Dossier

Personaggi in cerca di Majorana

Il filo rosso della genialità

Ritorniamo ora per un momento a Recami. La sua impostazione è come detto soprattutto storico scientifica, e apparentemente vi è un netto contrasto sia con Russo che con Sciascia. Ma ci chiediamo se è proprio così. In effetti, leggendo le frasi che chiudono gli scritti dei vari autori, appare in superficie una netta differenza. Russo conclude dicendo che "la storia di Majorana, quella vera, non è la storia di un'ombra". Dunque, il suicidio e non la scomparsa, darebbe un senso profondo a tutta la vicenda.

Recami invece si affida alle parole del critico italiano Aurora F. Bernardini: "l'ipotesi, credibile e fondamentata, di una sopravvivenza di Majorana è non solo più generosa, ma più rivoluzionaria (o almeno più progressista) del comodistico suicidio…Scartando a piè pari il luogo comune secondo il quale il genio dei fisici è precoce e di vita breve, o che un fisico può avere un grande talento nel suo ambito ed essere un imbecille nel resto, stando a quanto si sa di Majorana, non rimane che credere che in lui la genialità abbia anticipato la scoperta della sua verità. O della verità tout court, che Ivan Ilijc di Tolstoj scopre solo prima di morire. Quali sono i momenti veramente vivi della vita? Ognuno ha la sua risposta, quasi sempre in ritardo. Majorana l'avrebbe avuta prima. Sarebbe molto utile, per l'odierna umanità, il suo legato in proposito. Forse anche più utile che il suo legato in quanto fisico".

La frase che colpisce e che apre un ponte percorribile verso le tesi di Russo e Sciascia, è proprio il paragone che viene fatto con il personaggio del racconto di Tolstoj, quell'Ivan Ilijc che solo sul punto di morire scopre in qualche modo la falsità del personaggio che ha vissuto fino a quel momento.

E' interessante allora riprendere il pensiero di Pietro Citati che in suo saggio, tratto da Il male oscuro, riferendosi a come Tolstoj affronta la tematica della morte di Ilijc, dice:"Avevamo vissuto finora nel regno della ripetizione e del come sempre; ora la morte ci fa percepire fisicamente qualcosa di terribile e nuovo, anche se poi, a sua volta, questa novità si capovolgerà in un'ossessionante ripetizione. La morte si introduce all'improvviso nel corpo di Ivan Ilijc: sta lì si annida, compie il suo struggente lavoro, si ferma dinanzi a lui: cresce dentro di lui, lo succhia, irresistibilmente lo trascina chissà dove: come una forza cupa, opaca, oscura, che avanza e caccia via la vita; e intanto lo guarda, lo guarda, e pretende che anche lui la guardi così, fisso impietrito, proprio negli occhi; la guardi senza far nulla e soffra indicibilmente, rabbrividendo".

Questo confronto dialettico con il senso della morte, che diventa per alcuni la ragione della stessa esistenza, si aprirebbe nel caso di Majorana estremamente in anticipo, a causa della sua genialità precorritrice. E' questo che sembra dire Recami attraverso le parole della Bernardini.

Il genio di Majorana ci appare allora non solo nelle presunte razionali anticipazioni delle teorie fisiche sul mondo (con i catastrofici effetti delle sue applicazioni militari), ma soprattutto nell'anticipare quello scontro con la falsità del suo essere un "pupo pirandelliano", con l'egoismo della propria volontà, con la cecità verso la comprensione del senso della propria vita.

Per molti questo confronto avverrebbe in prossimità della morte fisica, o come per Ilijc, nel momento in cui si scatena in lui la malattia. Per Majorana avviene invece da sempre.

Ma Tolstoj ci ammonisce che questa lotta con la morte non può che perdersi. Per quanto, nel momento in cui ci si abbandona ad essa, il dolore e il terrore possono scomparire. Pietro Citati dice in proposito: "tutto quello che avviene qui avviene per grazia e volontà della morte: è lei a liberare Ivan Illic dal sentimento di essere giusto, a suscitare compassione; è lei a gettare sugli sguardi di chi esce dal sacco la sua radiosa e oscurissima luce, come il bagliore delle candele negli ultimi istanti di Anna Karenina".

E' qui allora, su un metalivello più intimo e filosoficamente sottile, che sembrano unirsi le posizioni di Recami e Russo.

Questi ultimi passaggi in più consentono un’ulteriore unificazione con alcune delle tesi che Sciascia propone nel suo romanzo.

Anche Sciascia parla del genio precoce di Majorana. E' una insondabile genialità che, secondo lui, porta Majorana a concepire la vita "come una invalicabile misura: di tempo, di opera. Una misura come assegnata, come imperscrittibile….Appena svelato compiutamente un segreto, appena data perfetta forma, e cioè rivelazione, a un mistero - nell'ordine della conoscenza o, per dirla approssimativamente, della bellezza: nella scienza o nella letteratura o nell'arte - appena dopo è la morte. E poiché è un tutt'uno con la natura, un tutt'uno con la vita, e natura e vita un tutt'uno con la mente, questo il genio precoce lo sa senza saperlo. Il fare per lui è intriso di questa premonizione, di questa paura. Gioca col tempo, col suo tempo, coi suoi anni, in inganni e ritardi. Tenta di sottrarsi all'opera, all'opera che conclusa conclude. Che conclude la sua vita."

Qui Sciascia sostiene l'idea che la percezione del senso della propria vita e del proprio tempo nella sua totalità, così come avviene per le più semplici dimensioni spaziali (senza alcuna concessione alla volontà dello scorrere e del divenire), porta alla catastrofe personale. La percezione per Majorana, in ogni istante della sua vita, della totalità del proprio essere in tutta la sua estensione temporale, che a noi, "non geni", ci è fortunatamente interdetta, contiene i germi della sua fine. Portare con sé la scienza, come dice Sciascia e non cercarla, come Fermi e gli altri, possedere già le risposte, avvicina Majorana alla morte più di ogni altra cosa.

A questi sfortunati illuminati non resta che ritardare in ogni modo la propria precocità perché oltre se stessi vi è solo il nulla.

Sciascia allora arricchisce questo gioco tra il "genio" e il "ritardare" con un accostamento rivelatore tra Majorana e Stendhal. Quest'ultimo, dice Sciascia, cosciente e spaventato dalla propria precocità "perde tempo, si finge ambizioni carrieristiche e mondane. Si nasconde. Si maschera. Rampa per plagi e pseudonimi (che poi sono il rovescio e il dritto della stessa paura). Ed è un gioco che fino a un certo punto gli riesce. Diciamo che gli riesce fino a De l'amour. Ma quando scrive questo libro, è chiaro che non ha più molte chances a prolungare il gioco. Ancora alcuni anni di resistenza: e in un breve giro di tempo è costretto a scrivere tutto.Majorana, come Stendhal, "oscuramente sente in ogni cosa che scopre, in ogni cosa che rivela, un avvicinarsi alla morte".

Appare allora un filo rosso che ci porta dalla genialità precorritrice di tipo stendhaliano, al confronto dialettico con la morte, proprio dell'opera di Tolstoj, fino al pessimismo di Schopenhauer.

Un filo che congiunge, in sintesi, le opere di Russo, Sciascia e Recami, le quali per altri aspetti, invece, ci apparivano nettamente disconnesse. Un filo che mostra quanto sia complessa la struttura della figura di Majorana e delle sue rappresentazioni, i cui elementi unificanti rimangono ancora da investigare.

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