Dossier

La fusione nucleare. Una nuova frontiera per la produzione di energia

Il progetto ITER e l'impegno del Politecnico di Torino

Nel giugno dello scorso anno trova finalmente collocazione a Cadarache, nel sud della Francia, il reattore del progetto ITER, acronimo di International Thermonuclear Experimental Reactor, che dovrebbe permettere di produrre 500 MegaWatt (MW) da reazioni di fusione nucleare di deuterio e trizio, ricavando una potenza netta pari a un fattore di amplificazione 5 – 10 volte superiore all’energia impiegata per riscaldare il plasma necessario ad attivarlo.ITER a Cadarache

La storia di ITER ha inizio in seno alla Conferenza di Ginevra sul disarmo (instaurata nel 1979) che vede tra i partecipanti il presidente dell’URSS Gorbaciov e il presidente degli USA Reagan. In questa sede si riconosce la necessità, dopo gli eventi della Seconda Guerra Mondiale, di reindirizzare la ricerca sulla fusione nucleare verso applicazioni legate al suo impiego per produrre energia alternativa. ITER si colloca in questo filone di studi e, per l’ambiziosa portata del progetto, coinvolge immediatamente numerosi attori del palcoscenico mondiale. I partner originari sono quattro: a fianco di USA e Russia (ex URSS) si collocano l’Unione Europea e il Giappone, ma nel 1999, a progetto ultimato, gli USA abbandonano per ragioni di budget e questo evento rende necessario rivedere completamente la macchina, prevedendo una riduzione dei costi pari al 50% e puntando a obiettivi meno ambiziosi.

Gli anni successivi vedono una grande alternanza di protagonisti. Nel 2001 il Canada prima aderisce al progetto proponendo un sito per il reattore sul Lago Ontario e poi si ritira in seguito al moltiplicarsi delle candidature per ospitare la macchina. Nel 2003 rientrano gli USA e fanno il loro ingresso nella partnership mondiale anche il Giappone e la Corea del Sud. Nel frattempo continua la corsa per ospitare il reattore e lo scatto finale è tra l'Unione Europea, che propone Cadarache, e il Giappone, che si candida con un sito sulle sponde dell’Oceano Pacifico, Rokkasho Mura. La contemporanea presenza di due candidature proposte da protagonisti di rilievo del progetto ITER genera una fase di stallo, che si risolve poi con la scelta della location europea grazie a un pacchetto di compensazione, il cosiddetto broader approach, per il paese che non ospita il reattore.

ITER si propone come l’esemplare più evoluto di tokamak, con un sistema di confinamento del plasma nella camera a vuoto garantito da magneti superconduttori della stazza di 10 mila tonnellate refrigerati da elio a pochi gradi sopra lo zero assoluto. Questa parte del sistema si configura come la più costosa, andando a rappresentare un terzo della spesa complessiva stimata per la realizzazione del reattore e pari a 10 miliardi di euro, sostenuti in percentuale del 10% da ogni partner eccetto l’UE, che si accolla il restante 50%. Per quanto riguarda la miscela dei reagenti impiegati nella fusione, è previsto che il plasma occupi un volume di 800 metri cubi, con una potenza per unità di volume inferiore al MW per metro cubo e quindi molto bassa per un impianto nucleare, e che la massa totale di combustibile nella camera di confinamento sia minore di 1 grammo. ITER

Il tempo di costruzione stimato per la realizzazione del reattore è dell’ordine di dieci anni, ponendosi come obiettivo di creare il primo plasma nel 2016. Il progetto prevede che questo primo step sia poi seguito da un’intensa attività di sperimentazione alla quale si affianchi uno studio sugli effetti dell’irraggiamento neutronico su materiali e componenti utilizzati nel reattore. Tale studio rientra negli accordi del broader approach, sotto il nome di International Fusion Materials Irradiation Facility (IFMIF).

La posizione di leadership nelle ricerche sulla fusione nucleare è appannaggio dell’UE, che a Culham, in Inghilterra, vanta il più grande tokamak del mondo, JET. Tuttavia l’Italia partecipa attivamente grazie al coordinamento e al finanziamento del progetto ENEA – Euratom, che permette un’intensa attività di studio presso l’ENEA e il CNR di Padova e soprattutto presso il Politecnico di Torino.

In questa sede da dieci anni sono portati avanti progetti di ricerca e sviluppo per quanto riguarda la fisica dei plasmi e tematiche di natura ingegneristica. In particolare, presso il Dipartimento di Energetica, sotto la supervisione del Professor Roberto Zanino, sono attivi due filoni di studio specifici legati alle performance dei magneti superconduttori e alle interazioni plasma – parete. L'attività qui svolta si articola nello sviluppo e nell'applicazione di codici di calcolo per creare modelli matematici atti a validare lo stato delle competenze teoriche e tecnologiche acquisite.  A fianco di questo gruppo di studio, sempre all'interno del Dipartimento di Energetica, ce ne sono altri che si occupano di fisica teorica e fisica dei plasmi (responsabile prof. Francesco Porcelli) e di sicurezza degli impianti con particolare riferimento ai materiali a bassa attivazione (responsabile prof. Massimo Zucchetti). L'intero Politecnico (in particolare, oltre a Energetica, i Dipartimenti di Elettronica e di Scienza dei Materiali e Ingegneria Chimica) risulta coinvolto a vario titolo, a seconda delle specializzazioni, nella realizzazione del progetto ITER.