

·a cosa serve divulgare la scienza

·qualche regola di base

·come la fa Quark

Punto 1: Cosa si intende per divulgazione scientifica?

L’articolo sulla mucca pazza sul quotidiano, il meteorologo che spiega il tempo nel weekend in televisione, la guida al museo di storia naturale, l’ufficio stampa di un laboratorio di ricerca sia pubblico sia privato, la rivista scientifica, la dispensa di enciclopedia… tutti fanno divulgazione scientifica ovvero aiutano i non scienziati a venire in contatto con la scienza a comprenderne i percorsi, i processi i risultati.

Il giornalismo scientifico fa parte di questo insieme come un insieme più ristretto perché dovrebbe:

·non fare solo opera di didattica ma agganciare l’attualità della ricerca.

·Mettere in contatto il pubblico più vasto con quello che sta avvenendo nei laboratori del mondo qui e ora, seguendo la notizia, il farsi di una ricerca.

·Mettere in relazione ogni scoperta, ricerca, studio, ipotesi, invenzione con le conoscenze acquisite, con le prospettive future, con la situazione socioeconomica, con la nostra vita quotidiana.

Ma è davvero così?

Punto 2: La divulgazione scientifica aiuta la scienza?

Evidentemente finita l’epoca in cui popolarizzare la scienza era pratica poco rispettabile. Finita l’epoca in cui uno scienziato che si azzardava a pubblicare sulla stampa popolare era guardato con disprezzo se con ironia dai colleghi e il giornalista che si avventurava nelle stanze segrete del sapere tecnico-scientifico era osservato con supponenza e ricacciato tra il popolo dei non eletti con sorrisini di autocompiacimento.

Tuttavia oggi come ieri il divulgatore è visto per lo più come una sorta di interprete che ha il mero compito di tradurre la conoscenza scientifica in un linguaggio accessibile ai non specialisti.

Il giornalista scientifico, in quest’ottica, dovrebbe essere un semplice mediatore, proprio come la guida di un museo di storia naturale o l’ufficio stampa di una multinazionale del farmaco.

Dovrebbe tradurre genoma in patrimonio ereditario o insieme di geni…e basta. Per fortuna quasi sempre il giornalista è incapace di restare aderente a questo ruolo!

La concezione tradizionale della comunicazione scientifica è quindi quella di un flusso lineare che dai laboratori arriva al pubblico attraverso i media

SCIENZA MEDIA PUBBLICO

Una visione riduttiva che ha alcune conseguenze

·Una positiva: in genere gli scienziati ritengono che una maggiore diffusione delle conoscenze scientifiche aiuti la scienza, ne provochi apprezzamento e quindi sostegno

·Una negativa: la presenza dei mediatori autorizza lo scienziato a tirarsi fuori dalle responsabilità dell’impatto sociale di quello che fa, a proclamarsi estraneo al processo di comunicazione pubblica della ricerca deprecandone gli errori, gli eccessi, i toni, le distorsioni…

·Una riduttiva: i media vengono visti come uno SPECCHIO SPORCO della scienza, una lente opaca che non è in grado di filtrare adeguatamente i contenuti scientifici. Uno specchio a volte utile, ma sostanzialmente passivo e inadeguato.

·Una politica: emerge una concezione pedagogico-paternalista della comunicazione della scienza fatta per alfabetizzare il popolo considerato di norma scarsamente preparato. Il flusso va dall’alto (la cittadella della ricerca) al basso (il pubblico ignorante). Non è previsto feedback, né la critica, né l’interpretazione.

Basta pensare a quello che oggi accade con la mucca pazza, gli ogm, le cellule staminali, il nucleare per capire che una visione di questo tipo è quanto meno riduttiva e incapace di rendere a pieno che cosa oggi significa comunicare la scienza! E soprattutto incapace di rendere conto dell’impatto che la comunicazione della scienza oggi ha in tutte le direzioni!

Punto 3: Come viene fatta e da chi divulgazione in Italia?

E’ nata in Italia una nutrita schiera di ottimi giornalisti specializzati capace di riempire pagine significative dei nostri giornali e riviste. Tuttavia se vuole uscire dalle pagine ad essa deputate (che a seconda delle mode si moltiplicano o si dimezzano nei timoni dei giornali), la divulgazione finisce per soffrire dello stesso male di cui soffre il giornalismo italiano. Che alterna alla rincorsa delle famose tre esse che fanno audience e acchiappano lettori: sesso soldi e sangue la vocazione a far da spalla al bla bla della politica che schiaccia devo dire, oltre la scienza, la cronaca, gli esteri, la cultura.

L’informazione scientifica finisce poi con l’oscillare tra il miracolismo (la scienza o la tecnologia capaci di tutto, le case del futuro, le città del 3001, la conquista di altri mondi, la longevità illimitata) e la demonizzazione (i cibi di Frankenstein, Echelon, il dominio tecnocratico, la fine della poesia, lo sterminio degli embrioni, l’Aids come castigo divino).

Si nota, ed è ovvio, una maggiore importanza dei valori sociali rispetto a quelli prettamente scientifici nell’affrontare temi di divulgazione, così come la copertura di temi e notizie che vengono dalla scienza è spesso condizionata da eventi che fanno notizia o che si possono legare ad altri più “popolari” o sociali o spettacolarizzabili.

Una scoperta matematica non avrà mai l’onore della prima pagina ma anche l’ultimo irrilevante esperimento sugli embrioni darà luogo a un infinito dibattito. E gli esperti? Quasi mai sono scelti in quanto di fatto i più accreditati a parlare di un certo tema, ma per visibilità, fama, popolarità, verve polemica, fede, collocazione politica…

In più nel nostro Paese ad esse bipolare è sostanzialmente uno schema mentale.

Ogni cosa finisce per entrare nella casella di destra o di sinistra. Ogni notizia dà luogo a una scelta di campo o di qua o di là o per le biotecnologie o contro, o per la grande marcia dell’elettronica o per il ritorno alla natura, internet libera o internet sotto sorveglianza, farmaci per tutte le occasioni o esaltazione acritica delle medicine alternative, dei santoni, delle pratiche esotiche.

Una curiosità spesso deviata induce stampa e televisione a farsi domande non sui risultati di una ricerca, la metodologia usata, le ricadute pratiche dei risultati raggiunti, ma sulle reazioni “a caldo” dei commentatori di professione, meglio se per par condicio uno è di destra e uno di sinistra, uno laico e uno cattolico.

Se Antinori dichiara di clonare l’uomo da qui a un mese quasi nessuno mette in chiaro le insormontabili difficoltà tecniche e l’impossibilità di fatto di una tecnica simile (per Dolly sono stati fatti 277 tentativi, gli embrioni hanno un tasso di mortalità del 70%) ma fiumi di inchiostro vengono versati sulle conseguenze etiche di un simile “esperimento”.

E gli scienziati?

E i ricercatori? Sono davvero estranei al processo di divulgazione, soggetti alle manipolazioni dei giornalisti o alle incompetenze dei lettori? Al contrario.

Oggi più che mai gli scienziati sembrano sforzarsi di convincere il pubblico del valore e del fascino delle loro scoperte e ricerche.

Non lo fanno solo per ecumenismo e neanche per rendere democratica la scienza o indottrinare il popolo. Sanno benissimo che i fondi per la ricerca dipendono dal denaro dei contribuenti, dipendono da politici che spesso sono molto lontani dai laboratori e che possono avvicinarsi solo sulla spinta di elettori interessati e informati.

E’ evidente però che manca ancora da noi una tradizione di divulgazione dall’alto. Salvo rare eccezioni (penso a Boncinelli, Mainardi, Dulbecco e altri) per fortuna in costante aumento i professori non usano il volgare, non rinunciano al linguaggio criptico della setta di appartenenza, e non si fidano in genere dei giornalisti che vogliono cercare di farlo per loro.

Tuttavia è indubbio che pensare che la divulgazione scientifica sia solo e sempre opera di mediatori e che sia solo uno specchio sporco e passivo dell’opera di chi vive in una torre d’avorio non può funzionare.

Punto 5: Un nuovo modello di comunicazione scientifica?

Massimiliano Bucchi nel suo recente Scienza e Società, ed. Il Mulino, traccia un nuovo modello di comunicazione pubblica della scienza che vede il flusso delle informazioni come un continuum con numerosi feed back e strade alternative.

La via a quattro livelli prevede

·un livello intraspecialistico (il paper pubblicato su rivista specializzata rivolto ai colleghi)

·un livello interspecialistico (articoli interdisciplinari pubblicati su periodici ponte come Nature, Science, Le scienze, relazioni a convegni etc.)

·un livello pedagogico (la scienza che finisce sui manuali)

·un livello popolare (stampa quotidiana, trasmissioni televisive, riviste amatoriali)

In questo modello la notizia scientifica in realtà subisce un continuo processo di trasformazione in più stadi e a più livelli passando da essere intrisa di incertezze, dubbi, citazioni di fonti, analisi di metodiche, a diventare una nozione condivisa sempre più certificata, fino ad assumere la validità di un vero e proprio fatto incontrovertibile.

Passando da un livello all’altro la notizia perde di flessibilità e sottigliezza, si carica di analogie e di valenze sociali e come tale rimbalza nei feedback dai livelli inferiori ai livelli superiori provocandovi a sua volta delle trasformazioni e dei mutamenti di rotta.

Non solo: il livello di comunicazione popolare gioca un ruolo molto sofisticato che diventa oggi sempre più evidente

Non è raro infatti che il percorso canonico non venga mantenuto e che la scienza parli direttamente all’opinione pubblica prima di parlare a se stessa.

Pensiamo al caso della fusione fredda o della decifrazione del genoma: per ragioni politiche o sociali, o di convenienza (economica, privata etc.) conflitti o situazioni di crisi all’interno della comunità scientifica vengono risolti cointeressando il livello pubblico e da questo livello rimbalzano ai piani alti della ricerca provocandovi ricadute a tutti i livelli.

Non solo: spesso è dal livello pubblico che la notizia o l’esigenza di chiarezza, o di informazione prende corpo e produce lavoro scientifico: pensiamo al buco dell’ozono o all’estinzione dei dinosauri, o ai rischi legari agli OGM. In questi casi è stata l’opinione pubblica sollecitata il punto di innesco e non lo specchio sporco di quanto accadeva nei laboratori.

Conoscenza scientifica e divulgazione scientifica interagiscono quindi in molti modi e non l’una attiva e l’altra passiva. Il ruolo di chi comunica scienza è perciò un ruolo non di mera interpretazione e mediazione ma complesso e difficile con responsabilità e doveri. Da non dimenticare.

Punto 6: Ma a cosa serve divulgare la scienza?

Oggi la scienza e la tecnologia sono diventate parte integrante della nostra vita quotidiana. Nel bene e nel male non sono campo esclusivo di filosofi e scienziati. Sono cose che ci riguardano e quando dico “ci” dico la massaia di Voghera, lo studente di Napoli, il macellaio di Cantù. Ci riguardano perché non mangiamo più la bistecca alla fiorentina, ci mandiamo messaggini via cellulare, mangiamo fragole transgeniche, ci colleghiamo con il mondo con un click, guardiamo film in digitale, ci vestiamo di biopolimeri, respiriamo diossina, facciamo figli in provetta, ci trapiantiamo organi, costruiamo i nostri pezzi di ricambio in laboratorio e via dicendo.

Oggi essere consapevoli della nostra vita e gestori del nostro futuro equivale a conoscere i percorsi della scienza, a capire i pericoli e le prospettive della tecnologia. Oggi essere protagonisti attivi della società vuol dire non lasciare che siano altri a governare il nostro futuro e a prendere le decisioni per noi, oggi, vivere pienamente la democrazia significa sapere di scienza, capire cosa sia un prione, perché l’afta epizootica si diffonde, cosa sono le cellule staminali, come la rete delle reti ti controlla, come prevedo un ciclone in arrivo grazie al satellite, quali sono i rischi in un pianeta che si riscalda.

La scienza moderna nasce già come ribellione al principio di autorità, come rivendicazione del controllo, della prova, dell’oggettività contro la metafisica, l’assioma, il sistema. Tra le ragioni dell’ostilità a Galileo non fu certo ultima la sua abitudine a divulgare le proprie rivoluzionarie scoperte servendosi del volgare.

Da sempre c’è un nesso imprescindibile tra alfabetizzazione scientifica e partecipazione civile. E oggi questo nesso si avverte in modo impellente. Sapere di scienza é, mai come in questo momento, il discrimine tra essere liberi e non esserlo. E non credo che questa sia una esagerazione. Forse sapere non è potere ma è forse l’unica via per controllare il potere.

Forse per questo divulgare scienza oggi non è soltanto un mestiere divertente, un’avventura dello spirito, un affare editoriale. E’ un messaggio di liberazione e di consapevolezza.

Consapevolezza che la scienza stessa ha cambiato pelle, si è inserita all’interno di enormi e complesse organizzazioni accademiche, industriali, governative, private. Esistono nuovi rapporti inediti tra produzione e ricerca, tra business e laboratori, tra mercato e studio. Alcune vecchie categorie perdono spessore come quelle che distinguevano scienza pura e applicata, scienza e tecnologia; anche i singoli settori in cui si divide la scienza sfumano spesso i contorni.

Siamo chiamati a spiegare questa scienza: sempre più interdisciplinare, sempre più internazionale, sempre meno disinteressata, sempre meno pura. E i rapporti di questa scienza con il sociale. Perché di fronte ad essa non possiamo essere neutrali. Ma dobbiamo essere informati per poter scegliere e vivere il nostro tempo, non essere emarginati dal futuro, né incantati dalle sirene medianiche, dai leader carismatici, delle verità per fede.

Divulgare la scienza è divulgare la civiltà del dubbio, del controllo, della falsificazione. Divulgare scienza significa divulgare lo spirito critico come atteggiamento dello spirito, la ricerca delle domande contro l’imperativo di chi crede di avere solo risposte.

Punto 7: Come la racconti la scienza?

E’ un giornalismo diverso quello che cerca di raccontare la scienza, è un giornalismo che tenta di coniugare curiosità e novità con la complessità dei temi che deve affrontare con la loro non liquidabilità in poche battute a effetto.

Qualcuno ha scritto:

Sai descrivere una scala a chiocciola senza muovere le mani? Allora sei un buon divulgatore.

·Di certo ci vuole una buona dose di preparazione. Un lavoro di base, la creazione di un patrimonio di informazioni e di contatti.

·Ci vuole proprietà di linguaggio e stile di scrittura. Non dico scrivere come Baricco o come Pennac dico rispettare le regole del giornalismo di qualità. Piero Angela scrive: contenuti dalla parte della scienza, linguaggio dalla parte del lettore.

·Ci vuole curiosità per far diventare interessanti anche le cose più banali. A volte finiamo con il perderci dietro le grandi domande sull’origine delle cose e non vediamo quanto più interessante sarebbe sapere come funziona ciò che ci sta attorno.

·Ci vuole poi un’altra buona dose di voglia di lavorare, di ricerca di notizie, di controllo delle fonti, di preparazione personale e di umiltà. Non ci si improvvisa, si studia, si leggono le riviste e i giornali si osserva come altri hanno lavorato.

·Bisogna avere il coraggio o la determinazione di arrivare alle fonti delle notizie, non accontentarsi di notizie di seconda o terza mano.

·Bisogna cercare di essere originali e obiettivi. Né apocalittici né integrati, né pronti a invocare il fuoco dell’inferno per gli scienziati cui tutto sembra possibile né pronti a inginocchiarsi reverenti di fronte agli ultimi ritrovati della tecnologia non importa quanto inutili o astrusi o inconsistenti.

·Bisogna saper scrivere in modo facile, corretto, divertente: ogni articolo dovrebbe poter essere letto ad alta voce, o meglio dovrebbe essere la registrazione di una conversazione con gli amici.

·Niente gergo, niente parolone, via i giri di parole, si a un buon sano uso dell’analogia, dell’esempio calzante che riporti la più astrusa delle teorie al senso comune all’esperienza quotidiana.

Punto 8: Come noi raccontiamo la scienza

Poi ci sono le regole che ci siamo dati noi a Quark.

Quark parte dalla convinzione che c’è un’intima profonda interconnessione tra tutto il sapere e che in ogni percorso della conoscenza molti sono gli incroci e molte le diramazioni.

Una delle mancanze più gravi della nostra visione della scienza riguarda quella che è stata chiamata la Terza Cultura: la capacità di mettere in connessione ambiti diversi del sapere, di travalicare i recinti dell’accademia per proporre una immagine a tutto tondo, complessa ma organica, articolata ma originale. Così, il solo modo per rendere tutto ciò evidente era tracciare grandi e facili autostrade e lasciare che gli svincoli, gli attraversamenti e gli innesti inevitabili tra loro le collegassero in una grande rete. Per questo il giornale è suddiviso in quattro grandi aree tematiche definite da un codice colore:

scienza (rosso),

tecnologia (blu),

società (verde),

salute (arancio).

La regola è quella di lavorare su 4 livelli di leggibilità del testo: l’inchiesta, i box di approfondimento, le tavole illustrate per la didattica e il link per l’interconnessione.

E’ questo è il nostro ipertesto di carta, quel quid che rimanda ad altro che esce dall’argomento per entrare in un altro che mette in relazione tutte le scienze, e le scienze con l’arte, la letteratura. Non ci sono barriere tra le scienze né tra le scienze e la vita vissuta: ogni volta che tocchiamo un fiore inneschiamo un processo di causalità e di casualità che disturberà anche le stelle come scrive Gregory Bateson.

La regola è quella di lavorare su 4 livelli di leggibilità del testo: l’inchiesta, i box di approfondimento, le tavole illustrate per la didattica e il link per l’interconnessione.

E’ questo è il nostro ipertesto di carta, quel quid che rimanda ad altro che esce dall’argomento per entrare in un altro che mette in relazione tutte le scienze, e le scienze con l’arte, la letteratura. Non ci sono barriere tra le scienze né tra le scienze e la vita vissuta: ogni volta che tocchiamo un fiore inneschiamo un processo di causalità e di casualità che disturberà anche le stelle come scrive Gregory Bateson.

Infine una regola importante per Quark è l’attenzione non solo al piacere che proviamo nel sapere una cosa ma anche all’utilità che ci può venire dal conoscere, alle ricadute delle ricerche in corso, delle scoperte, delle invenzioni. La scienza dunque non avulsa dal quotidiano ma parte integrante di esso nel breve lungo periodo ora o in futuro, per la nostra comodità o per la nostra crescita sociale o civile, per la nostra salute e per la nostra consapevolezza. Meglio saperlo dunque.

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