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La medicina delle cardiopatie

Le cardiopatie costituiscono ancora il primato tra le cause di morte e la ricerca medica sta studiando nuove terapie di impronta biologico- molecolare per migliorare lo stato dei pazienti.

Nonostante i progressi che si sono avuti nelle terapie mediche e chirurgiche in generale, le patologie cardiache continuano a detenere il triste primato tra le cause di morte nel mondo e anche quando non sono letali presentano un costo sanitario e sociale considerevole dovuto alla riduzione della qualità della vita che ne deriva.

La maggior parte delle patolgie cardiache è strettamente legata all'adozione di stili di vita non salutari caratterizzati dalla sedentarietà, un'alimentazione troppo ricca di grassi saturi, lo stress e il fumo. Queste sono in buona parte prevedibili e possono venir prevenute modificando questi fattori.

cuore Altre, al contrario, dipendono da difetti funzionali delle cellule cardiache e devono necessariamente essere affrontate con farmaci e chirurgia.

Il futuro dei pazienti cardiopatici potrebbe cambiare radicalmente grazie all'introduzione di nuovi principi attivi, dei pacemaker biologici e delle applicazioni cliniche basate sulle cellule staminali.

Tutti settori che non possono prescindere dalle nuove tecnologie: dall'ormai ubiquitaria biologia molecolare che consente di ottenere proteine clonate e cellule dotate di specificità caratteristiche da studiare in laboratorio o da trasferire in altri organismi viventi, alla determinazione della struttura tridimensionale delle proteine fondamentali per comprenderne la funzione in condizioni normali o patologiche e per modularla in modo mirato, alle simulazioni al computer delle interazioni tra più proteine e farmaci per mettere a punto principi attivi sempre più efficaci, specifici e selettivi.

Alcune malattie, note come canalopatie, dipendono dall'alterato funzionamento di proteine particolari che svolgono la funzione di canali ionici e sono presenti sulla membrana delle cellule cardiache.

Questi canali sono delle "porte" proteiche che, regolando il passaggio di specie elettricamente cariche tra l'interno e l'esterno della cellula, portano alla generazione di quelle correnti elettriche che permettono al cuore di contrarsi ritmicamente.

Una proteina critica di questo tipo è il cosiddetto canale pacemaker, una molecola di membrana che consente il passaggio degli ioni carichi positivamente.

Nel cuore questa proteina si trova localizzata in un gruppo particolare di cardiomiociti posti a livello del seno atriale. Queste cellule (dette pacemaker) sono indispesabili per garantire la contrazione ritmica e continua del cuore.

Inoltre, la loro capacità di rispondere ai segnali inviati dal sistema nervoso autonomo fa sì che la frequenza dei battiti cardiaci sia diversa in relazione al momento della giornata, all'attività svolta, alle emozioni vissute, al fatto che si sia svegli o addormentati.

Queste cellule sono quindi diverse dalle altre cellule cardiache e la loro specificità è data proprio dalla presenza della proteina canale pacemaker.

Quando il canale pacemaker si apre, nella cellula entra un gran numero di cariche positive che rendono positivo il lato interno della membrana cellulare sino a un valore massimo. L'apertura di diversi canali ionici in contemporanea genera delle correnti che ripristinano la carica elettrica iniziale.

La sequenza apertura, depolarizzazione, iperpolarizzazione e apertura si ripete spontaneamente all'infinito determinando l'attività elettrica ripetitiva delle cellule e quindi il ritmo spontaneo della contrazione cardiaca.

Il controllo nervoso del canale pacemaker viene mediato da neurotrasmettitori come la noradrenalina o l'acetilcolina che sono sintetizzati dal sistema nervoso simpatico e parasimpatico e che determinano rispettivamente un'accelerazione e un rallentamento del ritmo cardiaco a seconda della situazione in cui l'organismo si trova.

Allo stesso modo è possibile regolare il ritmo di contrazione del cuore a fini terapeutici con farmaci capaci di modificare l'attività del canale pacemaker.

La prognosi di diverse patologie cardiache come l'angina pectoris, l'ischemia, le coronaropatie e lo scompenso cardiaco è migliore se il ritmo cardiaco è più lento. Nel caso dell'angina, che è associata ad un aumento patologico della frequenza cardiaca, il vantaggio è intuibile.

Nel caso delle coronaropatie e dello scompenso, il rallentamento del ritmo di contrazione è utile perché consente al cuore di sforzarsi meno e di consumare meno ossigeno e nutrimenti riducendo l'entità dei rifornimenti necessari e quindi garantendo prestazioni migliori.

La ricerca di sostanze capaci di rallentare il cuore risale all'inizio degli anni ottanta. Il primo composto di questo tipo è stato l'alinidina, un derivato della clonidina.

A quel tempo, gli esperti del settore non erano del tutto convinti dell'esistenza della corrente pacemaker e ritenevano che l'alinidina ottenesse i suoi effetti modificando l'attività di altri canali ionici presenti nelle cellule cardiache in particolare dei canali del calcio.

Benché approvata dalla Food and Drug Administration (FDA), l'ente americano prepostao alla validazione dei farmaci e dei protocolli terapeutici, l'alinidina non venne mai commercializzata, ma gli studi sulla sua attività furono fondamentali per la descrizione dell'esistenza e della rilevanza fisiologica del canale pacemaker.

I farmaci di questo tipo attualmente disponibili e soprattutto quelli più specifici e selettivi di prossima introduzione, sono efficaci e caratterizzati da minimi effetti collaterali, ma sono ancora migliorabili.

Le tecniche di biologia molecolare, gli studi di struttura e i programmi di simulazione al computer sviluppati nell'ultimo decennio e che consentono di progettare nuovi composti disegnandoli sul profilo molecolare della struttura biologica con cui devono interagire, avranno un ruolo di primo piano nei prossimi anni.

Ovviamente i farmaci sono utili soltanto sino a che le cellule pacemaker sono vitali e reattive.

Quando queste smettono di funzionare è necessario ricorrere a rimedi diversi.

Tra questi l'unica soluzione attualmente disponibile consiste nell'applicare un dispositivo elettronico, il pacemaker appunto, che invii alle cellule miocardiche uno stimolo analogo a quello venuto a mancare.

Il pacemaker elettronico è efficace e ampiamente collaudato, ma presenta alcuni inconvenienti. In primo luogo è per sua natura non-biologico e benché tollerato dall'organismo non si integra con esso. Inoltre, risentendo di campi elettrici e magnetici esterni, richiede un certo numero di attenzioni nel quotidiano, per esempio quella di evitare di attraversare le barriere magnetiche di supermercati e aereoporti.

Da qui è nata l'idea di metter a punto dei pacemaker biologici avvalendosi delle tecniche di biologia cellulare e molecolare.

Il concetto è semplice: se il cuore non batte senza cellule pacemaker, si potrebbe risolvere il problema impiantando in una regione opportuna del cuore cellule capaci di una contrazione ritmica spontanea.

Per ottenerle si potrebbero utilizzare cellule adatte in cui sia stato inserito il DNA codificante per la proteina canale pacemaker.

Il reinserimento di queste cellule nel cuore consentirebbe a questo di ricominciare a battere regolarmente in modo autonomo e anche di riuscire a variare la sua frequenza di contrazione su comando del sistema nervoso centrale.

La pratica è putroppo un po' più complicata della teoria, ma non è irrealizzabile.

Gli studi su cellule in coltura hanno già dato buoni risultati e la sperimentazione sugli animali ha mosso i primi passi.

Non è escluso che si possa arrivare alle prime applicazioni cliniche sull'uomo tra pochi anni.

In sintesi la procedura che si sta attuando sugli animali è la seguente: si prende una cellula embrionale del ventricolo del cuore e, mediante l'uso di un virus, la si infetta con il DNA codificante per la proteina canale pacemaker.

Quando il DNA viene espresso dalla cellula questa inizia a produrre la proteina del canale pacemaker e quindi acquista nuove proprietà elettriche.

Il problema attualmente è legato al fatto che l'espressione del canale pacemaker da parte della cellula non funziona a lungo termine in quanto l'infezione con il virus è transitoria.

Solo le cellule staminali permettono di ottenere un'attività pacemaker stabile, per cui si rende necessario ottenere delle cellule staminali cardiache isolandole dal paziente in modo da poterle utilizzare per la produzione di grandi quantità di proteine canale e quindi di ritrasferirle nel cuore da cui sono state prelevate.

Il pacemaker biologico sarebbe equivalente al pacemaker elettronico dal punto di vista funzionale, ma avrebbe il considerevole vantaggio di venire perfettamente integrato dall'organismo, di non aver bisogno di batterie per funzionare e di poter essere applicato con un intervento minimamente invasivo e con incisioni di pochissimi millimetri sufficienti per collocare con una sonda le cellule trasformate nel punto desiderato.

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