Dossier

"It's like if": il potere degli exhibit negli science center e nei musei, tra immersione e illusione

Dal semplice nastro di Möbius alla realtà virtuale complessa: exhibit per tutti

Nella generica definizione di exhibit ci entra un po’ di tutto. Se prendiamo una strisciolina di carta e anziché unirla a formare un anello ne invertiamo le estremità, otteniamo uno strano anello che ha delle proprietà interessanti. La prima tra queste è quella di essere un oggetto che, se immerso in un campo magnetico, rimane elettricamente neutro e non si carica da un punto di vista elettrostatico; la seconda è che con questo nastro si possono costruire delle cinghie che si consumano uniformemente da ambo i lati (durando il doppio di una cinghia normale) e la terza è che… se riuscite a convincere un fabbro a piegare una scala sufficientemente lunga nello stesso modo in cui piegate la carta, potete costruire un exhibit che sarà una vera e propria attrazione per il vostro ipotetico Science Center . Infatti se fate arrampicare un bambino su questa scala tutta storta si divertirà a vedere come riesce ad arrivare nello stesso punto di partenza .

Nastro di Mobius - Escher È possibile tentare lo stesso esperimento con minor dispendio di energie appoggiando la punta della penna su un lato dell’anello: se proseguite senza staccare la penna dalla superficie l’avrete coperto tutta solo dopo aver fatto due giri.

Volete spiegare la legge della conservazione della quantità di moto? Avete diverse strade per farlo: la prima è quella che trovate in tutti i manuali di Fisica; l’energia cinetica di un corpo rigido in moto rotatorio è data dalla formula E=1/2 I ω2, con I = momento d’inerzia del corpo stesso rispetto all’asse di rotazione e ω = velocità angolare. Siccome ω = v/r (con v = velocità lineare istantanea dell’oggetto in rotazione e r = raggio della circonferenza di rotazione dell’oggetto), se vario r vario anche ω, con il risultato che al diminuire di r, ω aumenta.

Momentum machine La seconda strada è quella di calare nella realtà quanto appena detto, mostrando delle immagini che cerchino di spiegare questa legge: normalmente lo si fa attraverso l’esempio del tuffatore che compie un certo numero di capriole lanciandosi dal trampolino e smette di farne quando si allunga per entrare in acqua, oppure quando i pattinatori su ghiaccio si avvitano vorticosamente e variano la loro velocità di rotazione allungando una gamba o le braccia.

La terza strada è quella di avere a disposizione un exhibit – solitamente conosciuto come ‘momentum machine’ – che corrisponde alla seguente descrizione:

"Con questo exhibit un visitatore può eseguire una piroetta, come un pattinatore sul ghiaccio, con una gamba in estensione. Piegando la gamba il movimento sarà più veloce. La "momentum machine" serve a dimostrare la conservazione del momento angolare, che è il prodotto della velocità di rotazione, della massa e il quadrato dell'effettivo raggio dell'oggetto in rotazione. Il visitatore sta su un disco rotante posto all'interno di una piattaforma fissa. Dandosi una spinta con una gamba sulla piattaforma viene dato un momento angolare al disco causandone la rotazione. Se chi si trova sopra al disco estende una gamba viene aumentato il raggio effettivo del sistema, quindi, dato quel momento angolare, viene diminuita la velocità rotazionale. Piegando la gamba si riduce il raggio e la velocità rotazionale diminuisce". (Tratto da un manuale per la realizzazione di exhibit)

Experimenta 2006 - Insomma: diventa importante – all’interno di questo processo di educazione informale – fare il più possibile esperienza diretta e, secondo quel che sostiene anche Frank Oppenheimer, farla con il maggior numero di exhibit possibile. A proposito della concezione e costruzione degli exhibit egli sostiene infatti che essi debbano soddisfare dei requisiti apparentemente anche molto distanti tra loro pur rappresentando uno stesso fenomeno.

Avere a che fare con un exhibit cattura la nostra attenzione nello stesso modo in cui lo fa la lettura di un libro: non è un caso, forse, che una frase che usiamo spesso proprio per indicare questo stato sia proprio «sono immerso nella lettura» e non è un caso, forse, che Elena Pasquinelli (2003) parta proprio da questa esperienza per arrivare a determinare le condizioni di ciò che significa ‘presenza’ in ambienti virtuali: «si può essere ‘immersi’ in una lettura e in questo modo trasportati a vivere le avventure di Huckleberry Finn, ma non si riceve nessuna stimolazione visiva o tattile o uditiva che corrisponda a questa esperienza. Un oggetto virtuale percettivo invece è quello che, all’interno dei limiti costituiti dallo sviluppo tecnologico dello hardware e del software relativi, abbiamo l’impressione di vedere, udire, toccare. […] La relazione con gli oggetti degli ambienti sintetici propri del virtuale è percettiva e interattiva» (Pasquinelli -2003, p. 479) .

Experimenta 2006 - Tra gli aspetti fondamentali di quella che potremmo definire «ontologia virtuale» ci sono, ovviamente, le caratteristiche di ‘coerenza’ che il nostro stesso mondo possiede. A questo proposito si pensi ad uno dei più bei film di Jacques Tati, Mon Oncle: egli «si trova in una cucina ipertecnologica, in cui tutti gli oggetti sono di forme e materiali strani; presto si accorge che lanciandoli a terra, bicchieri ed elettrodomestici rimbalzano, e comincia a giocare con essi, finché uno, cadendo, non va in mille pezzi. Lo stupore del personaggio e le risa degli spettatori indicano che tanto lui che noi ci siamo formati delle aspettative sugli oggetti della cucina del film. In breve tempo abbiamo estratto delle regolarità dall’interazione. Pensiamo ad un fenomeno bizzarro che cambia continuamente mentre lo guardiamo. Siamo disposti a chiamare un fenomeno simile un oggetto?» (Pasquinelli -2003, p. 479).

Ontologia composta da coerenza, aspettative e anticipazioni grazie alle quali poter dire che il ‘fenomeno bizzarro’ che abbiamo di fronte sia identificabile come ‘oggetto’ (sia esso reale o virtuale) e, nel caso del virtuale, estendere le aspettative ed anticipazioni che poniamo in essere per predire il comportamento dell’oggetto. «Quando si lancia un oggetto per riprenderlo, ad esempio, o quando si va incontro ad un oggetto con la mano, questa prende una forma specifica prima ancora di raggiungere l’oggetto stesso (Jeannerod 1991)» . Ma questo fenomeno – detto di pre-shaping – deve, in qualche modo, essere reso per il virtuale: per questo motivo in tempi recenti, molti istituti di ricerca hanno orientato la propria attenzione allo studio e allo sviluppo di interfacce aptiche , ovvero interfacce che permettono una interazione – in questo caso: tattile – con gli oggetti virtuali, restituendo, per esempio, all’arto umano, le sensazioni di peso o di durezza dell’oggetto virtuale, nel caso più semplice.

La realizzazione di interfacce di questo genere è abbastanza complessa: si tratta spesso di esoscheletri – di grandi ‘protesi’ – che vengono ‘calzate’ su braccia e/o gambe e che, quando realizzate bene, devono poter tener conto della compensazione dell’effetto gravitazionale del loro peso sull’arto.

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