Dossier

Centro “G. Scansetti” dell’Università di Torino

Centro “G. Scansetti” dell’Università di Torino

Qui si studiano tutte le complesse questioni legate al rischio-amianto, dalla mappatura della sua distribuzione nell’arco alpino fino alle tecniche innovative per confinarlo e renderlo inattivo.

Questo dossier fa parte di una rassegna di progetti innovativi in cui sono impegnati centri di ricerca, sviluppo e formazione avanzata dell'area torinese.

Da una ventina d’anni ormai è noto che l’amianto, o asbesto, è pericoloso per la salute: le sue minuscole fibre, se inalate, possono causare tumori mortali dell’apparato respiratorio.

Che cosa si può fare per limitare in futuro questo rischio, decontaminando gli ambienti in cui sono presenti grandi quantità di amianto?

La miniera ex Amiantifera di Balangero (TO) Il problema è di attualità in relazione ad almeno due progetti che interessano il territorio piemontese: la bonifica dell’Amiantifera di Balangero e il nuovo corridoio ferroviario Torino-Lione.

A Balangero, all’ingresso delle Valli di Lanzo, ha funzionato fino al 1990 una grande cava di amianto a cielo aperto, che ora attende una sistemazione.

La nuova ferrovia Torino-Lione invece prevede lo scavo di un tunnel lungo decine di kilometri, e durante questo gigantesco lavoro si potrebbero incontrare vene di amianto.

Tutte le complesse questioni legate al rischio-amianto, dalla mappatura della sua distribuzione nell’arco alpino fino alle tecniche innovative per confinarlo e renderlo inattivo, sono studiate dal Centro “G. Scansetti” dell’Università di Torino.

Il progetto finanziato dalla Regione Piemonte e coordinato dal Centro è un esempio di ricerca fortemente multidisciplinare, che coinvolge le competenze di numerosi dipartimenti universitari, ospedali e ASL.

Da un lato si mira a produrre una cartografia delle rocce asbestifere nelle Valli di Lanzo e di Susa, per evidenziare le zone in cui sono necessarie precauzioni speciali.

Si cerca poi di valutare in modo comparativo la patogenicità dei diversi tipi di fibre, così da identificare i minerali più pericolosi.

Infine si studiano possibili processi d’inattivazione dell’amianto in ambiente naturale, per individuare trattamenti delle fibre che ne riducano la patogenicità.

In questa ricerca di nuove tecniche di biorisanamento (bioremediation) si tenta in particolare di “arruolare” nella lotta all’amianto alcuni organismi che a prima vista potrebbero apparire alleati improbabili: funghi e licheni.

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