Dal semplice nastro di Möbius alla realtà virtuale complessa: exhibit per tutti
Nella generica definizione di exhibit ci entra un po’ di tutto. Se prendiamo una strisciolina di carta e anziché unirla a formare un anello ne invertiamo le estremità, otteniamo uno strano anello che ha delle proprietà interessanti. La prima tra queste è quella di essere un oggetto che, se immerso in un campo magnetico, rimane elettricamente neutro e non si carica da un punto di vista elettrostatico; la seconda è che con questo nastro si possono costruire delle cinghie che si consumano uniformemente da ambo i lati (durando il doppio di una cinghia normale) e la terza è che… se riuscite a convincere un fabbro a piegare una scala sufficientemente lunga nello stesso modo in cui piegate la carta, potete costruire un exhibit che sarà una vera e propria attrazione per il vostro ipotetico Science Center . Infatti se fate arrampicare un bambino su questa scala tutta storta si divertirà a vedere come riesce ad arrivare nello stesso punto di partenza .
È possibile tentare lo stesso esperimento con minor dispendio di energie appoggiando la punta della penna su un lato dell’anello: se proseguite senza staccare la penna dalla superficie l’avrete coperto tutta solo dopo aver fatto due giri.
Volete spiegare la legge della conservazione della quantità di moto? Avete diverse strade per farlo: la prima è quella che trovate in tutti i manuali di Fisica; l’energia cinetica di un corpo rigido in moto rotatorio è data dalla formula E=1/2 I ω2, con I = momento d’inerzia del corpo stesso rispetto all’asse di rotazione e ω = velocità angolare. Siccome ω = v/r (con v = velocità lineare istantanea dell’oggetto in rotazione e r = raggio della circonferenza di rotazione dell’oggetto), se vario r vario anche ω, con il risultato che al diminuire di r, ω aumenta.
La seconda strada è quella di calare nella realtà quanto appena detto, mostrando delle immagini che cerchino di spiegare questa legge: normalmente lo si fa attraverso l’esempio del tuffatore che compie un certo numero di capriole lanciandosi dal trampolino e smette di farne quando si allunga per entrare in acqua, oppure quando i pattinatori su ghiaccio si avvitano vorticosamente e variano la loro velocità di rotazione allungando una gamba o le braccia.
La terza strada è quella di avere a disposizione un exhibit – solitamente conosciuto come ‘momentum machine’ – che corrisponde alla seguente descrizione:
Insomma: diventa importante – all’interno di questo processo di educazione informale – fare il più possibile esperienza diretta e, secondo quel che sostiene anche Frank Oppenheimer, farla con il maggior numero di exhibit possibile. A proposito della concezione e costruzione degli exhibit egli sostiene infatti che essi debbano soddisfare dei requisiti apparentemente anche molto distanti tra loro pur rappresentando uno stesso fenomeno.
Avere a che fare con un exhibit cattura la nostra attenzione nello stesso modo in cui lo fa la lettura di un libro: non è un caso, forse, che una frase che usiamo spesso proprio per indicare questo stato sia proprio «sono immerso nella lettura» e non è un caso, forse, che Elena Pasquinelli (2003) parta proprio da questa esperienza per arrivare a determinare le condizioni di ciò che significa ‘presenza’ in ambienti virtuali: «
Tra gli aspetti fondamentali di quella che potremmo definire «ontologia virtuale» ci sono, ovviamente, le caratteristiche di ‘coerenza’ che il nostro stesso mondo possiede. A questo proposito si pensi ad uno dei più bei film di Jacques Tati, Mon Oncle: egli
Ontologia composta da coerenza, aspettative e anticipazioni grazie alle quali poter dire che il ‘fenomeno bizzarro’ che abbiamo di fronte sia identificabile come ‘oggetto’ (sia esso reale o virtuale) e, nel caso del virtuale, estendere le aspettative ed anticipazioni che poniamo in essere per predire il comportamento dell’oggetto.
La realizzazione di interfacce di questo genere è abbastanza complessa: si tratta spesso di esoscheletri – di grandi ‘protesi’ – che vengono ‘calzate’ su braccia e/o gambe e che, quando realizzate bene, devono poter tener conto della compensazione dell’effetto gravitazionale del loro peso sull’arto.