Dossier

Il cielo in una stanza: a Torino il primo Parco astronomico d'Italia

Intervista al professor Attilio Ferrari

Attilio Ferrari Attilio Ferrari, docente di Astrofisica presso il dipartimento di Fisica generale dell’Università di Torino, già direttore dell’Osservatorio di Torino, è presidente dell’associazione «ApritiCielo» che ha in gestione il Parco astronomico. Alla sua fantasia si deve l’idea del nuovo polo scientifico-divulgativo, alla sua tenacia e determinazione si deve l’effettiva realizzazione del progetto.

Il progetto del Parco astronomico è stato un "parto" lungo (dalla prima approvazione ufficiale sono trascorsi sei anni): quali sono state le difficoltà principali?

Tante e diverse. Un sistema così complesso richiede, d’altronde, un impegno straordinario. Inoltre, per assicurare l’assoluta correttezza scientifica del progetto, abbiamo voluto seguire passo passo ogni intervento. Soprattutto non ci siamo accontentati di adattare soluzioni già esistenti, ma ne abbiamo realizzate di nuove e originali. Così ci siamo trovati a interagire con un’azienda che si occupava della costruzionde dell’edificio, una che seguiva gli allestimenti interni, una che preparava i contenuti, una che progettava le parti multimediali... Ed erano tutte in città diverse (a Trieste, Torino e anche in Olanda e negli Stati Uniti). Metterle assieme non è stato banale e questo ha reso il processo un po' lento. Forse le difficoltà maggiori sono venute dalla costruzione dell'edificio, per problemi vari delle imprese appaltatrici. Inoltre, appena sono iniziati gli scavi, è affiorato un proiettile inesploso risalente alla Seconda guerra mondiale, quindi abbiamo dovuto fermare tutto per consentire la bonifica. Insomma, c'è stata una serie di intoppi che ha rallentato i lavori. L’erezione dell'edificio, d’altronde, è iniziata nel 2003: quattro anni per completarla sono tanti, ma nemmeno troppi, se si tiene conto di tutte fasi progettuali e dei percorsi burocratici che ad esse sottendono. Buone ultime sono arrivate le Olimpiadi, che hanno ulteriormente procrastinato l’apertura. In ogni caso, alcuni colleghi nel resto d'Italia, che hanno avviato o vorrebbero avviare iniziative simili, sono rimasti stupiti per la collaborazione offerta dall'area piemontese: la Compagnia di San Paolo, la Fondazione Crt e la Regione Piemonte ci hanno dato un supporto davvero sostanziale (anche per l’entusiasmo), oltre che sostanzioso. Ci hanno aiutato parecchio, ad esempio, nell'affrontare i vincoli burocratici e amministrativi, per i quali in genere noi scienziati non siamo molto portati.

studentessa in matematicaCome è nata l’idea di un Parco divulgativo dedicato all’astronomia?

Abbiamo iniziato le prime discussioni una ventina di anni fa. All'epoca ero appena diventato direttore dell'Osservatorio e mi sono reso conto (ma non era affatto una novità) di due obiettivi che sarebbe stato utile perseguire. Il primo era trasmettere informazioni al pubblico allargato. Sappiamo tutti che, nel corso del tempo, la scienza attraversa momenti alti e bassi. In alcuni periodi attrae molti giovani; in altri (come l’attuale) ci riesce in minima parte, soprattutto perché i suoi risultati non producono ricadute immediate e nell’immaginario collettivo prevalgono i suoi aspetti più “pesanti”: le discipline scientifiche richiedono impegno e fatica. Il problema principale, allora, è far superare le prime paure e lasciare emergere gli aspetti più piacevoli della ricerca. La scienza, sia chiaro, non è patrimonio di pochi eletti, ma qualcosa che tutti possono capire e far rientrare nell'ambito delle proprie competenze. Il secondo obiettivo era valorizzare il patrimonio di conoscenze, strumenti e oggetti dell'Osservatorio: un tesoro che andava messo a disposizione di tutti, anche per far sapere quanto è stato fatto nell'area torinese da personaggi come Giovanni Plana, che ha studiato il moto della Luna e ha ottenuto risultati ancora oggi fondamentali nell'astronomia. Per centrare i due obiettivi occorreva rendere accessibile al pubblico l'area di Pino Torinese. Storicamente c'è sempre stata un'attività di visita all'Osservatorio, ma limitata per lo più alle scuole e ai pochi appassionati di astronomia.

Che tipo di visitatori attendete?

Chiaramente le scuole sono un target privilegiato, perché il Museo ha tra i suoi obiettivi prioritari contribuire all'insegnamento della scienza e rendere il mondo della ricerca attraente per i più giovani. So, peraltro, che quando all'Osservatorio parliamo di astronomia arrivano decine e decine di persone: questo dimostra che c'è un interesse molto grande da parte del pubblico più eterogeneo. Quindi immagino che a visitare il nuovo Parco verrà anche una folta schiera di appassionati e curiosi. E, a dire la verità, confidiamo nel loro aiuto per perfezionare il Museo: abbiamo iniziato a “riempirlo”, ma per stabilire se i contenuti sono davvero comprensibili, se manca qualcosa, saranno indispensabili le indicazioni del pubblico.

E come avverrà in concreto questa sorta di "messa a punto" interattiva?

Intendiamo seguire due strade: per le scuole faremo incontri preliminari con gli insegnanti interessati (il primo si è svolto il 12 ottobre), in modo da illustrare loro l'insieme delle opportunità offerte dal Parco e poi creare percorsi specifici, adatti alle varie esigenze delle classi. I docenti, meglio di altri, possono dirci se alcune soluzioni sono troppo difficili o troppo facili. Quanto al pubblico generico, per il primo periodo di apertura offriamo accesso gratuito e a orario limitato proprio perché intendiamo studiare le reazioni e raccogliere suggerimenti (attraverso un apposito questionario). I nostri animatori, inoltre, sono stati invitati a prestare la massima attenzione alle osservazioni dei visitatori: mentre spiegano i vari exhibit possono facilmente stabilire se c'è un buon riscontro o meno.

interno Museo spazio 3Qual è l'obiettivo ultimo di un progetto come questo?

Ovviamente trasmettere le conoscenze astronomiche al pubblico più vasto. A volte la scienza suscita diffidenza perché ritenuta troppo difficile: il compito di strutture come la nostra è dimostrare che non è affatto così e che molto dipende dall’approccio. Per trasmettere un po' di entusiasmo, ad esempio, è indispensabile illustrare i risultati della ricerca in modo accattivante. Quando mi sono iscritto all'Università, nel 1961, eravamo nella coda dello scoppio della bomba atomica e dello sviluppo delle prime centrali nucleari: tutti volevano fare Fisica nucleare perché quella realizzazione, buona o cattiva che fosse, riempiva l'immaginario collettivo. L’obiettivo di «Infini.to» è mostrare che la scienza è fondamentale nella nostra vita, e invogliare i più giovani a seguirne le orme. L'astronomia è tra le discipline più adatte, anche se poi tocca comunque argomenti “delicati” come l'origine dell'Universo, il ruolo dell'uomo e il suo destino.

Lei ha accennato alla lunga tradizione di Torino negli studi astronomici: quali sono state le tappe principali?

I primi segni dell'esistenza dell'astronomia all'Università di Torino risalgono a poco dopo la fondazione dell'Università stessa, che ha celebrato i seicento anni nel 2004. La storia dell’Osservatorio è iniziata, invece, a metà del Settecento: all’epoca gli strumenti di osservazione erano sui tetti dell'Accademia delle Scienze e poi di Palazzo Madama. Nel 2009 ricorreranno i 250 anni dalla presenza di un Osservatorio astronomico a Torino (il primo segno ufficiale è del 1759). L’Istituto si trasferì a Pino solo nel 1911: a breve, quindi, festeggeremo anche il centenario della sede in collina. Da allora gli studi astronomici in città hanno seguito l’intero percorso evolutivo della disciplina: dapprima erano concentrati sulla meccanica celeste, poi sullo studio dei pianeti, con una grande tradizione nell’analisi e ricerca degli asteroidi (c'è anche una «scala Torino» per misurarli). In seguito c'è stato un periodo di fiorenti indagini sulle stelle doppie, perché dal loro studioè possibile risalire alle masse e ai raggi stellari. Negli anni Sessanta e Settanta, invece, c’è stato il boom della sezione di astrofisica, con le ricerche sull'evoluzione stellare, lo studio delle galassie, l'osservazione dell'attività solare... Oggi ci occupiamo dei pianeti, del Sole e delle altre stelle, soprattutto per mezzo di missioni spaziali come «Hipparcos», «SOHO», «HST», «Agile» e, in futuro, «Gaia» e «Solar Orbiter». L’Osservatorio insomma continua a essere ben inserito nella rete di ricerca internazionale.

planetarioIl Planetario utilizza la tecnologia «Digistar 3»: è un sistema innovativo?

Sì. In Europa per ora ce ne sono solo altri tre, in America qualcuno in più. In Italia sicuramente è l'unico, ma mi auguro che ne seguano presto altri. Durante la prima settimana di ottobre la società che riunisce i responsabili dei Planetari italiani più "tradizionali" è stata in visita qui, proprio con l’obiettivo di installarne di nuovi. A Torino speravamo di seguire l’esempio di Atene, dove avevano inaugurato il «Digistar3» prima delle Olimpiadi: non ce l'abbiamo fatta, ma siamo comunque arrivati. I filmati verranno cambiati periodicamente: oltre a quello attuale, commentato da Margherita Hack, ne abbiamo già acquistati altri due, di cui dobbiamo ultimare la traduzione. In futuro, quando i nostri tecnici impareranno a lavorare con la tecnologia «Digistar3», ne produrremo anche di originali.

Ogni piano del Museo ha per testimonial un grande astronomo del passato: per l’antichità è stata scelta Ipazia, una donna. È un caso?

Sì e no. Ricorrere a Tolomeo sembrava piuttosto banale, così abbiamo pensato a Ipazia. Una scelta che ci è parsa tanto più convincente dal momento che questa geniale studiosa venne molto maltrattata per la sua intensa attività di divulgazione e il Parco si propone proprio l’obiettivo di avvicinare la scienza al grande pubblico e contrastare il diffuso scetticismo. Infine, ma non meno importante, Ipazia ci sembrava una figura adatta a testimoniare il contributo femminile negli studi astronomici.

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