Dossier

Non solo vita su Marte: la storia delle illusioni aliene

Ingegneri sulla Luna?

Schroeter, Johann Hieronimous: ritratto Negli stessi anni inizia la carriera del padre della selenografia moderna, il tedesco Johann Hieronymus Schroeter, un osservatore puntiglioso ed entusiasta folgorato dalle osservazioni "vulcaniche" di Herschel.

Nelle sue rozze ma dettagliate mappe, Schroeter insegue qualunque tipo di mutamento nella superficie lunare e inevitabilmente si lascia spesso andare a colorite fantasie sulle opere dei seleniti, dalle "quiete coltivazioni di creature razionali" del Mare Imbrium, alla città nella regione a nord del cratere Marius, alla navigabilità commerciale dei canali presso Hyginus.

Il dominio ormai pressoché incontrastato dell’idea della totale assenza di una atmosfera lunare non è un problema per l’astronomo tedesco: alcune osservazioni della luce cinerea lo spingono a teorizzare un sottile ma apprezzabile strato d’aria che consentirebbe la vita intelligente.

Gli artefatti, insomma, continuano a propagarsi come un virus, niente affatto confinati alle fantasie di qualche bizzarro incompetente.

E l’idea rimane sottopelle anche nei salotti culturali dati i frequenti contatti tra mondo della scienza e mondo dell’arte: basti pensare che lo stesso Goethe ottenne da Schroeter un telescopio che puntò spesso verso la Luna.

Il successore dell’"Herschel della Germania", come era familiarmente conosciuto Schroeter, fu l’ancor Gruithuisen, Franz von Paula: ritratto più fantasioso astronomo bavarese Franz von Paula Gruithuisen, che cominciò la sua carriera sull’onda dell’entusiasmo per la grande cometa del 1811, quella citata da Tolstoi in Guerra e Pace. La ricerca instancabile, e a tratti commovente, di tracce di artefatti restò sempre dominante nella sua produzione scientifica.

Iniziò con il segnalare una serie di solchi superficiali assai regolari, soprattutto all’interno di grandi crateri dal suolo più scuro, e li interpretò come un sistema di strade, frutto dell’ingegneria di una avanzata società selenita, fantasticando addirittura di poter discernere gruppi di carovane negli snodi di questa rete di trasporti.

Ma la sorpresa più grande la provò nel luglio del 1822, quando si convinse di aver identificato all’interno del Mare Imbrium un enorme Wallwerk, una delicata struttura muraria lunga 5 miglia e perfettamente allineata nord-sud. A poca distanza dall’artefatto, straordinariamente simile "alle venature di un ontanoo delle foglie di una rosa" si imbattè in una struttura ancora più piccola a forma di stella distorta.

La scoperta venne presentata al pubblico solo nel 1824, in un memorabile studio dal titolo La scoperta di molte distinte evidenze di abitanti lunari, in particolare una colossale costruzione artificiale, il cui terzo capitolo si occupava distesamente di "artefatti sulla superficie dell’emisfero visibile della Luna".

Le speculazioni più ardite vi si intrecciano inestricabilmente alle dettagliate osservazioni telescopiche:

"Nessuno, per quanto fantasioso, considererebbe la possibilità che la Natura da sola possa aver generato questa struttura. Potrebbero cristalli larghi 5 miglia crescere sulla Luna, se sulla Terra suscitano la più grande meraviglia quando raggiungono 5 piedi?"

Una volta esclusa una razza di termiti selenite, Gruithuisen ipotizza che la scarsa gravità superficiale favorisca la costruzione di opere immense da parte degli abitanti lunari, creature dalla innegabile intelligenza in grado di costruire anch’essi telescopi come i cugini umani e forse di emulare strutture come la Grande Muraglia e le Piramidi.

Le altre abitazioni sarebbero a noi invisibili perché "sublunari" (Keplero docet) e l’edificio a stella sarebbe con tutta probabilità un tempio costruito da adoratori del cielo, naturalissima religione in un mondo dotato di atmosfera finissima e notti lunghissime.

Dettaglio interessante, nascono con Gruithuisen le prime indagini sui possibili indicatori del grado di artificialità di un oggetto extraterrestre: la regolarità dell’impianto globale (l’inclinazione delle mura di 45° e 90°), l’allineamento al meridiano nord-sud e la collocazione in corrispondenza del meridiano della librazione lunare (la lenta oscillazione che consente agli osservatori terrestri di osservare più del 50% della superficie del satellite nel corso dei mesi).

Le scoperte del bavarese si diffondono nella comunita’ astronomica e ne oltrepassano i confini, come una febbre improvvisa: se Olbers e Gauss si mostrano scettici della questione, come mostra la loro corrispondenza, il principe Metternich, allora Primo Ministro austriaco, conferma personalmente al telescopio l’esistenza dell’artefatto.

Vari professori universitari si lasciano andare all’entusiasmo e offrono una cattedra a Gruithuisen, che accetta.

Lord Tennyson, in Inghilterra, si lascia andare a voli lirici e pindarici: “Io vidi / le bianche Città della Luna, e l’ampiezza opalina / dei suoi laghi brillanti, delle sue argentee alture”.

Gruithuisen, Franz von Paula: il wallwerk lunare

Col tempo le speculazioni dell’astronomo si fanno persino più audaci. Nel 1824 segnala mutamenti nella struttura, tra cui la scomparsa di alcune mura e l’offuscamento del tempio. Inevitabile per lui concluderne che i lavori di edificazione e modifica architettonica sono in pieno svolgimento e ugualmente inevitabile assistere alla rapida perdita di credibilità delle sue osservazioni creative (nell’interpretazione più che nella percezione, a onor del vero). D’altronde vari astronomi e astrofili esperti (il reverendo Webb, Heinrich Schwabe, Thomas Empey Elger) sottolineano l’acutezza visiva e l’efficacia osservativa di Gruithuisen, sempre molto fedele al paesaggio esplorato.

Solo negli anni ’90 del secolo G.K. Gilbert concluderà che il Wallwerk non è che una disposizione casuale di solchi all’interno del Mare Imbrium, cicatrici dovute a massicce eiezioni di materia provocate dall’enorme impatto che formò il bacino.

Il bavarese si dedicherà in seguito ad altre teorie altamente immaginative, in cui è sempre difficile separare l’intuizione geniale dalla pseudoscienza: promuove la teoria dei crateri d’impatto, ipotizza comete "acquose" che depositino ghiaccio sui bacini lunari in ombra (un secolo e mezzo prima delle osservazioni delle sonde Clementine e Lunar Prospector!), interpreta la luce cinerea di Venere come illuminazione festiva approntata dagli abitanti del pianeta in onore di un nuovo imperatore, propone una teoria dell’aggregazione della Luna a partire da corpi minori.

Morirà in disgrazia nel 1852, isolato dai colleghi ed evocando solo il ridicolo, dopo un lungo periodo di sistematico rifiuto alla pubblicazione delle sue opere.

Nel frattempo l’eco delle sue speculazioni visionarie raggiunge il grande pubblico e ne alimenta l’immaginario extraterrestre: nel 1835 la celebre Moon Hoax, la "beffa lunare" ispirata dal dibattito sui seleniti, scatena una vera e propria psicosi nei lettori statunitensi del New York Sun.

Luna: il moon oax, la beffa lunare

Una serie di articoli a nome del segretario di John Herschel (il figlio di William), allora al lavoro presso l’Osservatorio del Capo di Buona Speranza, si lancia in una lunga e spericolata descrizione telescopica della civiltà lunare, con le sue città, le sue strade, i suoi bizzarri quadrupedi, addirittura i suoi intelligenti seleniti alati.

E i lettori credono, si entusiasmano, reclamano più notizie, senza immaginare che "le alte catene di snelle piramidi a forma di obelisco" e le "trenta o quaranta miglia di architetture" inventate dall’eclettico briccone Richard Adams Locke sotto falso nome, non sono che i discendenti del Wallwerk di Gruithuisen, l’uomo che popolò la Luna di sofisticati artefatti e gettò avanzate basi osservative e metodologiche per distinguerli.

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