Dossier

L'infinito di Edgar Allan Poe

Materia finita nello spazio infinito

Ritratto di Lucrezio Caro Uno dei più antichi dilemmi della cosmologia è se lo spazio sia finito o infinito. Nel IV a.C. Aristotele riteneva che l'universo fosse finito, limitato dalla sfera delle stelle fisse, mentre gli atomisti greci, poco meno di un secolo prima, avevano sostenuto che lo spazio non ha limiti e che i mondi sono infiniti. Una posizione che ritroviamo in epoche più recenti nel poema di Lucrezio De Rerum Natura. Nel I a.C., Lucrezio ripropone l'esperimento ideale che il pitagorico Archita aveva proposto circa cinquecento anni primi: se una freccia scagliata in cielo raggiunge il limite dello spazio, che cosa le succede? Che cosa ci può essere oltre il limite dello spazio, se non altro spazio?

Per tutto il Medioevo, tuttavia, prevalse l’idea di un cosmo finito e antropocentrico, e fu solo dopo la pubblicazione del De Revolutionibus di Copernico nel 1543 e la progressiva affermazione del sistema eliocentrico, che ci si rese conto che la sfera delle stelle fisse era un’illusione e si riconobbe che le stelle sono in realtà altri soli distribuiti forse in uno spazio infinito.

Questa era anche la concezione di Isaac Newton, e questo è il punto di partenza di Poe.

Poe ritiene in realtà che il problema dell'infinito sia razionalmente insolubile, ma gli appare inevitabile considerare lo spazio “indefinitamente” esteso, data l’assurdità di un limite dello spazio: in pratica, ne accetta l'infinità.

Pochi anni dopo la pubblicazione di Eureka, il matematico tedesco Bernhard Riemann si rese conto Linee sulla sfera che la geometria da lui sviluppata, una geometria non euclidea che viene detta geometria sferica, offriva una nuova soluzione al dilemma finito/infinito: lo spazio può essere finito ma illimitato. Che significa? Si pensi, per esempio, alla superficie di una sfera: ha un'area finita, cioè esprimibile con un determinato numero, ma non ha limiti geometrici, non ha confini definiti. È appunto finita, ma illimitata (su questo argomento, puoi leggere il dossier Cinque tappe nella quarta dimensione: agli abitanti dello spazio tridimensionale).

Ma questa è solo un’analogia bidimensionale. Come è possibile visualizzare uno spazio tridimensionali con proprietà simili? Anche se quella di Riemann era un’ipotesi rivoluzionaria, impossibile da concepire prima della nascita delle geometrie non euclidee, una tale eventualità sembra aver sfiorato la mente del nostro Giacomo Leopardi, il quale nel 1827, nel suo celebre Zibaldone, scrive:

"Il credere l'universo infinito, è un'illusione ottica: almeno tale è il mio parere. Non dico che possa dimostrarsi rigorosamente in metafisica, o che si abbiano prove di fatto, che egli non sia infinito; ma prescindendo dagli argomenti metafisici, io credo che l'analogia materialmente faccia molto verisimile che la infinità dell'universo non sia che illusione naturale della Ritratto di Giacomo Leopardifantasia. Quando io guardo il cielo, mi diceva uno, e penso che al di là di qué corpi ch'io veggo, ve ne sono altri ed altri, il mio pensiero non trova limiti, e la probabilità mi conduce a credere che sempre vi sieno altri corpi più al di là, ed altri più al di là. Lo stesso, dico io, accade al fanciullo, o all'ignorante, che guarda intorno da un'alta torre o montagna, o che si trova in alto mare. Vede un orizzonte, ma sa che al di là v'è ancor terra o acqua, ed altra più al di là, e poi altra; e conchiude, o conchiuderebbe volentieri, che la terra o il mare fosse infinito."

In realtà, Poe accenna alla possibilità che due rette parallele possano incontrarsi (si veda il primo dossier di questa serie Eureka, la cosmologia letteraria di Edgar Allan Poe), ma nella sua cosmologia la geometria euclidea non è mai posta in discussione, e lo scrittore americano aderisce pienamente alla visione newtoniana che lo spazio e il tempo sono assoluti.

A differenza di Newton, però, Poe si convince che, se lo spazio è infinito, la materia in esso contenuta non può a sua volta estendersi all’infinito: le stelle che noi vediamo devono essere contenute entro un volume sferico finito. Si tratta di una possibilità che Newton aveva scartato, perché la reciproca attrazione gravitazionale fra le stelle avrebbe fatto crollare il sistema su se stesso, con la conseguenza che l’universo non sarebbe né statico né eterno.

D'altronde, Poe sa anche che la legge di gravitazione di Newton non è in grado di descrivere una distribuzione uniforme e infinita di materia; pertanto, sulla base di questa giustificazione fisica e data la sua ripugnanza filosofica nei confronti dell’infinito, conclude che la materia debba avere una distribuzione sferica, uniforme e limitata.

Riferendosi alla distribuzione della materia, egli la chiama Universe of Stars, l'Universo delle Stelle, per distinguerla dall'universo che nella sua totalità deve includere anche lo spazio vuoto infinito. Come vedremo, questa scelta di Poe ha importanti conseguenze, dato che implica un universo in evoluzione.

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