Dossier

Non solo vita su Marte: la storia delle illusioni aliene

Keplero e gli artefatti seleniti

Non è un caso che ad inaugurare questo temerario filone di ricerca sia stato proprio uno dei Fondatori dell’astronomia moderna e uno dei principali propugnatori della teoria eliocentrica all’alba del Seicento. Keplero, ritrattoJohannes Kepler è il principe della speculazione matematica a sfondo metafisico, ed è sempre stato un fautore della vita extraterrestre nonostante l’avversione per l’universo infinito di Bruno.

L’autoinganno, in Keplero, è sempre molto sofisticato e poggia su solide basi analitiche e/o sperimentali, come testimonia la grande opera delle Harmonices Mundi sul sistema planetario. E l’esperimento, celeberrimo, è in questo caso l’esplorazione telescopica della Luna, stimolata dai successi e dagli scritti galileiani ma anche guidata da un’antica passione per il nostro satellite naturale che si ritrova già nei giovanili carteggi con il maestro Micheal Maestlin.

Finalmente in grado di osservare con un perspicillum (come era definito all'epoca il neonato telescopio) le promettenti distese celesti, Keplero lo rivolge verso mari e crateri seleniti e conferma trionfalmente le scoperte del Keplero, Dissertatio cum Nuncio Sidereo collega pisano nella famosa Dissertatio cum Nuncio Sidereo del 1610.

L’astronomo tedesco va per certi versi molto oltre la sobrietà galileiana, con un entusiasmo interpretativo a tratti vertiginoso: non solo la Luna è un mondo come la Terra, ma vi sono chiari indizi che esso possa essere abitato, nonostante le proibitive condizioni superficiali. Il passo sul cratere centrale del nostro satellite (riprodotto con bella evidenza sulle mappe di Galileo) è esplicito e rivelatore, incurante delle reazioni aristoteliche e della pericolosità teologica di certe affermazioni invise anche ai protestanti:

"Non posso evitare di stupirmi riguardo a quella larga cavità circolare (…). E’ un prodotto di natura o dell’arte? Supponiamo che ci siano esseri viventi sulla Luna… Ne segue sicuramente che il carattere degli abitanti debba accordarsi con quello del luogo in cui vivono. Dal momento che la Luna ha montagne e valli molto più grandi di quelle della nostra Terra, essi hanno senza dubbio corpi più massicci, e costruiscono progetti giganteschi. Durante il loro giorno, della durata di quindici dei nostri, essi sopportano un caldo intollerabile. Forse, mancando di pietre per costruire protezioni contro il Sole, lo fanno invece con il suolo fangoso. Forse scavano enormi arene e, quando portano fuori la terra, la ammonticchiano in un cerchio allo scopo di prosciugare l’umidità del terreno. Così si nascondono all’ombra dei tumuli da loro scavati e, al muoversi del Sole nel cielo, si spostano in modo da restare sempre coperti. Essi realizzano poi, a tutti gli effetti, una città sotterranea, e vivono all’interno di cave nel terrapieno circolare."

Nasce così, a dispetto delle infinite critiche di scienziati e filosofi contemporanei e della scettica cautela galileiana, il germe di un’idea altamente contagiosa, ripreso in termini più generali in quel capolavoro di speculazione fantascientifica che è il Somnium, sive de astronomia lunaris del 1634.

La luna e i suoi abitanti non erano fino ad allora una novità, ma la logica, la matematica e la fisica applicate all’indagine teorica sulla loro natura, la stessa possibilità di una verificabilità sperimentale della loro esistenza e della loro attività architettonica, irrompono nella Storia della Scienza catalizzando entusiasmi e stimolando ulteriori osservazioni.

Luna: frontespizio del Somnium, sive de astrononomia lunaris, 1634

Tra l’altro questo è uno dei migliori esempi di sperimentazione "guidata dalla teoria": la "volontà" di vedere qualcosa acquisisce un peso almeno pari all’oggetto della visione. La gestalt dell’osservatore entra in gioco in un classico caso di quello che gli inglesi chiamano self-deception, in cui la percezione è fortemente condizionata dall’aspettativa.

Il contesto, l’osservazione di dettagli fini di oggetti astronomici, è al limite delle capacità fisiologiche e tecnologiche, ma l’autorità dello scienziato coinvolto amplifica enormemente il risultato illusorio e crea un filone di ricerca avidamente seguito dalle generazioni successive.

Che l’ardita estrapolazione osservativa di Keplero non sia passata inosservata dai contemporanei è fuor di dubbio: la fertile immaginazione dei poeti (e di conseguenza l’attenzione di un pubblico più vasto e meno specialistico) è abbondantemente testimoniata dalla produzione letteraria del tempo. John Donne, con un interessante errore di attribuzione della "scoperta", parla nel 1611 di "Galileo il fiorentino" che di questi tempi ha minuziosamente appreso di tutti i colli, le foreste e le città del Nuovo Mondo, la Luna”; nel 1620 Ben Jonson fa annunciare in una sua commedia "un nuovo mondo. E nuove creature in quel mondo. Nell’orbe lunare. Che si è scoperto essere un mondo abitato. Con mari e fiumi navigabili"; nel 1623 il poeta scozzese William Drummond scrive che "qualcuno afferma ci sia un altro mondo di uomini e creature dotate di sensi, con città e palazzi sulla Luna".

L’eco delle osservazioni di tali architetture ed artefatti si diffonde dunque incontrollabile, anche se non mancano ironia e scetticismo. Come nel memorabile L’Elefante sulla Luna di Samuel Butler, in cui la metafora dell’autoinganno è centrale, trasparente e corrosiva: gli astronomi annunciano la visione della bestia selenita attraverso il telescopio, solo per scoprire che si tratta di un topolino che ha invaso il loro strumento.

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