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Piemonte nanotech, imprese e centri di ricerca fanno squadra: il progetto Nanomat.

Piemonte nanotech, imprese e centri di ricerca fanno squadra: il progetto Nanomat.

Lo sviluppo delle conoscenze e delle tecnologie alle scale micro e nano determina una rivoluzione nel modo di concepire, progettare e realizzare prodotti e sistemi innovativi. Il Piemonte è in prima linea grazie a progetti come «Nanomat», avviato all’inizio del 2007

nanomat logo «Troppo piccole per essere viste, troppo grandi per essere ignorate»: questo, in estrema sintesi, il ritratto delle nanotecnologie, i prodotti derivanti dalla manipolazione della struttura della materia su scala nanometrica (un miliardesimo di metro: quanto cresce la barba nel corso stesso di una rasatura, praticamente zero). Intervenendo a questo livello è possibile controllare le proprietà fondamentali dei materiali, come la temperatura di fusione, la conducibilità elettrica o la durezza, senza tuttavia cambiarne la composizione chimica.

Lo sviluppo delle conoscenze e delle tecnologie alle scale micro e nano determina una rivoluzione nel modo di concepire, progettare e realizzare prodotti e sistemi innovativi, in grado di competere sul mercato globale. Il Piemonte è in prima linea: grazie a progetti come «Nanomat», avviato all’inizio del 2007, le piccole e medie imprese piemontesi (in particolare quelle che operano in Area Obiettivo 2, cioè a rischio di declino industriale) collaborano con i principali centri di ricerca pubblici e privati per studiare e sperimentare nanostrutture e nanosistemi, con risultati eccellenti a livello internazionale. Le aziende piemontesi, non a caso, sono al secondo posto in Italia per volume di spesa nella ricerca, dopo quelle lombarde (dati Istat 2004).

nanosistema Le applicazioni delle nanotecnologie si stanno sviluppando rapidamente e interessano potenzialmente tutti i settori dell’industria. La loro pervasività è dovuta soprattutto all’impatto sui materiali: dal legno al tessile (la modifica delle superfici permette di ottenere, ad esempio, filati molto resistenti e leggeri) fino ai cementi autopulenti. Le nanotecnologie trovano, inoltre, applicazione nell’abbattimento degli inquinanti e nella produzione di pannelli solari. E, ancora, i rivestimenti nano-tech anti-corrosione e decorativi sono l’alternativa “ecologica” alla tradizionale cromatura di rubinetti, maniglie, occhiali, e altri componenti soggetti a usura. Numerose, infine, le applicazioni nel campo dell’industria biomedica: dalla fabbricazione di protesi ossee e dentali, alla diagnostica e sensoristica.

«Quella delle nanoscienze è oggi una prospettiva a cui guardare, ma anche una necessità per aziende che si muovono in ambiti diversi», spiega Salvatore Coluccia, vice-rettore dell’Università di Torino e presidente dell’associazione temporanea di scopo (Ats) «Nanomat», promossa da Asp (Associazione per lo sviluppo scientifico e tecnologico del Piemonte) e dal Corep (Consorzio per la ricerca e l’educazione permanente). Dell’Ats fanno parte anche l’Università e il Politecnico di Torino e l’Università del Piemonte orientale. «Nanomat», aggiunge il direttore tecnico Giuseppe Caputo, «durerà 18 mesi e potrà contare su un investimento complessivo di 6 milioni di euro». In pratica le aziende interessate possono usufruire gratuitamente di una serie di valutazioni, consulenze specialistiche e studi di fattibilità che consentono di stabilire se la manipolazione di atomi e molecole può migliorare i loro prodotti e, in caso affermativo, studiare i metodi produttivi migliori e applicarli.

dentifricio Secondo le ultime rilevazioni, i beni di consumo che incorporano nanotecnologie sono passati dai 212 nel marzo 2006 ai 475 del marzo 2007 (dati Nanotech.it). I “nanoprodotti” sul mercato sono i più disparati: dentifrici con un potenziato effetto anticarie, creme di bellezza che agiscono in profondità contro le rughe, filtri solari, racchette da tennis, vetri, etichette elettroniche, batterie, occhiali da sole... (per un elenco aggiornato si veda il sito di "Nanotech Project"). Il giro d’affari vale oggi intorno ai 50 miliardi di dollari, ma le attese sono crescenti. Le stime variano tra mille miliardi di dollari e oltre duemila entro i prossimi 10-15 anni. Una sfida enorme, testimoniata anche da altri indicatori. Secondo la Lux Research nel 2006 le aziende hanno investito in nanotech, a livello globale, per 12.4 miliardi di dollari; la spesa dei governi in ricerca e sviluppo del settore ha raggiunto i 6,4 miliardi di dollari (+10% in un solo anno), con gli Usa in testa (1,7 miliardi), seguiti dal Giappone. L’Unione europea, nel suo “piccolo”, ha destinato 543 milioni di euro al settore nanotech per il periodo 2007-2013 (VII Programma quadro).

Le prospettive di mercato e finanziarie, insomma, sono buone. E altrettanto si può dire per le competenze. I responsabili del progetto «Nanomat» ne hanno dato un saggio lo scorso 10 luglio con l’iniziativa «Ricerca@impresa», una giornata studio in cui al mattino i centri di ricerca hanno presentato i risultati dei loro studi e le loro applicazioni potenziali e immediate; al pomeriggio le aziende hanno illustrato le loro esigenze, valutando le possibili soluzioni con i tecnici intervenuti nella mattinata. Silvia Bordiga, ad esempio, ha illustrato le attività del Centro di eccellenza «Superfici e interfasi nanostrutturate» (Nis) dell’Università di Torino: «Uno dei settori in cui siamo più impegnati è la scienza delle superfici applicata ai prodotti industriali. Siamo in grado, tra l’altro, di produrre materiali con particelle magnetiche per dispositivi elettronici, ma anche di realizzare rivestimenti decorativi e funzionali, ad esempio con diamante sintetico per utensili estremamente resistenti». Altrettanto importanti gli studi sui sistemi fotocatalitici (materiali in grado di utilizzare l’energia della luce per condurre reazioni chimiche) usati per l’abbattimento degli inquinanti o la produzione di strutture autopulenti.

Il centro Nano-SiSTeMI (NanoScienze e Sviluppo Tecnologico di Materiali Innovativi) dell’Università del Piemonte orientale è particolarmente attivo sul fronte dei polimeri nanocompositi. «Per capire di che si tratta», ha spiegato Enrico Boccaleri, «si può fare un paragone con i panini del bar: possiamo prepararne un’enorme varietà, con caratteristiche molto differenti e che vanno incontro ai gusti e alle esigenze di ogni singolo avventore. Si parte dalle fette di pane, che possono essere integrali, di soia, di grano duro... (nel caso dei polimeri si parla di lamelle, che possono essere a base di: silicati, ossidi, aliminofosfati...). Si passa quindi alla farcitura, che può essere di prosciutto, formaggio... (nel caso dei nanocompositi può comprendere: molecole di metalli alcalini, composti organici...) e che può avere un numero di strati diversi e così via. La preparazione è studiata in base alle necessità del cliente: trasparenza, resistenza agli urti, idrorepellenza, protezione dai raggi ultravioletti...».

boeing 787 Secondo Boccaleri oggi «il limite principale nel settore delle nanotecnologie è la fantasia di chi ci lavora: le applicazioni potenziali sono davvero sconfinate». Per restare nell’ambito dei materiali nanocompositi, basti pensare al Boeing 787, il nuovo bireattore presentato al pubblico lo scorso 8 luglio: ha un’autonomia di 15 mila chilometri e una capacità di trasporto di 300 passeggeri ed è fatto per il 50% da nanocompositi (fibre di carbonio impregnate di resine speciali) che, sostituendo il più pesante alluminio, rendono il mezzo più leggero, consentendo un risparmio del 20% sui consumi di carburante. Non solo, le spese di manutenzione sono più basse di oltre un terzo rispetto a un aereo della stessa categoria. La fusoliera in materiale nanocomposito è prodotta, tra l’altro, proprio in Italia, negli stabilimenti dell’Alenia Aeronautica.

L’Istituto di scienza e tecnologia dei materiali ceramici (Istec), afferente al Consiglio nazionale delle ricerche, è impegnato invece nello sviluppo di materiali ceramici per applicazioni biomedicali (protesiche e dentali) e per rivestimenti con funzioni estetiche e antiusura. «Tra i prototipi dimostratori che abbiamo realizzato in ambito Nanomat ci sono protesi dalle forme molto complesse, come impianti transgengivali, articolazioni della spalla, del gomito, del piede, della mano...», spiega Alida Bellosi. «In alcuni casi la protesi non deve integrarsi con il tessuto osseo circostante e ciò che importa è la resistenza all’usura e la stabilità in ambiente fisiologico; in altri casi è invece indispensabile integrare le protesi con i tessuti limitrofi attraverso trattamenti specifici: chimici, meccanici, termici...». Il settore dei nanorivestimenti, aggiunge il collega Luca Settineri, è altrettanto utile perché, «a differenza dei metodi tradizionali, i processi di deposizione sono molto “ecologici”; lo spessore dei rivestimenti è talmente ridotto da non richiedere finitura e permette di ripetere l’operazione più volte; i prodotti nanorivestiti, infine, hanno una vita utile più lunga e richiedono ridotti interventi di manutenzione». Possono avere funzione anti-usura, anti-corrosione, antincendio o anche solo estetica.

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