Dossier

Piemonte nanotech, imprese e centri di ricerca fanno squadra: il progetto Nanomat.

Intervista al professor Salvatore Coluccia

Salvatore Coluccia Salvatore Coluccia è vicerettore dell’Università di Torino, dove insegna Chimica fisica presso la Facoltà di Scienze matematiche fisiche e naturali; è inoltre presidente del progetto «Diadi» (Diffusione dell’innovazione nelle aree a declino industriale del Piemonte) e dell’Associazione temporanea di scopo (Ats) «Nanomat», finanziata dalla Regione attraverso il Docup 2000-2006.

Professor Coluccia, al convegno «Ricerca@impresa», organizzato a Torino il 10 luglio scorso, lei ha lanciato la proposta di invertire le priorità del binomio, trasformandolo in «Impresa@ricerca». Può spiegare in che senso?

Credo sia fondamentale trovare nuove forme con cui concretamente mettere a contatto i ricercatori pubblici e gli operatori privati. Portare gli imprenditori nei laboratori permetterebbe di “smitizzare” la ricerca. La ricerca prevede progettazione, fantasia, creatività, determinazione, ma è assolutamente accessibile, soprattutto nella sua quotidianità. Le celle di misura, la strumentazione, la consulenza dei tecnici sono per lo più avvicinabili senza problemi. Chi lavora nell’industria e si trova ad affrontare un problema deve stabilire se può risolverlo e, soprattutto, a chi rivolgersi. Deve sapere, ad esempio, che esistono specifici strumenti di misura o la possibilità di creare condizioni ambientali di vuoto e pressione controllata. La mia proposta è di selezionare i giovani che nelle imprese sono più interessati a queste tematiche e farli andare nei laboratori di ricerca, affinché in seguito sappiano decidere se un problema è superabile o meno. È chiaro che un giorno o due non risolvono tutto. Però sono utili per avere la percezione di ciò che offre il territorio. Oltretutto vedere, toccare e agire in prima persona aiuta molto la comprensione e incoraggia la creazione di rapporti meno formali tra le parti. Sarà banale ribadirlo, ma il fattore più importante è quello umano, nella ricerca pura come nel mondo degli affari. In tempi recenti la Provincia di Torino ha fatto molto in questa direzione: con i progetti «Provin» e «Proteinn» ha finanziato borse di studio per giovani che, subito dopo la laurea, passavano alle imprese.

ricercatori NanomatIn questo senso, dunque, occorre leggere l’inversione «Impresa@ricerca»?

Proprio così. Deve essere l’impresa, attraverso alcuni suoi rappresentanti, ad andare nei laboratori di ricerca. Finora, in genere, sono stati i tecnici ad andare nelle aziende per vederne gli impianti, per parlare con i progettisti… e, in pratica, fare il cosiddetto check up tecnologico, una delle misure classiche di questo tipo di progetti. La dinamica che proponiamo ora è meno istituzionale, meno “specifica”, ma comunque importante in prospettiva. Tante volte le risposte scientifiche ci sono: ciò che manca è il passaggio tecnologico che le renda disponibili ai singoli settori applicativi.

L’esperienza di «Diadi» ha fatto scuola…

Eh sì, basti pensare che Diadi è ormai operativo da 12 anni. E in questo lasso di tempo la situazione è migliorata. In passato in Italia, per ragioni secondo me anche “nobili”, l’Accademia si era molto difesa dal rapporto con le imprese. I motivi erano “nobili” per questioni di fondo, perché il nostro sistema industriale era particolare e non era molto portato all’innovazione. All’estero è tutto diverso, da sempre. Negli Usa, ad esempio, nessuno si sognerebbe mai di chiedere se la ricerca “di base” è più importante di quella applicata, tanto che la ricerca di base è da sempre finanziata sia dallo Stato che dalle imprese. In Italia le cose sono andate diversamente. Però, come dicevo, negli ultimi anni ci sono stati notevoli cambiamenti. La nostra ricerca accademica ha dimostrato di essere all’avanguardia internazionale; al contempo le imprese hanno manifestato una crescente necessità di innovazione, vedendo in essa un valore aggiunto per i propri prodotti. La collaborazione è dunque “inevitabile”.

supermercatoQuali sono i settori di maggior sviluppo delle nanotecnologie?

La ricerca sulle nanotecnologie promette progressi in ogni settore: nella farmaceutica, nell’automotive, negli elettrodomestici, nella sicurezza, intesa anche e soprattutto come tracciabilità dei prodotti. L’unica soluzione per la tracciabilità non della filiera, ma del singolo prodotto, verrà proprio dalle nanotecnologie. Il progetto che ha vinto l’edizione 2007 di «Nanochallenge», concorso promosso dal distretto veneto delle nanotecnologie con l’offerta di un finanziamento di 300 mila euro, era dedicato proprio alla tracciabilità, un requisito fondamentale sia per la sicurezza che per la valorizzazione dei prodotti. Basti pensare al caso recente del dentifricio di una nota marca, copiato da aziende cinesi e immesso sul mercato con un ingrediente rivelatosi pericoloso per la salute: ha procurato un enorme danno di immagine (oltre che economico) ai produttori “legali”. Senza contare il pericolo sociale.

Eppure l’informazione al pubblico su questi argomenti, forse anche per la difficoltà dei concetti di base, è piuttosto scarsa. Chi parla di nanotecnologie è ancora guardato con stupore…

Vero. L’informazione su questi argomenti è poca e va incrementata, ma occorre anche vigilare che sia corretta, per evitare che si generi un atteggiamento di diffidenza. «Nanomat» ha promosso un’indagine a livello nazionale proprio per stabilire qual è l’atteggiamento del cittadino medio nei confronti delle nanotecnologie: i risultati saranno resi noti a febbraio-marzo del 2008.

In effetti i mass media tendono a parlare delle nanotecnologie soprattutto in termini negativi, ad esempio come potenziali elementi nocivi alla salute umana. È un allarmismo eccessivo?

Direi proprio di sì. L’attenzione delle istituzioni per tutte le questioni relative alla nocività è molto elevata: il Centro «Scansetti» dell’Università di Torino, ad esempio, sta seguendo un triplice progetto, finanziato dalla Regione, volto alla valutazione della eventuale pericolosità delle nanoparticelle. Nelle aziende e nei laboratori di ricerca, inoltre, la responsabilità e la consapevolezza in relazione ai potenziali fattori di rischio sono oggi molto più elevate di quanto non avvenisse in passato. Comunque, su questi temi, mai abbassare la guardia.

provetteTra il 1998 e il 2003 il finanziamento pubblico alla ricerca sulle nanotecnologie in Italia è stato circa 6-7 volte inferiore rispetto agli altri Paesi europei. A che punto siamo oggi?

Intanto occorre precisare che i finanziamenti alla ricerca sono, in generale, 4-5 volte inferiori rispetto ad altri Paesi, quindi il settore nanotech rientra nella media. In ogni caso ritengo che la situazione sia migliorata. Basti pensare che Nanomat è nato grazie al sostegno finanziario della Regione Piemonte. E non è una scelta tanto scontata perché è più facile decidere di favorire i singoli settori produttivi (es. indotto auto, tessile, aerospazio, farmaceutico…) piuttosto che ambiti aspecifici come le nanotecnologie.

La durata del progetto Nanomat è di 18 mesi, perché così pochi?

Perché ci sono stati tempi più lunghi del previsto in fase preliminare, cioè nella valutazione e nell’approvazione dei progetti dimostratori. Il programma, d’altronde, punta a stimolare i centri di eccellenza e di ricerca già attivi nel settore, per tradurli in applicazioni utili a livello imprenditoriale: conta dunque su una buona base preesistente. In questi 18 mesi si tratta soprattutto di accelerare il trasferimento. È una corsa affannosa, ma speriamo di farcela.

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