L'intervento dell'Assessore Valter Giuliano
Porto i saluti a nome della Presidente della Provincia prof.ssa Marcedes Bresso, impegnata in questi giorni a Bruxelles e a Stoccolma, dove ha ritirato il Premio dell'Unione Europea che riconosce l'area torinese come territorio di eccellenza nei settori dell'innovazione.
Qui a fianco si celebra la seconda giornata della Conferenza annuale del Technology Innovation Information.
Ieri è stato siglato nella nostra città l'atto costitutivo del Comitato promotore per il distretto tecnologico "To-wireless".
Sono i segnali più recenti, in tempo reale, che dimostrano, se mai ce ne fosse bisogno, che il nostro territorio mantiene un ruolo di eccellenza nel settore della ricerca scientifica e dell'applicazione tecnologica innovativa.
Noi ci proponiamo di comunicare questa eccellenza che ha radici forti nella storia di questa città.
E' per questo che, nell'ambito del progetto Science Center, abbiamo organizzato questo convegno che prende le mosse dalla ricerca di Giovanni Giovannini e dell'Osservatorio TuttiMedia sul rapporto tra "Scienza e mass media".
Il convegno è parte integrantedello Science Center cui la Provincia di Torino sta lavorando da tempo.
Una nuova istituzione, necessaria per Torino, che ha nel settore una forte tradizione e che soprattutto mantiene quell'eccelenza nel sapere scientifico che significa prospettive di futuro, significa competitività per l'area torinese, significa occasione di sviluppo intellettuale, significa possibilità di nuova occupazione qualificata.
Dunque lo Science Center si articola con una specifica fisicità, ma anche e soprattutto con l'immaterialità della promozione culturale e della formazione nel settore del sapere scientifico e tecnologico. Ne sono parte integrante i progetti sin qui sviluppati, dal portale Internet (sito torinoscienza.it), a Lab-VR, visita virtuale ai laboratori presenti nella nostra area, alla mostra "Next. Bit, DNA e sonde spaziali" dello scorso anno, piuttosto che con i prossimi appuntamenti sul rapporto tra arte e scienza.
Ma lo Science Center è anche una maniera per faresistema della rete della divulgazione scientifica che questa città possiede e che, al pari del sistema museale dell'arte o delle residenze reali, necessita di comunicazione e di valorizzazione.
Proprio perché Torino possiede questa rete articolata di istituzioni che si occupano di scienza e tecnologia, il modello torinese di Science Center non è riconducibile a nessuna delle esperienze internazionali ed europee dalle quali pure abbiamo tratto ispirazione con due momenti di approfondimento condotti in collaborazione con la Fondazione Agnelli.
La struttura che dobbiamo immaginare non ha dunque le stesse necessità di analoghe istituzioni localizzate in aree con tessuto urbano povero di esperienze scientifiche in atto.
Ha soprattutto la necessità di "fare sistema", di dare forza alla rete esistente divenendone il fulcro, il punto di riferimento, il cuore pulsante.
Oggi, nel progettare una simile struttura, non possiamo non porci l'interrogativo su come e con quali strumenti bisogna comunicare la scienza del futuro.
Per quella del passato, per la storia, le linee sono tracciate e semmai necessitano di qualche adeguamento e aggiornamento nei linguaggi, da quelli della carta stampata a quelli dell'immagine, a quelli museali.
Per la scienza del futuro e dell'oggi il compito si fa più arduo.
Ed è proprio quello che noi dobbiamo affrontare giacché, in un disegno nazionale dei centri di eccellenza sulla divulgazione scientifica, Torino dovrà essere punto di riferimento per esplorare e informare i cittadini delle frontiere delle ricerca.
Ci troviamo dunque di fronte alla sfida avvincente di immaginare e definire un progetto di comunicazione che si basa esso stesso su una istituzione innovativa come lo Science Center che si può dire sia ancora a livello sperimentale, con modelli diversificati e originali. Anche il nostro lo sarà, avendo scelto un'impronta non generalista ma costruita sui tre settori di eccellenza del nostro territorio: la macchina, le biotecnologie, le infotecnologie.
Nell'affrontare questi temi lo Science Center dovrà inoltre diventare un irrinunciabile punto di contatto tra la cultura umanistica e il sapere scientifico e tecnologico, in una relazione continua capace di sollecitazioni e di scambi di informazione.
Un obiettivo pienamente immerso nel dibattito della contemporaneità, che ha bisogno dell'una e dell'altro.
Il sapere scientifico è infatti quanto mai necessario, oggi, per prendere in totale coscienza, come il sistema democratico impone, le decisioni per il futuro.
In questo esercizio di democrazia è destinato sempre più a incrociarsi con l'etica e la morale. Ma perché questo incrocio sia possibile occorre conoscere.
Per conoscere occorre attivare tutti gli strumenti di informazione e di formazione disponibili: la scuola, i mass media, le strutture, ancora troppo deboli nel nostro paese, di educazione permanente.
Perché non si può certo dire che la conoscenza scientifica sia oggi sufficiente nel nostro paese.
L'osservatorio di Pavia ha esaminato, su incarico di CropLife, quasi 400 articoli di quotidiani e più di 100 servizi televisivi, prodotti durante il 2001, nell'ambito di uno specifico progetto sulle agrobiotecnologie.
I primi risultati sono stati presentati di recente a Roma in una conferenza stampa. E' emerso un approccio superficiale, che privilegia lo scontro tra opposte fazioni, spesso pregiudizialmente contrassegnate, piuttosto che la descrizione puntuale dello scottante tema degli OGM.
Nell'informazione scientifica le opinioni emergono decisamente sui fatti.
Eppure, come accade in tutti i campi del sapere, sarebbe opportuno che l'informazione facesse prima di tutto
Che prevalessero spesso opinioni ascentifiche era già accaduto ad esempio nel corso degli ultimi tragici eventi alluvionali che hanno colpito la nostra regione.
Si era preferito portare allora alla ribalta di giornali e televisioni, opinionisti improvvisati e del tutto impreparati in idraulica, fisica dei flussi, piuttosto che in idrogeologia. Ne seguì un'informazione che anziché contribuire a che i più consolidati e sbagliati luoghi comuni (ad esempio che scavare il letto dei fiumi eviti le alluvioni) trovassero le necessarie confutazioni scientifiche alla vigilia del Nuovo Millennio, contribuì alla disinformazione collettiva.
Il tema delle biotecnologie è sicuramente uno degli argomenti più scottanti e attuali che richiederebbe un approccio non ideologico e massimalista, ma serie informazioni scientificamente corrette.
Invece sentiamo continuamente confusioni tra tecniche di miglioramento genetico tradizionali e biotecnologie che utilizzando tecniche di frontiera come il DNA ricombinante consentono risultati i cui effetti non sono o sono poco noti, al più non lo sono a livello statisticamente significativo per la ricerca biologica.
Allo stesso modo e sullo stesso argomento, la cattiva informazione fa a volte collegamenti ardui, come quello tra la mappatura definitiva del genoma del riso, con la lotta alla fame nel mondo. Dimenticando, nello stesso momento in cui apre questi crediti di speranza, che ad esempio l'India, pur essendo il maggior produttore mondiale di riso, registra quotidianamente lo spettro della povertà e della morte per fame che si aggira in molte delle sue regioni, a ribadire che più della genetica potrebbe la giustizia sociale e l'uguaglianza, indispensabili per colmare l'insostenibile divario tra Nord e Sud del mondo.
Il
Da un lato ci dice che l'opinione pubblica ha sempre più difficoltà a orientarsi e a formarsi un'opinione, visto che il tema richiederebbe, come minimo, basi di biologia molecolare piuttosto che di genetica applicata. Dunque è indotto a cedere all'emotività o al pregiudizio indotto dall'una o dall'altra parte, dal naturalismo romantico piuttosto che dal cieco fideismo nel progresso tecnologico.
Dall'altro lato emerge che la complessità e la specializzazione estrema delle nuove frontiere delle scienza superano le capacità di adattamento e adeguamento dell'opinione pubblica. Dunque una mediazione il più possibile corretta e dunque preparata, è più che mai necessaria se non indispensabile.
La professionalità del giornalista, come mediatore tra fonte delle notizie e pubblico, ci insegnano stia proprio in questo.
Come amministratore pubblico e dunque rappresentante della politica non voglio rinunciare a una interpretazione alta della politica, come ermeneutica capace di essere mediatrice tra scienza e società, in grado di intercettare e interpretare nella maniera più competente possibile, anche sotto il profilo tecnico, i bisogni e i sistemi di valori della collettività.
Non mi nascondo che questa posizione rischia di apparire velleitaria, visto che scienza ed
In questo scenario, nemmeno più il richiamo all'etica delle responsabilità o alla bioetica, rischia di essere sufficiente. Anche se il filone di pensiero formulato da Max Weber e di recente aggiornato da Hans Jonas, rimane un richiamo forte alla responsabilità delle azioni e alle loro conseguenze non solo per l'oggi ma anche sulle generazioni future.
L'insufficienza che paventavo nasce dal fatto che alla ricerca scientifica non si possono porre confini, perché rappresenta l'innata sete di sapere dell'umanità che da sempre la spinge ad esplorare i confini ultimi del conoscibile, con risultati che per loro stessa natura non sono prevedibili.
Davanti alla prospettiva che l'uomo riesca infine a soddisfare la sua curiosità, dando ad esempio origine, nei suoi laboratori, all'antimateria capace di assorbire la materia esistente in un buco nero artificialmente creato dall'uomo -che rappresentarebbe peraltro un successo scientifico- come ci poniamo?
Con la macchina a vapore siamo entrati nell'era delle termodinamica e nel 1947 con "Studio termodinamico dei fenomeni irreversibili" di Ilya Prigogine si è passati dalla termodinamica classica dei sistemi chiusi a quella dei sistemi aperti e si è infine giunti con Georgescu Roegen alla cosiddetta Quarta legge della termodinamica: "in ogni sistema chiuso la materia utilizzabile si degrada irrevocabilmente in materia non utilizzabile". Queste conoscenze, affiancate alla legge sull'entropia dovrebbero far riflettere molto l'umanità sui limiti della crescita portati al centro dell'attenzione dell'opinione pubblica dal famoso studio del M.I.T., su incarico del Club di Roma, all'inizio degli anni settanta e il cui titolo fu malamente tradotto, in Italia, con "I limiti dello sviluppo".
Davanti a queste conoscenze che la scienza mette a nostra disposizione, ma che purtroppo non sono condivise che da piccoli gruppi elitari, diventa naturale almeno invocare il "principio di cautela" rispetto alle novità scientifiche non sufficientemente sperimentate, ricordando che per molte potrebbe valere il monito del finale di un film di qualche anno fa: "l'unica maniera per vincere è non giocare".
E' infatti evidente che l'incalzante rapidità con cui le scoperte scientifiche e le conseguenti innovazioni tecnologiche si susseguono, ci inducono ad assumere decisioni spesso in condizioni di ignoranza. Un'ignoranza per questo ancora più preoccupante, giacché il problema della sostenibilità dello sviluppo va affrontata oggi non tanto in termini di limiti quantitativi ma piuttosto di incompatibilità qualitativa con le regole della vita. Solo immaginando e perseguendo un sistema a bassa entropia, autoregolato sul minimo di bisogni e consumi, si può garantire un futuro alla biosfera senza la quale la vita non è possibile nemmeno in una tecnosfera artificialmente costruita dall'uomo.
Ma perché ciò possa verificarsi è necessario porsi alcune domande che collegano le più recenti acquisizioni scientifiche con i nostri comportamenti.
Ne propongo qualcuna.
Che ne sappiamo degli effetti, che pure ci sono, della fisica quantistica sulla biologia e dunque sulla materia vivente uomo incluso?
Che cosa conosciamo della tecnologia elettromagnetica militare che ha messo a punto raggi laser di potenza tale da dissolvere legami interatomici a distanze di centinaia di chilometri?
Il morbo della "mucca pazza" ha portato alla scoperta di un fatto sconvolgente e cioè che proteine patogene possono conformare a sé analoghe proteine normali attraverso un "effetto domino", incomprensibile senza un'induzione elettromagnetica. Una scoperta che ribadisce in maniera inequivocabile l'unità tra legame fisico-chimico, vibrazione elettromagnetica (di cui l'etere è sempre più denso per interessi commerciali e militari) e forma tridimensionale di ogni molecola informativa biologica. Vogliamo tenerne conto? Ne stiamo tenendo conto?
Si parla sempre più spesso di energia solare come fonte energetica pulita. Ma ciò è vero solo se ignoraiamo la fondamentale incompatibilità tra elettricità tecnogenica e coerenza elettrodinamica quantistica della vita. Inoltre pensiamo davvero che sempre maggiori consumi, sia pure tendenzialmente di energie pulite, siano compatibili con la legge dell'entropia nota da tempo?
E' evidente a questo punto che uno degli obiettivi dello Science Center, il dialogo tra i saperi, si impone.
Rupert Riedl ci ricorda, molto opportunamente, che le scienze naturali sono semicieche, con una struttura teorica forte ma con un orizzonte inadeguato ai problemi della contemporaneità, mentre quelle sociali sono semimute perché abbracciano prospettive ampie ma non hanno sviluppato un sufficiente rigore metodologico
Una delle sfide strategiche dei prossimi anni sarà dunque quella di ridurre la frammentazione dei saperi mettendoli in dialogo costante, affinché scienza e coscienza si interroghino reciprocamente.
Perché ciò possa avvenire, la cultura del nuovo secolo dovrà ancora passare attraverso la conoscenza di Dante Goethe, Shakespeare, Proust, ma non potrà fare a meno di Watson e Crick, Einstein, Max Planck.
Con il progetto dello Science Center cerchiamo e cercheremo di dare il nostro contributo.
Per ora vi consegno queste riflessioni che spero possano essere utili al dibattito.