Curiosando tra le attività…
L’amianto in Piemonte
Il termine amianto o asbesto (
Rocce di questo tipo, provenienti dal mantello oceanico che un tempo separava l’Europa dall’Africa, sono presenti lungo tutto l’arco alpino e specialmente nelle Alpi occidentali.
Una mappatura della loro distribuzione è stata effettuata dal Dipartimento di scienze mineralogiche e metrologiche dell’Università di Torino.
I minerali fibrosi sono stati studiati con tecniche di microscopia elettronica e di spettroscopia, così da distinguere i diversi tipi di fibre e poter preparare campioni omogenei per i test poi effettuati nei Dipartimenti di chimica e biologia.
I minerali che contengono fibre di amianto possono avere colore bianco, giallastro o verde. I principali sono il
Si tratta di minerali flessibili e dotati di bassa conducibilità termica, elettrica e acustica, che inoltre resistono al fuoco e agli acidi.
Per queste sue proprietà l’amianto è stato a lungo sfruttato industrialmente nella produzione di tessuti antincendio, materiali protettivi e fibrocementi come l’Eternit.
In Piemonte l’estrazione dell’amianto avveniva principalmente nel cuneese in Val Varaita, dove vicino a Sampeyre si erano trovate vene pure, e a Balangero nella provincia di Torino, dove fino al 1990 era attiva la principale cava dell’Europa occidentale, con 150.000 tonnellate di roccia estratte ogni anno.
Poi si è scoperto che le polveri dell’amianto, se inalate, non producono soltanto la broncopneumopatia cronica chiamata asbestosi ma sono cancerogene: causano in particolare il
L’uso dell’amianto così è stato vietato per legge. Nella normativa italiana attuale, però, non tutti i minerali contenenti amianto sono considerati nocivi. Alcune ricerche coordinate dal Centro “G. Scansetti” fanno ritenere che questa sia una carenza della legislazione.
Per esempio la
Il Dipartimento di genetica, biologia e biochimica, insieme al Dipartimento di chimica IFM, ha studiato l’effetto di queste fibre su cellule epiteliali di polmone umano in coltura, e i risultati indicano che le fibre della balangeroite sono altrettanto pericolose di quelle del crisotilo.
Il possibile ruolo dei radicali liberi
I radicali liberi sono specie chimiche con un elettrone spaiato, che si generano quando si rompe un legame covalente.
Ciò avviene facilmente quando sostanze come il perossido di idrogeno H
Generalmente i radicali liberi hanno una vita breve, che dura pochi millisecondi, ma sono molto reattivi e possono dare inizio a reazioni a catena.
Hanno un ruolo importante nelle combustioni, nella chimica atmosferica, nella sintesi dei polimeri e in molti processi fisiologici.
Nel nostro organismo per esempio ci sono radicali liberi che stimolano la dilatazione delle arterie per regolare la pressione sanguigna. E nel sistema immunitario i macrofagi usano il radicale ossidrile OH
Un apporto eccessivo di ferro tramite l'alimentazione è tossico proprio perché l'eccesso di ioni ferrosi reagisce con i perossidi nel corpo formando troppi radicali liberi, che i meccanismi anti-ossidanti del corpo (come le vitamine A, C ed E) non riescono a mantenere sotto controllo.
I radicali possono allora catalizzare una serie di reazioni chimiche dannose, alterando lipidi e proteine e provocando mutazioni del DNA. Possono perciò anche contribuire all’insorgere del cancro.
Ma che cosa ha a che fare tutto questo con la pericolosità dell’amianto?
Non esistono ancora certezze riguardo all’interazione tra le microfibre inalate e l’organismo, ma si sa che la superficie delle fibre d’amianto è ricca di ioni ferrosi.
Il sospetto è che una parte importante del danno che l’amianto procura all’organismo sia dovuta proprio ai radicali liberi come l’ossido nitrico NO
Per cercare di prevenire la pericolosità dell’amianto, allora, l’idea è quella di identificare sostanze
I chelanti infatti sono composti chimici che contengono uno o più atomi donatori di elettroni. Mediante legami covalenti di coordinazione, questi composti possono legare uno o più atomi metallici formando una struttura ciclica (sono
Il biorisanamento
La contaminazione del suolo con sostanze tossiche, provocata dai processi industriali, è un problema sentito in tutto il mondo, e ovunque si studiano possibili rimedi.
Le sostanze contaminanti possono essere di ogni tipo: metalli pesanti, idrocarburi, plastica o, nel caso in esame, l’amianto.
Per ognuna di queste sostanze esistono in natura organismi capaci di risanare il terreno in modo spontaneo. Questa attenuazione naturale della tossicità, però, richiede di norma tempi molto lunghi.
Si può sperare di rendere più rapido il processo di biorisanamento se si stimola l’ambiente inserendovi opportuni microrganismi (
Per il caso dell’asbesto, al Dipartimento di chimica IFM di Torino si studia in laboratorio il possibile ruolo di funghi e licheni.
I ricercatori vogliono stabilire se e in quale misura le naturali capacità chelanti di questi organismi possano essere utili per il biorisanamento dei terreni contaminati da amianto.
Funghi e licheni per bonificare
I funghi sono buoni candidati perché hanno un metabolismo molto efficiente e riescono a vivere anche in substrati poveri; inoltre esistono già prove della loro capacità di migliorare suoli contaminati o sottoposti a un intenso regime agronomico.
Per esempio certi funghi del genere
Coltivando piante micorrizate con questi funghi, si è osservato nel terreno un notevole aumento della glomalina: ciò indica che essa è in grado di chelare fortemente il ferro e anche metalli pesanti potenzialmente tossici.
Per studiare le interazioni specifiche con le fibre dell’amianto, in laboratorio si sperimenta con funghi coltivati in agar.
Quando si pongono pezzetti di micelio in un terreno di coltura e si aggiungono le fibre, si osserva che il fungo rilascia pigmenti e la soluzione cambia colore.
Per verificare se c’è stata azione chelante da parte del micelio, si misura quanto ferro è passato in soluzione mediante uno spettrofotometro che rivela quanta luce di un particolare colore (viola, in questo caso) è assorbita dalla soluzione.
Anche in questi esperimenti i risultati indicano che i funghi sono un potenziale strumento per il biorisanamento.
Esperimenti simili vengono condotti in laboratorio anche sui licheni, organismi prodotti dalla simbiosi tra un fungo e un’alga microscopica.
Ne esistono di vari tipi: i licheni fogliosi, di cui si nutrono nella tundra le renne, crescono anche sui larici delle nostre montagne; i licheni crostosi sono quelli che colonizzano la superficie delle rocce .
Rispetto ai funghi i licheni hanno un’azione chelante ancora più efficace e hanno anche capacità biomeccaniche: riescono a trasformare le rocce in suolo.
I licheni però hanno il difetto di crescere molto lentamente. Ciò non toglie che in Italia la loro crescita possa risultare rapida rispetto ai tempi di applicazione delle leggi.
Soltanto oggi infatti, a quindici anni dalle prime normative, il legislatore inizia a preoccuparsi seriamente del biorisanamento.
Nel frattempo la natura ha provveduto a condurre esperimenti di attenuazione naturale con i licheni.
Nella cava di Balangero, per esempio, essi al passare degli anni hanno ricoperto le rocce, e oggi i ricercatori osservano che le fibre di amianto sottostanti sono già modificate dall’azione chelante degli acidi lichenici.
Esistono quindi indicazioni della fattibilità in linea di principio di un biorisanamento basato sull’uso dei licheni.
Tuttavia non si sa ancora se e come sia possibile “coltivare” i licheni, così che essi possano contribuire in modo quantitativamente più importante all’inattivazione