Dossier

Collezioni scientifiche universitarie: Torino come esempio

Intervista al presidente dell'Anms, prof. Giacomo Giacobini

Museo anatomia interno «L’edificio è come una cattedrale della scienza, con tanto di navate, colonne in granito e volte a crociera». Il professor Giacomo Giacobini, ordinario di Anatomia alla Facoltà di Medicina di Torino, presenta con giusto orgoglio il Museo di anatomia umana "Luigi Rolando", inaugurato lo scorso 12 febbraio, di cui ha seguito per anni i lavori di recupero e di cui oggi è direttore responsabile. «Era così nel 1898, quando è stato inaugurato. Così lo ritroviamo oggi, grazie al restauro conservativo: è come se in tutti questi anni si fosse cristallizzato, unico in Europa e nel mondo. Per questo è un patrimonio prezioso in sé». Una valutazione “di parte” ma indubbiamente ponderata, dal momento che Giacobini è anche presidente dell’Associazione Nazionale Musei Scientifici e da sempre si occupa di tutela e valorizzazione del patrimonio universitario.

Giacomo GiacobiniProfessor Giacobini, perché le «collezioni scientifiche» possono essere intese, in senso più ampio, come «beni culturali»? O, meglio, perché fino a poco tempo fa non erano considerate tali?

Il concetto di «bene culturale scientifico» ha fatto fatica a farsi strada in Italia: il Decreto legge che l’ha sancito in modo definitivo è solo del 2004. In altri Paesi è stato più facile, probabilmente perché il nostro patrimonio di beni culturali in ambito artistico, archeologico e architettonico è molto ricco e “offusca”, per così dire, quello scientifico. Ma c’è anche un’altra ragione storica: il movimento educativo che si è sviluppato con Croce e Gentile ha fatto prevalere, almeno fino alla generazione passata, la convinzione che la vera cultura sia quella artistico-umanistica. È pur vero che la sensibilità nei confronti dei beni scientifici è stata a lungo scarsa anche nelle Università. Una quarantina di anni fa, tra gli anni Sessanta e Settanta, vari musei universitari furono trasferiti in luoghi impropri, relegati in cantine o soffitte, per rendere disponibili i locali alla didattica e alla ricerca. Uno scempio avvenuto anche all’estero.

Quando è iniziato a cambiare questo atteggiamento?

Circa quindici anni fa, quando ci si è resi conto che è molto riduttivo considerare le collezioni universitarie soltanto come raccolte di oggetti scientifici, quando in realtà sono un «patrimonio dell’umanità»: la scienza moderna, sviluppatasi tra il Settecento e l’Ottocento, ha infatti una storia quasi esclusivamente europea (a differenza della scienza contemporanea che è “globale”). È dunque un nostro diritto-dovere preservarla e trasmetterla agli altri. Si parla spesso di «identità europea» riferendosi al credo religioso, alla politica, alla filosofia, alla storia, ma non si fa quasi mai cenno alla scienza: una mancanza grave, perché è una componente essenziale della nostra cultura.

Cesare Lombroso (1835-1909)In questo “oblio” della storia della scienza c’è anche una responsabilità del Positivismo, nel quale era insita l’idea che la scienza proceda per “verità” successive, che annullano le precedenti?

Sì, certo. Noi oggi siamo consapevoli che è pericoloso sostenere l’esistenza di “verità” assolute, ma proprio in base a questo assunto il Positivismo tendeva a insegnare la scienza secondo un «metodo dogmatico», a trasmettere cioè solo lo status ultimo di avanzamento della scienza, senza curarsi di come la mente umana fosse giunta a quel punto. In realtà il «metodo storico», che illustra i processi attraverso cui sono avvenute le conquiste scientifiche, è molto più efficace: anche la struttura “narrativa” della nostra mente arriva a capire meglio, in modo graduale e progressivo; si parte dal semplice per arrivare al più complesso. Le collezioni museali acquistano dunque grande importanza, perché mostrano l’evoluzione del sapere. Quella «storica» è un’ottima strategia didattica anche per gli studenti di oggi che, se si limitano ad acquisire le ultime conoscenze, perdono la consapevolezza della “relatività” del sapere scientifico: ciò che al momento consideriamo “vero” può sempre essere messo in discussione da nuove evidenze. Diversamente, si rischia di nutrire una fiducia illimitata verso la scienza ed è un atteggiamento scorretto. In quest’ottica anche i percorsi museali che esprimano conoscenze scientifiche largamente superate o sbagliate (es. il futuro Museo Lombroso) sono molto utili, perché consentono di acquisire il giusto spirito critico, a tutela dello stesso progresso.

L’interesse per le collezioni storico-scientifiche si esaurisce qui?

Direi proprio di no. Hanno anche un ruolo importante nel creare un ponte tra le “due culture”, che sono (nonostante tutto) sempre più separate. Sia perché i “letterati” continuano a non conoscere i risultati e i metodi della scienza, sia perché il sapere scientifico diventa sempre più tecnico e specialistico, perdendo ogni fascino per i non esperti.

Il convogliamento di risorse finanziarie verso le frontiere più avanzate della ricerca può penalizzare la tutela del patrimonio storico?

In teoria il finanziamento della ricerca “di punta” non dovrebbe danneggiare la tutela di quella passata. Anche perché la nostra tradizione scientifica va vista come elemento competitivo a livello internazionale, che deve essere sostenuto e incentivato in quanto fonte potenziale di ricchezza. Prendiamo, a titolo di esempio, una collezione di zoologia: se noi escludiamo la particolarità europea di avere reperti antichi (come un ippopotamo o una giraffa di inizio Ottocento), un Museo europeo non si differenzierà in nulla da quello di Tokio, Johannesburg, Sidney o Boston, e non avrà alcuna attrattiva in più.

Regione Piemonte logoIl Piemonte sembra un’isola felice a livello di tutela del patrimonio storico-scientifico. Perché?

Sì, è vero. Credo che nessuna altra Regione abbia investito nelle collezioni scientifiche universitarie quanto il Piemonte. A volte è la casualità della cose, ma in questo caso è soprattutto una questione di persone: professori particolarmente attenti, funzionari di Enti territoriali e Soprintendenze altrettanto sensibili, pubblico recettivo... Inoltre nel tempo si è innescato un meccanismo di “autoalimentazione”: a un certo punto gli investimenti sono diventati tanto ingenti che non si poteva più tornare indietro e si è andati avanti comunque, anche nei momenti più “bui”.

I vecchi musei, con gli scaffali polverosi, i cimeli accatastati e i cartellini ingialliti delle didascalie, sono innegabilmente noiosi. Ci sono oggi strategie comunicative più efficaci e accattivanti?

Sì, certo. Dando per scontate la pulizia, la selezione, la manutenzione e l’adeguata illuminazione dei reperti, per valorizzarli al meglio è importante raccontare storie che li riguardino, direttamente o indirettamente, servendosi di testi non troppo lunghi, audio-guide, filmati e strumenti multimediali. Per fidelizzare il pubblico e farlo tornare è, poi, indispensabile organizzare esposizioni temporanee (in cui si mostrino, ad esempio, collezioni nascoste o pezzi di nuova acquisizione), ma anche dibattiti e conferenze. Grandi risultati si ottengono infine con le rappresentazioni teatrali, un tramite ideale tra le “due culture”. Negli anni passati abbiamo collaborato con il Festival delle colline torinesi (diretto da Sergio Ariotti) per realizzare alcuni spettacoli, tra cui uno molto apprezzato su Cesare Lombroso. Per l’occasione mettemmo a disposizione la sala settoria del dipartimento di Anatomia umana e vari oggetti appartenuti a Lombroso. Il pubblico entrava nell’atrio, dove c’era un piccolo video introduttivo, passava attraverso la sala settoria e raggiungeva l’aula in cui il celebre scienziato in passato tenne le sue lezioni: il bravissimo attore Massimo Popolizio ne assumeva le vesti. Il risultato fu molto suggestivo e, dunque, particolarmente efficace sul piano della comunicazione.

Charles Robert Darwin «Forti di queste esperienze, nel febbraio del 2007 per celebrare l’inaugurazione del Museo di anatomia e per ricordare che proprio febbraio è anche il mese in cui è nato Charles Darwin, abbiamo messo a punto un nutrito programma di iniziative collaterali: una conferenza per stabilire «Chi ha paura di Darwin?»; un convegno su «Darwin oltre i confini» e una rappresentazione teatrale su «L’uomo e le scimmie», suggestiva rievocazione della conferenza tenuta a Torino nel 1864 dal naturalista Filippo De Filippi, che per primo in Italia si espresse a favore del pensiero darwiniano, suscitando vaste polemiche.

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