Dossier

Tra scienza e letteratura: una chiacchierata con Piero Bianucci

Tra scienza e letteratura: una chiacchierata con Piero Bianucci

La separazione tra scienza e arte è sempre più sentita come artificiale. Ma in che modo è possibile una letteratura che sappia cogliere la poesia della scienza? Ne abbiamo parlato con Piero Bianucci, uno dei più apprezzati giornalisti scientifici italiani, ma anche autore di intriganti racconti giocati sul filo della scienza futuribile. Che servono per interpretare il mondo di oggi.

Torino, 14 novembre 2003

Piero Bianucci, uno dei più apprezzati giornalisti scientifici italiani, proviene da una laurea in Estetica e da quattordici anni di critica letteraria. Caporedattore de La Stampa, dirige da 22 anni l'inserto scientifico del mercoledì Tuttoscienze, giunto ormai ben oltre il numero mille.

Ma il suo divertimento nel capire la scienza, nel raccontarla, nell'inserirla all'interno di un meccanismo sociale complesso è diventato anche uno stimolo per scrivere di narrativa, per inventare storie e situazioni e personaggi di un futuro neanche troppo lontano, nel quale la scienza contemporanea e le scoperte scientifiche sono proiettati in termini metaforici, spesso caricaturali.

È un futuro, quello di Bianucci, che sta per dischiudersi da quelle uova tecnologiche che oggi sono già state deposte. E L'uovo del futuro è proprio il titolo di una sua raccolta di racconti uscita qualche anno fa per i tipi della Simonelli Editore.

Per parlare del rapporto tra scienza e letteratura, l'abbiamo incontrato il 14 novembre 2003, nel suo ufficio di via Marenco 32, sede de La Stampa, per una chiacchierata che si è snodata tra un paio di telefonate di Tullio Regge e qualche informazione promossa da uffici stampa più invadenti che utili.

E in occasione di questa intervista, Piero ci ha regalato un suo racconto inedito, Fastwriter.

Sandrelli: La raccolta di racconti L'uovo del futuro ha come sottotitolo "cronache di scoperte prevedibili nel terzo millennio". Ed è un miscuglio di fantascienza, satira e fantapolitica. Ma per quanto diversi fra loro possano essere gli spunti e gli svolgimenti, alla fine è chiaro che non è tanto (o solo) la scoperta a interessarti, quanto piuttosto le conseguenze che l'uomo è in grado o meno di trarne.

Come sono nati? È stato lo sfizio di una stagione oppure hanno un'origine più lontana?

Primo LeviBianucci: Sì, l’origine è lontana. Sono affezionatissimo a quel libretto, perché è nato tutto da tre paginette scritte da Primo Levi. Levi era venuto alla RAI a parlare di atomi, gli atomi visti da un chimico, in un programma tv che curavo intorno al 1983-84. Avevo lui da una parte, Tullio Regge dall'altra: abbiamo chiacchierato, registrato la puntata, ci siamo salutati…tre giorni dopo ricevo una lettera: è la lettera di un'extraterrestre di Delta Cephei. Sotto c'era scritto: traduzione di Primo Levi. Non c'era neanche la sua firma, non c'era niente, solo la busta con la traduzione della lettera… bellissimo scherzo …

Rispondo alla lettera dell'extraterrestre, poi qualche giorno dopo, ricevo una telefonata: era Levi - io non avrei osato telefonargli. "E ora che cosa ne facciamo di questa roba?" mi fa, "sembra quasi un racconto." La tua parte è un racconto, gli dico. Anzi, la sua parte, allora gli davo del Lei. Mi propose di pubblicare lettera e risposta insieme, ne parlammo un po', infine uscì per pochi intimi sulla rivista L'astronomia.

S.:Quelle pagine la hai poi ripubblicate ne L'uovo del futuro, naturalmente, visto che ne era quasi la genesi.

Bianucci: Sì. Sono la chiave di tutto quel libretto. Le pagine di Primo Levi furono per me una specie di innesco della fantasia. Nella sua lettera, la signorina extraterrestre dice di aver pagato una tassa una tantum per far arrivare sulla Terra il suo messaggio a velocità ultraluminale. Rispondendole (cioè rispondendo a Levi), ero entrato un po' nel gioco, così ho ripensato ai lunghi discorsi fatti con Erasmo Recami sul mondo superluminale, sui tachioni e mi è venuto in mente che nel mondo tachionico l'effetto precede la causa. E sai come funziona, un pensiero tira l'altro, mi è venuto in mente che in Italia i premi letterari precedono i libri, perché certe mafie letterarie li assegnano ancora prima che uno li abbia scritti (ma non succedeva di sicuro per quelli di Primo Levi) e... così mi sono accorto quasi per caso che la scienza offre tanti spunti che potrebbero essere giocati in modo ironico per leggere il nostro tempo. E da lì ho continuato e, più di dieci anni dopo, in pochi mesi, sono saltati fuori i racconti dell’”Uovo”. Ogni tanto ne metto giù ancora qualcuno nuovo…

Ma non divaghiamo. Cercherò di esser bene educato, cioè chiaro, come diceva Primo Levi.

S.: Da dove vogliamo iniziare?

copertina di %22Sta scherzando Mr Feynman!Bianucci: Nell'email che mi hai mandato, citavi un episodio di Feynman, tratto da Sta scherzando, Mr Feynman?

S.: Sì, è vero. Aspetta, ho qui una stampa del documento che ti ho mandato. Ecco, era un commento al termine di una delle sue celebri conferenze, nel 1955. Feynman conclude leggendo una sua poesia:

"(…) In piedi davanti al mare

Meravigliato della propria meraviglia: io

Un universo di atomi

Un atomo nell’universo."

Poi aggiunge: “È vero che pochi non scienziati fanno questa particolare esperienza religiosa. I nostri poeti non ne scrivono; i nostri artisti non tentano di raffigurare questo notevole avvenimento. Non so perché. Nessuno si sente ispirato dalla nostra immagine attuale dell’universo? Questo valore della scienza non viene cantato dai cantanti, siete ridotti ad ascoltarlo non in musica o in versi, ma in una conferenza serale. Non siamo ancora in un’era scientifica.”

Bianucci: Ho letto il libro, ma non avevo presente il passo che citi… Da una parte sarei del tutto d'accordo, ma se prendiamo alla lettera la sua richiesta mi spaventa, perché mi ricorda Stalin che chiede agli artisti di rappresentare la rivoluzione bolscevica. Mi suggerisce la proporzione

Feynman : scienza = Stalin : rivoluzione.

In definitiva, credo che sollecitare l'inizio di un'era scientifica sia una forma di fondamentalismo... scientifico.

S.: Sì, è vero. Devo dire che non avevo pensato a una lettura fondamentalista di quel passo.

Bianucci: Dato che Feynman era enormemente intelligente, è probabile che non volesse suggerire una cosa del genere. Ciò che voleva dire, e qui tiriamo a indovinare, è che i contenuti della scienza non sono metabolizzati nella società e quindi non sono metabolizzati negli artisti che la società esprime. In questo ha completamente ragione. Credo che sia importante, però, non dare l'idea che noi interessati alla scienza vogliamo una soluzione di tipo fondamentalista, alla "realismo sovietico". No, noi non vogliamo un "realismo scientifico" in questi termini.

S.: Sarebbe una soluzione paradossale, se consideriamo le nostre intenzioni!

Bianucci: Volevo solo mettere in guardia da questo atteggiamento, che potrebbe essere suggerito dalla sua osservazione.

S.: Credo che uno dei motivi per cui leggendo Sta scherzando Mr Feynman quel passo non viene colto è che la metabolizzazione della scienza è così lontana dalla nostra vita, che è necessario un salto di pensiero per prendere sul serio l'artista ipotetico che Feynman aveva in mente. Così liquidiamo la cosa come una battuta, un sogno, una delle provocazioni per cui Feynman era giustamente famoso.

Richard Feynman (1918 - 1988) suona il bongoBianucci: Aggiungerei una cosa che forse anche Feynman condividerebbe. Se della scienza non sai sorridere, allora non l'hai metabolizzata. Bisogna riuscire ad averne anche un visione ironica. Chi la prende troppo sul serio finisce per rappresentarla male, sia nell'arte sia quando fa scienza.

S.: Sono del tutto d'accordo.

Bianucci: A questo proposito, per quel che può valere, ho in mente una certa gerarchia delle forme di intelligenza… La prima forma fondamentale d'intelligenza è quella che ti permette di guardare il mondo per provare a capirlo; poi c'è la forma d'intelligenza che ti spinge a passare dall'aver capito qualche cosa a saperla raccontare (descrivere) e formalizzare: e qui siamo alla scienza; infine c'è la forma d'intelligenza secondo me suprema: l'umorismo. Ho capito qualche cosa, ne so parlare e so prenderla e prendermi in giro.

S.: Perché addirittura intelligenza suprema?

Bianucci: Perché l’umorismo è il più radicale dei rovesciamenti del punto di vista e l'intelligenza, la creatività, consistono proprio nel saper capovolgere la prospettiva. Tutte le volte che uno scienziato ha risolto un problema in modo geniale è accaduto perché non ha seguito le strade degli altri; ha saputo cambiare punto di vista, appunto, e questo gli ha permesso di vedere il problema sotto una luce diversa. In altre parole, è riuscito a guardare da una direzione alternativa - o se vuoi laterale, divergente – ciò che tutti stavano osservando da una stessa direzione.

S.: Arrivando a cambiarne l'interpretazione.

Bianucci: Se vuoi, ancora una volta è un problema di una nuova interpretazione, che riesce ad aggirare tutti gli altri punti di vista precedenti. Ma non significa che questi fossero necessariamente sbagliati: Newton aveva visto bene con la sua legge di gravitazione universale. Dopo più di due secoli è arrivato qualcun altro, che ha saputo vedere le cose da un altro punto di vista e che ha pensato "e se lo spazio fosse curvo per via delle masse che contiene?" È un passo avanti, ma certamente non si può dire che Newton avesse torto.

S.: Nella scienza rinnegare interpretazioni passate è sbagliato e non serve a niente. Sto facendo alcune conferenze per le scuole superiori, all'Osservatorio di Brera, proprio per mostrare agli studenti come anche Galileo si sia comportato in modo che oggi considereremmo antiscientifico. Secondo me questo aiuta ad avere un rapporto più sereno nei confronti della scienza, che altrimenti appare dura, meticolosa nel senso più inutile del termine. Recentemente è uscito un altro bel volume su Galileo, La stella nuova di Enrico Bellone.

Bianucci: Dunque saper sorridere, ironia; che al tempo stesso è la forma di maggior distacco ma anche di maggior coinvolgimento, perché se non hai metabolizzato in pieno un argomento, un concetto, allora non riesci neppure a sorriderne serenamente.

Chi, sul piano propriamente letterario, questa metabolizzazione sembra averla fatta è Borges, nei pochi scritti (rispetto all'opera omnia!) che hanno un retroterra scientifico.

Prendi, per esempio, il racconto delle biforcazioni [Il giardino dei sentieri che si biforcano, ndr], o La biblioteca di Babele: in questi racconti la scienza – addirittura la matematica - è la fonte dell'ispirazione, ma non la riconosci neanche più, perché appunto è talmente digerita che è diventata un'altra cosa. Nessuno di noi riconoscerebbe le bistecche che le nostre mamme ci hanno dato con tanto affetto da ragazzi: sono dentro di noi, irriconoscibili, ma noi siamo quelle bistecche. E in Borges gli spunti scientifici sono diventati le pagine di un grandissimo artista che ormai ha dimenticato la scienza da cui è partito; e l'ha dimenticata al punto che, anche senza sorriderne, ne fa un uso talmente personale, che è come se ne sorridesse: a quel punto lì che sia più o meno vera, più o meno verificata, non ha neanche più grande importanza.

Stormo di uccelli

S.: Un racconto invece in cui ne fa un uso aperto e consapevole è Argomentum Ornitologicum, dove Borges sorride della matematica e del ragionamento.

Bianucci: Sì, quello è un racconto bellissimo. Ma il sorriso di Borges è un sorriso alla Gioconda: appena accennato ti sfugge. Non sai neppure se è davvero un sorriso fino in fondo, perché alla fine le labbra gli si girano in giù. Generalmente parlando, Borges ha una visione tragica della realtà. Ma non divaghiamo: ecco in quei racconti, secondo me, si realizza una autentica e matura fusione tra scienza e letteratura. Almeno una delle possibili fusioni.

S. E la fantascienza? Che ne pensi? Ci sono opere di fantascienza che si avvicinano all'atteggiamento, alla maturità di Borges?

Bianucci: Il 99% degli scrittori di fantascienza mi sembrano lontanissimi da questo: a volte fanno dello spirito ma non fanno mai dell'ironia. Con qualche eccezione, ma non tanto sul terreno dell'ironia. C'è, per esempio, un racconto che Fruttero e Lucentini inclusero in una loro antologia di fantascienza, Il passo dell’ignoto, del 1972. E’ di un autore non molto noto: un certo Bob Shaw , ma per me è bellissimo ed estremamente anticipatore…

Il passo dell'ignoto

S.: Di che cosa parlava?

Bianucci: Non ricordo il titolo [Luce di giorni passati, ndr], io lo chiamo il “racconto della luce lenta”, appena nove pagine. Shaw lo pubblicò nel 1966. La storia parte da un'invenzione: è stato inventato e messo in commercio un vetro che rallenta la velocità della luce. È semplicemente la descrizione di un uomo in una stanza, all'interno di una casa a pianterreno, con un giardino intorno. Solo questo: un uomo in una stanza che guarda fuori attraverso questo vetro e vede una donna giovane, bella che raccoglie fiori... la guarda e, mentre leggi scopri che quella donna è morta anni prima e che lui la amava. Lui può vederla solo per il rallentamento della luce che porta l'immagine di lei e che passa attraverso il vetro. È un effetto fisico, ma è come se fosse un trucco: la luce diffusa dalla donna sta ancora attraversando la finestra, e lui la vede come se lei fosse ancora lì.

S.: Mette i brividi…

Bianucci: Se ci pensi, il condensato di Bose-Einstein, con il suo altissimo potere di rifrazione è in grado di rallentare la luce. Ha la proprietà che deve avere il vetro di cui si parla in quel racconto. Ma l'autore scriveva negli anni '50, nessuno aveva realizzato il condensato di Bose-Einstein, nessuno lo conosceva. L'autore del racconto, però, parte dal fatto – scientifico - che la rifrazione comporta un cambiamento della velocità della luce. Per la verità non lo dice, ma probabilmente lo sapeva, altrimenti mi pare difficile che possa venire un'idea del genere… Ecco: in questo caso non c'è ironia nel racconto, semmai malinconia. Però, di nuovo, è un caso in cui l'autore ha saputo prendere le distanze dal concetto di rifrazione. Ha inventato una situazione molto suggestiva dopo aver metabolizzato perfettamente l'idea. Il concetto di rifrazione è del tutto assente dal racconto.

S.: È interessante e mi pare che funzioni bene. La donna è appena di là dal vetro: e il vetro garantisce lo stesso effetto fisico che si ottiene in natura con le galassie lontane: la loro immagine è "vecchia". Con un accorgimento letterario, realizza un accorciamento delle distanze: rende molto vicino, quotidiano, un concetto con il quale ci scontriamo quotidianamente in astronomia.

Bianucci: Lo trovo un racconto straordinario: per il concetto e perché è scritto anche abbastanza bene dal punto di vista stilistico. E’ grande l'intuizione scientifica che c'è dietro. E secondo me è proprio un'intuizione in cui troviamo il fascino di un concetto scientifico completamente metabolizzato. Insomma, non è Star Trek che accende i motori, l'antigravità… cose che divertenti in un film o in un libro, ma che lasciano il tempo che trovano.

S.: Torniamo ai tuoi racconti de L'uovo del futuro. Le tue cronache di scoperte prevedibili sono, di fatto, un Brave new world impressionistico, in cui ogni macchia di colore, ogni racconto è legato a un'applicazione della scienza che, in genere, finisce per assume aspetti inquietanti, sia pure trattati sempre con molta ironia. Al di là del sorriso, però, l'uomo non sembra sfuggire al binomio grande scoperta- grande infelicità.

Bianucci: Nel mio piccolo, quello era un tentativo di metabolizzare dei contenuti scientifici o tecnologici. Ma sono racconti molto grezzi: ovviamente se li avesse scritti Primo Levi sarebbero stati un'altra cosa, ma come Don Abbondio non poteva darsi il coraggio che non aveva, così non ci si può dare la capacità artistica…

La velleità, comunque, era proprio di capire quanto quegli spunti potevano diventare espressione poetica, quanto potevano “dimenticare” la loro origine scientifica. Probabilmente da ragazzo avrei trattato quegli stessi temi in tremende poesie grondanti orrendo romanticismo: adesso li affronto così perché, se allora avevo metabolizzato Leopardi, Gozzano, Ungaretti, ora ho anche altre bistecche dentro di me: a Gozzano si è aggiunto il condensato di Bose-Einstein.

S.: Dubito che favorisca la digestione delle bistecche... Facendo un passo oltre la genesi dei racconti, mi pare che il tempo della narrazione sia molto indicativo del tuo rapporto con la "letteratura scientifica". Persino un racconto come Memoria, che pure parte da uno spunto cyborg alla Gibson, si sviluppa secondo un ritmo che è l'esatto contrario di quello di Neuromante: è un racconto lento, intessuto di ricordi, di malinconia, che si conclude con una nota di tristezza. Sono racconti che sembrano volersi ritagliare lo spazio e il tempo della riflessione, che è il tempo proprio della narrativa.

Che contributo può dare, secondo te, una narrativa che attinge alla scienza?

Bianucci: Mi verrebbe da dire ciò che Benedetto Croce diceva della storia: tutta la storia è storia contemporanea. Anche quando racconto della vita dei faraoni d’Egitto, sto facendo storia di oggi, sto parlando di D'Alema, sto parlando di Berlusconi … Per la fantascienza è la stessa cosa, e anche racconti come i miei, sono sempre il racconto del presente. In quei racconti, dopo tutto, non faccio che rappresentare me stesso, il nostro mondo, proiettato nel futuro o nel passato. Sempre parlando di noi, del nostro tempo, delle nostre paure, delle nostre ansie.

A questo aggiungi anche che quando un testo è consegnato alla macchina che lo stampa, diventa un'opera nuova anche per chi l'ha scritta.

Il professore con cui mi sono laureato, Luigi Pareyson, mi insegnava che l'opera d'arte vive non in sé, ma nell'interazione con la singola persona che ne fruisce, nel modo determinato da quella specifica interazione. E che, al di là della permanenza dell'oggetto fisico in cui l'opera si concretizza, esistono tanti punti di vista quante sono le persone che vengono in contatto con l'opera stessa, sicché l’opera vive di vita propria e si evolve. Non si tratta di relativismo, piuttosto di esistenzialismo applicato all'estetica. Pareyson concepiva la singola opera come una vera persona vivente: puoi dialogare con un'opera, interrogarla, esattamente come fai come con una persona. L'opera vive di questo dialogo e in questo dialogo: è qui che si realizza o non si realizza, che riesce o fallisce.

S.: Ne risulta, insomma, che il senso di una letteratura che attinge alla scienza è dato proprio dalle capacità di dialogo che apre, che offre e che rende possibili. È un interlocutore in più con cui confrontarsi. Sta poi a ognuno di noi stabilire il dialogo più proficuo.

Ma in questo senso quali sono i racconti de L'uovo del futuro a cui sei più affezionato?

Bianucci: Sono affezionatissimo a Trapianti, dove ogni organo, in prima persona, dal suo punto di vista molto specifico, racconta il personaggio di cui faceva parte prima dell’intervento chirurgico e poi qualcosa del personaggio in cui è stato innestato: il pancreas si preoccupa solo dei glicidi, il cuore vede il mondo in termini muscolari, come se fosse una palestra, il fegato è quello di una ragazza di vita e si rende conto che la ragazza lo ha sempre costretto a mangiare hamburger di pessima qualità. Tanti rovesciamenti del punto di vista, insomma.

S.: Ho trovato cuore e polmoni molto belli, molto poetici. Non era scontato…

Bianucci: Mi sono divertito a scrivere anche la storia del vecchio che non ha mai visto la televisione. Era il momento in cui Berlusconi stava decidendo di scendere in campo, per usare le sue parole...

S.: Il protagonista, Irnerio Testoni, è veramente un possibile paradosso dei nostri tempi. Attualissimo: un vecchio diventato celebre perché non ha mai visto la televisione. È naturalmente intervistato per questa ragione da tutte le TV, i giornali, le radio.

Bianucci: Se consideri che tutti noi siamo abituati a vedere la televisione e provi a immaginare uno che non l'ha mai vista, automaticamente viene fuori tutto il racconto.

Sono abbastanza soddisfatto anche dei monologhi del Big Bang raccontato dal fotone, dal neutrino, dal gravitone. Non solo per i cambiamenti del punto di vista, ma anche perché si gioca sulla conoscenza attuale della meccanica quantistica: per esempio, sul fatto che questo fotone non sappia mai che cosa c'è scritto sulla sua stessa carta d'identità, se sia una particella o un'onda. Una schizofrenia quantistica…

Ma non so se in questo modo si comunichi la scienza. Non si impara niente di lì, però …

S.: Però non è la funzione di questi esperimenti narrativi.

Bianucci: Giusto, non è la loro funzione E per riuscire a seguire il racconto basta sapere pochissimo, di scienza.

S.: E poi, in questo racconto, in effetti è molto forte l'idea della relatività dei punti di vista.

Bianucci: Se il pubblico sapesse quel minimo indispensabile per avere almeno una vaga idea di che cosa sia un fotone, un neutrino, un gravitone, allora un racconto come quello potrebbe dare qualcosa in divertimento e in riflessione, secondo me. Con un'alfabetizzazione di base del pubblico, si potrebbero raccontare e condividere una quantità di concetti scientifici molto belli e molto divertenti, in grado di cambiare l'immagine stessa della scienza presso il pubblico non esperto.

S.: Ma questo richiede, appunto, un'alfabetizzazione di base…

Bianucci: Non si può scrivere un libro per chi non conosce le parole. E spesso nella scienza è così: se anche scrivessimo un libro con parole semplici, per esempio le 2000 che ha identificato Tullio De Mauro per i %3Clibri di base%3E scientifici pubblicati anni fa dagli Editori Riuniti, probabilmente molti non sarebbero in grado di leggerlo comunque. Se chiedi a qualcuno che cosa sia un elettrone, non lo sa neanche se è un avvocato.

S.: Neanche se è un medico…

Bianucci: Il che è persino più grave. Però in questo caso ecco di nuovo il rischio del fondamentalismo. La mia impressione è che quando si parla di scienza si richiede in termini di alfabetizzazione molto più di quanto non accada nelle altre arti. La pittura, la scultura, l'architettura, il cinema si esprimono apparentemente con un linguaggio più vicino al nostro e dunque si suppone che qualche cosa arrivi lo stesso. Ma anche in questi casi, se non esiste un linguaggio comune, non si apre un dialogo profondo fra l'autore e l'opera.

Bianucci: Se non ho alcuna alfabetizzazione artistica probabilmente di fronte a un Matisse o a un Picasso ho delle difficoltà a stabilire un dialogo. Ma di fronte a un Piero della Francesca, bene o male mi fermo e un dialogo lo instauro comunque. Naturalmente se ho una cultura artistica vedo un Piero della Francesca in modo differente, gli faccio domande diverse.

S.: Questo discorso ci riporta a quanto si diceva prima circa la metabolizzazione. Di fronte a un Piero della Francesca utilizzi un immaginario intessuto di categorie che ti permettono di interpretare, di avere una chiave…

Piero della FrancescaBianucci: Naturalmente se conosco un po' di prospettiva e so che cosa sono i solidi platonici, guardando Piero della Francesca scopro un'infinità di cose, ma non è necessario saperle.

Del resto anche nel racconto di cui ti parlavo, [Vetri lenti, ndr] non è necessario sapere niente. Lo possiamo leggere in termini di rifrazione, di condensato di Bose-Einstein, ma ci si può anche limitare a pensare che sia il dramma di un uomo che sta perdendo l’ultima traccia della donna che amava. Il "vetro lento" è solo l'interruttore che fa scattare il sentimento, non c'è bisogno di sapere come funziona. In questo sta la grandezza di quel racconto.

Tuttavia, in generale, non credo che sia vero che quanto più divergi dalla conoscenza scientifica tanto più è facile fare una buona letteratura scientifica.

S.: In questi termini sarebbe un ricetta semplicistica, un po' facile.

Bianucci: La scienza è un ingrediente, un contenuto metabolizzato come tanti altri. E va trattato come gli altri contenuti. Anzi, secondo me, in quest'epoca, la scienza è un contenuto più importante di altri. Anche perché molti temi, molti generi sono stati esplorati e anche se non si finisce mai di esplorare niente, dubito che scrivendo un romanzo storico troveremmo davvero qualche cosa di nuovo. Non sarebbe vera esplorazione. Certamente studiando quel che sappiamo oggi del Medio Evo, potremmo descrivere molto bene un amore, un matrimonio difficile, per esempio immaginandoci un manoscritto medioevale.

S.: -In altre parole, ricostruire una storia di quel tipo potrebbe dare luogo a un bellissimo racconto ma non sarebbe niente di realmente innovativo.

Bianucci: Così mi pare. Oggi non siamo nell'epoca in cui il romanzo scopriva la storia e scopriva i sentimenti, i sentimenti piccoli, i sentimenti dei borghesi o del proletariato. Allora era un'operazione rivoluzionaria: oggi forse l'operazione rivoluzionaria sarebbe diventare consapevoli del sapere scientifico, saperlo usare come allora Manzoni ha saputo usare la storia, come allora Manzoni ha saputo usare la scoperta del proletariato, del piccolo borghese e dell'interazione tra classi sociali basse e classi sociali elevate.

Forse oggi avrebbe davvero senso quello che stiamo dicendo: riuscire cioè a portare dentro l'arte le concezioni, le idee, le suggestioni davvero straordinarie che la scienza ci offre.

Dopodiché occorre pure un distacco ironico, che permetta di sviluppare in modo spontaneo anche una visione tragica della scienza, e non solo di meraviglia. Quel che mi interessa sul piano poetico - artistico non deve più essere soltanto la macchina meravigliosa che funziona sul principio di Carnot, ma l'incrinatura che questa macchina comporta; da un certo punto in poi mi interessa l'entropia, quello che mette in crisi una visione del mondo troppo scontata. Voglio cioè potervi proiettare la mia stessa crisi.

S.: Mi fai venire in mente tutte le volte in cui si afferma che la scienza è bella, usando argomenti come la simmetria della scienza, la bellezza della simmetria. Non mi hanno mai convinto del tutto affermazioni di questo genere. Ho sempre pensato che la simmetria sia necessaria solo perché è necessario incrinarla, lacerarla. La bellezza, il fascino, mi pare, non nascono dalla simmetria ma la rottura della simmetria.

Bianucci: La simmetria è una bellezza superficiale. Poi c'è una bellezza più profonda che è la simmetria violata, l'incrinatura e l'inquietudine. Cioè una sottile asimmetria. D'altra parte sai benissimo che nessun volto è simmetrico, neppure quello delle donne più belle. Marylin Monroe secondo Andy Worhol, 1967 Le due metà della faccia di Marylin Monroe. sono diversissime.

Tuttavia non mi sbarazzerei con troppa semplicità della bellezza della scienza e della sua simmetria, perché è un meccanismo che fa scattare l'attenzione nel tuo interlocutore. Poi però devi fargli superare questa fase, perché è un aspetto che rischia di diventare banale, di inaridirsi e di inaridire il discorso.

S.: Mi chiedo se un'era scientifica alla Feynman è un'era in cui hai dei canoni interpretativi che derivano dalla scienza e che ti permettono di apprezzare certe cose, certi risultati, certe poesie anche in assenza di un'alfabetizzazione adeguata. Te lo chiedo perché nei modelli di Public Outstanding of Science ci sono tanti canali che contribuiscono a arricchire l'immaginario collettivo di riferimenti scientifici, non soltanto la scuola.

Bianucci: Secondo me una base di alfabetizzazione è indispensabile. Se non parlo inglese è inutile che mi tu mi dia in mano un bellissimo libro in quella lingua.

Credo però che nella nostra cultura poco per volta queste nozioni arriveranno. Non possono non arrivare. Anche se poi ho altri segnali che mi fanno rimanere pessimista. Quante scatole nere si usano, senza che si sappia che cosa c'è dentro? Pensa al telefono cellulare, al videoregistratore, al lettore di CD, al computer…

IED pubblicità 2003-2004S.: A Milano è comparsa una pubblicità bellissima dell'Istituto Europeo di Design. È un insieme di corpi allacciati a formare un cervello. Lo slogan è "il cervello ha bisogno di energia". Capire in termini scientifici che il cervello ha bisogno di energia presuppone una serie di conoscenze sul cervello non del tutto banali. Ma quella frase è utilizzata solo come slogan: è sufficiente accettare uno slogan del genere perché poi tu possa rielaborare questo concetto in modo autonomo oppure tutto si ferma lì? Accetti lo slogan, ma non lo capisci. L'impressione è che certi aspetti scientifici rimangano metafore fini a se stesse. Se ne percepisce la potenza metaforica, ma poi non la sappiamo rielaborare in modo autonomo.

È un modo reale di alimentare l''immaginario scientifico, oppure è solo un modo di aggiungere un elemento all'immaginario collettivo, ma senza che se ne percepisca un richiamo alla scienza?

Bianucci: Nel caso della pubblicità, la velocità della comunicazione esige che non ti soffermi sul significato, ma che usi solo la potenza metaforica dell'espressione. Chi ha fatto lo slogan, probabilmente si è chiesto se la parola energia sia sufficientemente conosciuta. Se chiedo a cento persone che cosa è l'energia, collezionerò risposte con molti concetti sbagliati ma, sia pure in modo approssimativo, gran parte della gente "sa" o pensa di sapere che cosa sia l'energia.

Lo stesso vale per il cervello: si sa che cosa è il cervello. Se avessero usato il termine mente già sarebbe stato diverso. Probabilmente hanno solo usato due parole comuni.

La pubblicità, per ragioni di ritmo comunicativo, deve saltare una quantità di passaggi intermedi. La narrativa, al contrario, richiede più conoscenza di questi passaggi intermedi. Per fare non uno slogan ma un racconto di 10 pagine che abbia come tema il fatto che il cervello si nutre di zucchero bisogna che la gente sappia che cos’è una cellula. Probabilmente avrei bisogno di raccontargli che quelle cellule ci sono dei mitocondri, che i mitocondri gli vengono solo della sua mamma, quindi che lui è più figlio della mamma che non figlio del papà, in un certo senso… E che se gli viene voglia di zucchero è perché i mitocondri, le centrali energetiche delle cellule, sono in riserva…

S.: Per giocare con le parole, c'è già una forte impronta mito-logica, partendo dal mito-condrio… la Grande Madre che nutre i figli, così come i mitocondri derivano solo dalle madri: è un racconto che si sta facendo da solo…

Bianucci: Stiamo andando a ruota libera, non ho mai scritto un racconto come questo. Sarebbe certamente un bello spunto, ma presuppone una serie di nozioni che si dovrebbero dare all'interno del racconto, in qualche modo.

Ci sono casi, poi, in cui non si presuppongono né specifiche conoscenze nell'autore né nel lettore. Prima dell'Uovo del futuro, per esempio, ho scritto un romanzetto apparentemente realistico, Benvenuti a bordo, ma in realtà molto metaforico. In effetti mi interessano le strutture che non si vedono: questa poi se non te la dico io non la vedi proprio! Non l'ha vista nessuno. Ma qualcosa, alla fine, credo ti resti dentro lo stesso..

S.: Mi viene in mente un bellissimo racconto di Buzzati, I 7 messaggeri. È stato interpretato come un racconto "matematico", ma è una delle metafore cosmologiche più intense che conosca. Sfrutta un principio relativistico: la velocità della luce nel vuoto è finita ed è la massima velocità per il trasferimento delle informazioni. Ma non dice mai niente del genere, è un racconto ambientato in un possibile Medio Evo. Eppure, qualche mese fa, Agnese Mandrino, responsabile dell'Archivio storico e della Biblioteca dell'Osservatorio di Brera, ha trovato una lettera del 1965 con la quale Buzzati restituisce un libro di astronomia preso in prestito prima dello scoppio della Guerra.

E se gli fosse servito per quel racconto?

Lettera di Dino Buzzati

Bianucci: Buzzati coglieva l'aura dei temi scientifici, che sapeva poi calare in certi racconti.

Alla fine siamo molto convergenti, perché siamo tornati alla metabolizzazione di cui parlavamo prima: come autore puoi funzionare se hai studiato e digerito certi concetti oppure, come nel caso di Buzzati, se hai il dono di cogliere l'aura invisibile che circonda certe cose e di ritirarle fuori guardandole da un punto di vista del tutto diverso.

S.: Questi sembrano essere i presupposti di una letteratura che coinvolga nel profondo anche la scienza. Che ne pensi di esperimenti letterari come, per esempio, Le cosmicomiche o Palomar di Italo Calvino, oppure Atlante Occidentale di Daniele Del Giudice? A me pare che più che la scienza in sé abbiano voluto privilegiare due aspetti fondamentali, il metodo e il linguaggio, rischiando però di sfociare nell'intellettualismo.

Bianucci: Anche io li vivo soprattutto come esercizi intellettuali. Dopodiché leggo più volentieri quelli che molti altri romanzi.

Sai chi mi pare abbia metabolizzato abbastanza bene certi concetti? Il primo Stefano Benni, il Benni di Terra, per esempio. Con il senno di poi non è un libro da buttare via. Ha tante scorie come sempre succede in Benni: ci sono gemme insieme al carbone, ma in Terra le gemme sono parecchie e ti fanno dimenticare tutto il resto.

In questo dossier

Suggerimenti