E se fossero in grado di discorrere fra loro...
Il vero salto di qualità per i prigionieri è quando capiscono di essere essi stessi dei pareticoli! Quando scoprono che tutti gli esseri che li circondano vivono sulla parete in fondo alla caverna.
A dire il vero, questo Platone ce lo lascia solo intuire. Il filosofo non completa totalmente la sua analogia e non si mette ad affrontare tutti i problemi che sorgono nell'immaginare il mondo dei pareticoli: come mangiano? Come si vedono effettivamente? Come vivono l'incorporeità? E lo smaterializzarsi per girarsi e invertire la destra con la sinistra?
Anche noi non dobbiamo aspettarci che il mondo della caverna sia un mondo a tutti gli effetti. È sufficiente che sia verosimile che i prigionieri pensino - almeno per qualche attimo - di essere essi stessi pareticoli.
Per arrivare a tanto, bisogna prendere in considerazione l'ultima pennellata che Platone dà nel raffigurare la realtà della caverna. Il filosofo, difatti, asserisce che la caverna è dotata di un'eco che proviene esattamente dalla parete di fondo. In conseguenza di questa, la voce di uno qualsiasi degli altri prigionieri arriva a ciascun prigioniero come se uscisse dalla parete stessa; o, con maggior esattezza, come se fosse emessa dal pareticolo corrispondente.
E, allora, cosa è autorizzato a credere un prigioniero? Ovviamente che i suoi compagni di prigionia non esistono. Infatti non li vede, perché il suo sguardo è forzatamente rivolto sempre verso il mondo dei pareticoli; e parimenti non li sente, perché i suoni che emettono, li sente arrivare da qualcuno dei pareticoli.
Questi vengono così ad acquistare una reale fisicità: esistono, si muovono, interagiscono, parlano, comunicano...
Si potrebbe, infine, osare un ultimo passo che riguarda la percezione che ciascun prigioniero ha di se stesso.
La situazione porta il prigioniero a percepire la realtà come tutta concentrata sulla parete di sfondo. Per quello che ne sa, a questo mondo ci sono solo ed esclusivamente individui pareticoli. Dei pareticoli vede i movimenti e la vita. Dai pareticoli gli giungono suoni e parole. Ma soprattutto con i pareticoli può parlare e interloquire.
Il lettore potrebbe obiettare che il prigioniero conosce la realtà della parete solo grazie a due dei suoi sensi - la vista e l'udito - e che gli altri tre non sono coinvolti nelle sue percezioni.
Ed è proprio per questo, come si è accennato precedentemente, che l'obiezione viene meno. Nella situazione, così come la disegna Platone, il prigioniero non prova nessuna altra sensazione. Col tatto non tocca nulla, col gusto non ha cosa assaggiare, né con l'olfatto cosa odorare. Quindi i due sensi che usa gli restituiscono tutta la percezione della realtà che gli è possibile.
Pertanto, il mondo della parete è veramente tutto quello che lo circonda.
Ma allora, nei panni del prigioniero, chi sarebbe in grado di dubitare di essere lui stesso un pareticolo?
Nessuno, naturalmente.
Ed eccoci allora ad osservare, nelle parole del dialogo platonico, una perfetta rappresentazione di un mondo a due dimensioni. Quello abitato dai pareticoli.
C'è poi un'ulteriore obiezione - forse più profonda e radicale - sul tema delle sensazioni. È vero che noi percepiamo il mondo per mezzo di cinque sensi. Ma, da un punto di vista puramente geometrico, chi ci dice che i sensi siano proprio cinque a causa del fatto che il nostro mondo è tridimensionale? Se vivessimo in un mondo con quattro dimensioni, quali e quanti sarebbero i sensi che ce ne darebbero la percezione? Non è ragionevole che un mondo con meno dimensioni abbia bisogno di meno fisicità per essere percepito, conosciuto?
E se invece fosse il contrario? Se il nostro mondo avesse tre dimensioni proprio perché noi abbiamo cinque sensi? Potrebbe essere ragionevole. In questo scenario, allora, i pareticoli hanno due dimensioni perché tra loro si percepiscono solo ed esclusivamente per mezzo dalla vista e dell'udito. Per loro gli altri sensi semplicemente non esistono