E se, diss'io, uno lo trascinasse via a forza...
Come si diceva più sopra, Platone ha in sé un qualche ottimismo. Infatti, è convinto che sia ben possibile che un pareticolo, guidato al di fuori del suo mondo, possa pian piano abituarsi alla nuova situazione e apprezzarne i nuovi punti di vista.
Però, anche in questo, il suo sguardo sarebbe sempre uno sguardo bidimensionale. Degli oggetti (tridimensionali) vedrebbe e distinguerebbe le ombre. Si entusiasmerebbe nell'ammirare il cielo notturno, che ai suoi occhi sarebbe sempre e solo la volta celeste, senza percepire la solidità dei pianeti, delle stelle, dello stesso sole.
Viene da dire che Platone sia convinto che un pareticolo, strappato alla sua parete, possa conoscere il mondo vedendone le proiezioni. I suoi occhi, abituati da sempre a percepire il mondo oscuro e piatto della parete, non possono non guidarlo ad acquisire una visione d'insieme tridimensionale se non per mezzo di una collezione di visioni bidimensionali.
E quant'è moderno, anche in questo, il grande filosofo greco! Questa sua aspettativa richiama alla memoria il procedimento (che si ritrova anche in Rucker) col quale visualizzare un cubo quadridimensionale per mezzo di cubi tridimensionali.
Così, di proiezione in proiezione, un pareticolo può essere in grado di far sua una nuova natura ed estendere il proprio modo di essere a una dimensione in più. Ci chiediamo, allora, se non siamo autorizzati anche noi a sperare che qualcuno venga a guidarci fuori dalla nostra piatta tridimensionalità, donandoci l'appagamento che sicuramente si deve provare osservando un mondo con quattro dimensioni.