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Notizia del 23/02/2002

Una museruola per tenere a bada il cancro

Il Prof. Giuseppe Saglio illustra una nuova terapia in uso all'ospedale San Luigi per combattere la leucemia mieloide cronica.

Professor Giuseppe Saglio La leucemia è un particolare tipo di cancro che colpisce le cellule del sangue, i cosiddetti globuli bianchi. Ne esistono di diverse varianti, alcune colpiscono gli adulti, altri i bambini, possono insorgere molto rapidamente (leucemia acuta) oppure avere un decorso lento (leucemia cronica).

La ricerca contro il cancro ha portato a grandi successi in questo campo, tanto che alcune di queste forme tumorali, se prese in tempo, sono guaribili in un'elevatissima percentuali di casi.

Lo sviluppo delle leucemie può essere conseguente a tre tipi di difetti: le cellule possono proliferare in maniera indiscriminata, possono non andare incontro al suicidio cellulare quando necessario, oppure possono non maturare e "intasare" il midollo osseo, luogo nel quale vengono prodotte.

In particolare la leucemia mielode cronica, ha sottolineato il Prof. Saglio, è causata da un difetto di proliferazione delle cellule, conseguente a più alterazioni del nostro genoma.

E' una malattia piuttosto rara, infatti colpisce due persone su 100.000 ogni anno ed è relativamente facile da diagnosticare perché le cellule malate possiedono un cromosoma particolare, il cromosoma Philadelphia.

Questo cromosoma è stato identificato per la prima volta, nella città omonima, nel 1960, ed è dovuto allo scambio di materiale genetico tra due cromosomi, il numero 9 e il numero 22.

Questo scambio fa sì che venga a crearsi una nuova proteina, in grado di far proliferare la cellula in modo indiscriminato. In realtà è noto che il 30% della popolazione possiede questo cromosoma in alcune sue cellule, anche se la malattia si sviluppa con una certa rarità.

Questo perché non è sufficiente questa sola anomalia perché la leucemia si manifesti, ma servono altre alterazioni del genoma.

Dal punto di vista terapeutico è stato però assodato che, se il prodotto alterato di questo cromosoma viene inattivato, la leucemia viene fermata ed il paziente guarisce.

Gli sforzi per la cura della leucemia mieloide cronica hanno portato allo sviluppo di nuovi farmaci in grado di correggere il difetto a livello molecolare nelle cellule alterate, a differenza dei precedenti che miravano semplicemente ad eliminare tutte le cellule della difesa immunitaria, alterate e non, che venivano poi rimpiazzate con un trapianto di midollo osseo da un donatore.

Questo tipo di terapia presenta molti limiti, che vanno dalla tossicità dei farmaci, alla difficoltà di ottenimento di un midollo, alla ben nota reazione di rigetto del trapianto.

Gli approcci terapeutici innovativi applicati finora sono stati molteplici, e vanno sotto il nome di terapia antisenso e inibitori proteici, ma finora nessuno aveva dato il risultato sperato, tranne in un caso.

Negli ultimi anni, continua il Prof. Saglio, è stato sviluppato un nuovo farmaco che si è dimostrato molto efficace in casi in cui altre terapie non hanno avuto gli effetti desiderati.

Il farmaco in questione, il Glivec della Novartis (chiamato anche STI571), permette di inibire l'attività della proteina aberrante, legandosi ad una parte fondamentale per la sua funzionalità.

Infatti la proteina derivante dal cromosoma Philadelphia possiede un sito con il quale attiva altre proteine, che conducono alla proliferazione cellulare.

Il farmaco in pratica è una museruola che chiude il sito in questione impedendo alla proteina di funzionare.

Il Glivec è stato introdotto negli Stati Uniti nel giugno 2001, e in Italia a gennaio. Durante la sperimentazione clinica hanno ricevuto questo farmaco 454 persone, e nel 90% dei casi si è osservata la remissione della malattia in due mesi.

In Italia attualmente circa 300 pazienti sono in cura sperimentale con il Glivec in tre centri, tra cui l'Ospedale San Luigi di Orbassano.

Gli effetti collaterali fino ad ora osservati sono di poca rilevanza, se paragonati alla gravità del problema che il farmaco cura: ritenzione di liquidi (e conseguente aumento di peso), crampi muscolari e manifestazioni cutanee sono i disturbi più frequenti per chi lo assume.

Ma il Prof. Saglio pone giustamente l'accento su alcune domande sulla terapia con il Glivec, a cui ancora non si può rispondere: cosa succederebbe, infatti, se il paziente interrompesse la cura? Potrebbero verificarsi, infatti, casi di proliferazione delle poche cellule malate ancora presenti, che porterebbe però al cambiamento delle loro caratteristiche e ad eventuali resistenze al farmaco, invalidando così la terapia. E ancora, se il farmaco dovrà essere somministrato per tutta la vita, quali possono essere i suoi effetti tossici?

Un altro problema evidenziato durante la conferenza è l'insorgenza di resistenza farmacologica al Glivec, dovuta, probabilmente, ad una maggiore produzione della proteina alterata, che inattiverebbe, così, la capacità del farmaco di bloccarla.

Le possibilità di agire anche su questa classe di pazienti si basano sull'utilizzo di terapie combinate, ovvero la somministrazione del farmaco unita all'uso di tradizionali metodi di cura.

Inoltre, aggiunge il Prof. Saglio, è stato osservato che questo farmaco è attivo anche su altre proteine aberranti che causano altri tipi di tumori: rappresenta quindi una reale speranza per la guarigione di molti pazienti, pur con tutte le cautele che bisogna usare con un farmaco all'inizio di una fase sperimentale.

Questo tipo di terapia, definita come terapia molecolare, perché invece di uccidere le cellule mira a correggerne i difetti che causano la malattia, lascia i presupposti per la speranza che un giorno i tumori potranno essere curati semplicemente prendendo delle pastigliette, come si fa attualmente per curare una qualsiasi infezione.

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