Dossier

Tragedia della Costa Concordia: come contenere i danni ambientali

Intervista a Francesca Garaventa

Il suo settore di ricerca, all'Istituto di Scienze marine (Ismar) del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) di Venezia, sono i «sistemi costieri e gli impatti antropici» ma, a proposito del naufragio della «Costa Concordia» all'isola del Giglio, Francesca Garaventa tiene anzitutto a esprimere a nome proprio e di tutto l’Ismar «il profondo cordoglio per i famigliari delle vittime». Perché, ancora e sempre, tutto dovrebbe essere analizzato a partire dall'uomo. E purtroppo questa è la vera rotta da cui ha deviato chi stava al timone della «Concordia».

Dottoressa Garaventa, cosa rende tanto prezioso dal punto di vista biologico-ambientale il fondale dell’isola del Giglio e, più in generale, l’arcipelago toscano?

Isola del GiglioL’isola del Giglio fa parte del Parco nazionale dell’Arcipelago toscano; è un'area di grande valore naturalistico in quanto è caratterizzata da un'elevata diversità biologica, legata alla grande eterogeneità di coste e fondali. L'inclusione nel Parco nazionale ha consentito all'intera zona di mantenere un elevato valore ecologico e naturalistico. Alla valorizzazione ambientale si sono presto associati benefici sul piano sociale, culturale ed economico, per tutta la popolazione residente. Purtroppo non è mai stata istituita l'Area marina protetta delle Isole toscane, così il tratto di mare antistante le Isole del Parco resta aperto alla navigazione.

Nei giorni scorsi il capo della Protezione civile, Franco Gabrielli, ha messo in guardia sulla presenza a bordo della «Concordia» di vernici, detersivi e sostanze chimiche usati per le necessità quotidiane della nave e qualcosa è già fuoriuscito. Quali conseguenze potrebbe avere questo primo livello di inquinamento?

Certamente la presenza di una nave lunga 290 metri, adagiata su un fondale, causa in sé un impatto sull’ambiente. Ad esempio, proprio nell’area dove si è incagliata la nave, c'era un ricco popolamento [insediamento sistematico di animali e piante in un territorio, ndr] di Paramuricea clavata, la Gorgonia rossa, che, senza dubbio, è stato danneggiato dall’impatto fisico della presenza della nave. La «Concordia» è paragonabile a una piccola città galleggiante e quindi, senza dubbio, l’eventuale rilascio in mare di sostanze o carichi presenti a bordo avrà un impatto sull’ecosistema marino.

Difficile è dire, con i dati oggi in nostro possesso, quale possa essere l’entità dell’impatto. In queste situazioni è indispensabile istituire fin da subito una serie di monitoraggi dell’ambiente circostante per verificare se, e in quale quantità, si riversano sostanze nocive per l’ambiente marino. Sono certa che tale controllo sia già stato messo in atto delle autorità locali dell'isola, in collaborazione con gli Enti presenti sul territorio quali Arpat e Ispra.

Costa Concordia - panne assorbentiAttorno allo scafo è stata sistemata una cintura di «panne assorbenti» per contenere la fuoriuscita di inquinanti: sono efficaci?

La presenza delle panne galleggianti è fondamentale per contenere l'eventuale propagazione in acqua degli idrocarburi che dovessero fuoriuscire dalle cisterne della nave; la propagazione è, infatti, il primo processo a cui vanno incontro gli idrocarburi al momento dello sversamento marino. Le panne di contenimento, purtroppo, possono fare poco se gli idrocarburi vanno incontro ad affondamento a seguito di processi di «assorbimento» [gli idrocarburi si ripartiscono all’interno di cellule o di detriti, ndr] o di «adsorbimento» al particolato sospeso [gli idrocarburi si “attaccano” a molecole bi- o tri- dimensionali, ndr].

Quali conseguenze si avrebbero sull’ecosistema qualora i 2.300 metri cubi di gasolio pesante finissero in mare?

I tecnici del Ministero hanno già ipotizzato diversi scenari, basati su due diverse ipotesi: la fuoriuscita immediata di tutto il carburante e la perdita continua e prolungata. Le due opzioni avrebbero impatti diversi sull’ambiente: nel primo caso acuto, nel secondo cronico. Comunque sia, non è possibile prevedere, solo sulla base del volume e della tipologia di carburante, quale possa essere l’impatto sull’ambiente; soprattutto non si possono fare confronti certi con eventi simili accaduti in passato, come l’incidente della «Sea Diamond» presso l’isola di Santorini in Grecia o la portacontainer «Rena» in Nuova Zelanda.

È difficile generalizzare gli effetti di questi naufragi, a causa dell’elevata variabilità delle condizioni meteorologiche, oceanografiche, morfologiche e biologiche al momento dell’impatto. Può comunque essere utile iniziare un monitoraggio chimico/biologico dell’area, al quale accompagnare simulazioni numeriche che consentano di prevedere la distribuzione spazio/temporale degli inquinanti in mare per poter individuare successivamente l’area di impatto. Solo in questo modo si giunge a una corretta analisi del rischio.

Secondo Franco del Manzo (responsabile Area internazionale ambiente dell’Unione petrolifera) il problema del gasolio della «Concordia» è relativamente meno grave che se si trattasse di petrolio. Lei cosa ne pensa?

Sicuramente il gasolio ha una densità inferiore del petrolio e, quindi, tende a galleggiare maggiormente e può essere contenuto più facilmente dalle panne galleggianti posizionate in mare; inoltre, la sua persistenza sulla superficie del mare può portare a una sua più veloce evaporazione. È però anche importante considerare che la minore densità del gasolio lo rende più impattante per tutti i popolamenti che vivono sulle rocce nella zona di marea e degli spruzzi. In definitiva, non credo si possa dire che un idrocarburo sia "meglio" di un altro: hanno due tipi di impatti diversi, che non si possono pesare a priori, senza tenere conto dei popolamenti presenti nella zona e senza una precisa valutazione del rischio.

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