Dossier

"It's like if": il potere degli exhibit negli science center e nei musei, tra immersione e illusione

L'illusione dell'immersione: la realtà virtuale del PercRo

Partiamo dall’acronimo: PercRo, sta per «Perceptual Robotics» ed è un ‘laboratorio’ della Scuola Superiore S. Anna di Pisa. Il campo di applicazione del virtuale all’arte non è di esclusivo appannaggio del Cybernarium: nel 2002 il laboratorio ha presentato al salone dei Beni Culturali di Venezia il progetto «Museo delle Pure Forme», sviluppato con altri partner europei, (University College London, 3D Scanners UK Ltd, Uppsala University, Centro Gallego de Arte Contemporaneo, Opera della Primaziale Pisana e Pontedera & Tecnologia), con l’intento di esplorare e offrire nuovi paradigmi d’interazione per la fruizione di opere scultoree.

PercRo

Mentre nei musei tradizionali il visitatore si trova quasi sempre nella condizione di poter osservare le opere senza poter interagire con esse, grazie allo sviluppo delle interfacce aptiche, si recupera una funzione primaria della scultura: grazia al tatto infatti si è in grado di cogliere il concetto di spazialità che l’artista nel modellare l’opera ha voluto fissare nelle sue forme. Poter contemplare solo con lo sguardo una scultura è una limitazione forte (anche se ormai ci siamo abituati…) che pregiudica una fruizione parziale a chi non ha problemi di vista, ma totale a chi è non vedente.

A capo del progetto «Pure Forme» c’è l’ingegner Franco Tecchia che ho avuto l’opportunità di intervistare qualche tempo fa per farmi spiegare meglio il loro work in progress dopo il lancio del progetto:

L’arte ha una valenza importante perché pone dei problemi pratici notevoli. Come, per esempio, la necessità di non perdere i dettagli nel processo di trasformazione reale-virtuale. Inoltre la moderna museologia deve affrontare problemi di ordine logistico: pensi solo alla mostra sui Faraoni attualmente a Venezia. Non sempre è possibile disporre di tutte le opere che si desiderano. Un’affidabile rappresentazione digitale può risolvere parte di questi problemi.

Il digitale ha poi i vantaggi che già conosciamo: facilità di manutenzione e di “archiviazione”, in primo luogo. Per finire possiamo dire inoltre che uno dei campi d’applicazione di maggior interesse riguarda il restauro: progettare, per esempio, un restauro su una statua simulando ipotesi; tentare di applicare interventi virtuali fino all’ottenimento del risultato desiderato, sono elementi importanti che possono costituire un valido ausilio.

PercRo museo delle pure forme 2 Da un punto di vista più tecnico i risultati ottenuti sono lusinghieri e derivano da «processi di scansione e di trattamento dell’informazione digitale – secondo un algoritmo di bump mapping, messo a punto dai nostri laboratori – grazie ai quali abbiamo i primi modelli. Prototipi su cui stiamo facendo convergere le due modalità di interazione virtuali principali: quella tattile e quella visiva. Per il momento la scansione complessiva è stata fatta per alcune opere ‘locali’ come la ‘Madonna col Bambino’ di Nicola Pisano e per il progetto sono imminenti altre scansioni, per opere che provengono da musei coinvolti nel progetto. Stiamo inoltre ultimando un plug in per il web. I risultati ottenuti ci fanno ben sperare perché la resa grafica è molto buona». Per quel che riguarda invece i possibili campi d’applicazione secondo Tecchia «la visualizzazione stereoscopica trova molte applicazioni in ambito scientifico e industriale nella simulazione di eventi e processi. Interfacce aptiche, come l’esoscheletro, possono interessare la medicina riabilitativa – sia motoria che cognitiva – mentre l’algoritmo di bump mapping, che sta alla base del trattamento dell’informazione virtuale, ha applicazioni nella visualizzazione geografica, con particolare riferimento ai GIS. Tengo a precisare, per concludere, che gli aspetti di cui parlo avevano già un loro sviluppo autonomo e una loro peculiarità: l’originalità del progetto ‘pure forme’ risiede piuttosto nel tentativo di reciproca interazione e sviluppo dei singoli settori di ricerca».

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