Dossier

Istituto Superiore Mario Boella

Curiosando tra le attività…

Dal GPS verso Galileo

Il satellite Giove-A Alla fine del 2005 è stato lanciato con successo il primo satellite della “flotta” Galileo, che rappresenta uno dei più importanti progetti europei nel settore delle telecomunicazioni.

Oggi infatti i navigatori satellitari, che stanno rapidamente diventando una dotazione standard degli autoveicoli, funzionano grazie ai satelliti del sistema statunitense GPS (Global Positioning System, cioè sistema per il posizionamento ovunque sul globo).

Tuttavia ogni navigatore è accompagnato da un’avvertenza del tipo: “Attenzione, questo strumento potrebbe cessare di funzionare senza preavviso…”

La ragione sta nel fatto che il GPS (come l’equivalente russo GLONASS) è un sistema militare, creato e controllato dal Dipartimento della difesa statunitense.

Il governo USA consente anche ai civili l’uso dei segnali satellitari, sebbene degradati e molto meno precisi rispetto ai segnali riservati ai militari (che oggi hanno una risoluzione di 50–100 cm), ma senza dare alcuna garanzia di continuità del servizio.

In caso di crisi politico-militare i segnali GPS a uso civile possono essere interrotti discrezionalmente in qualsiasi istante; per esempio durante i bombardamenti della Serbia nel 1992, quando dalla base di Aviano partivano gli aerei della NATO, l’Adriatico venne “oscurato” e le navi che usavano il GPS si ritrovarono improvvisamente senza segnale.

Per questa ragione oggi non si possono basare sul GPS i sistemi di navigazione degli aeroplani: il rischio, in caso di caduta del segnale, sarebbe troppo grande.

Il sistema Galileo ha una funzione molto simile al GPS, ma non ne è un banale duplicato.

Galileo infatti è un sistema civile e commerciale che garantirà un servizio continuo 24 ore al giorno e 365 giorni all’anno (con un’apposita authority europea a vigilare sul funzionamento e sul rispetto della privacy degli utenti).

La costellazione satellitare Galileo Con 30 satelliti (di cui 27 sempre attivi e 3 disponibili come backup) in orbita a 23.000 km dalla superficie terrestre, Galileo coprirà un territorio quasi doppio rispetto al GPS, e in particolare migliorerà la copertura alle alte latitudini, come nel nord Europa.

Galileo è realizzato dall’Unione europea con l’Agenzia spaziale europea (ESA), con un investimento di 3,5 miliardi di euro, equivalenti grosso modo alla costruzione di 150 km di autostrada, o a metà del costo previsto per il Ponte sullo Stretto di Messina.

Fin dal 2008 sarà possibile acquistare ricevitori pronti per Galileo, ed è ragionevole presumere che entro pochi anni tutti i telefoni cellulari saranno dotati anche di navigatore.

In una prima fase questi saranno in grado di passare automaticamente da Galileo al GPS e viceversa, come avviene oggi per il passaggio da una rete telefonica cellulare a un’altra.

Galileo dovrebbe poi essere in piena funzione a partire dal 2010, con il completamento della costellazione di satelliti.

Negli anni successivi si prevede che ci saranno ritorni sull’investimento iniziale pari a decine di miliardi di euro, grazie a servizi commerciali specialistici per la navigazione marittima e aerea, per le aziende di trasporti e logistica, per la cartografia.

La “palestra” EGNOS

Il satellite EGNOS L’Istituto Mario Boella è uno dei centri che in Europa partecipano al progetto Galileo, e in particolare alla “Galileo signal task force”, lavorando già oggi sul satellite geostazionario europeo EGNOS.

EGNOS, che è in orbita a 36.000 km dalla Terra, rappresenta una “palestra” per l’ESA e le industrie europee nel campo della navigazione satellitare (in modo del tutto analogo gli Stati Uniti usano il satellite WAAS e i giapponesi il satellite M-SAS).

Il lavoro su EGNOS, che a Torino si svolge grazie a un collegamento in tempo reale con la base della missione, a Tolosa, serve soprattutto per imparare a impostare e gestire in modo ottimale il segnale satellitare di posizionamento.

Il segnale di EGNOS, usato insieme al GPS, consente di aumenta l’accuratezza della posizione rilevata da 10–15 metri a meno di 5 metri (con picchi di risoluzione di 2 metri).

Oltre a monitorare il segnale di EGNOS, all’Istituto Boella si lavora alla progettazione delle caratteristiche tecniche di quelli che saranno i ricevitori per l’utente finale.

Questa ricerca produce articoli scientifici, brevetti e idee per applicazioni innovative. Vediamone un esempio.

Il posizionamento satellitare per il soccorso alpino

Uno dei progetti sviluppati all’Istituto Mario Boella mira a introdurre un’importante innovazione di sistema per il soccorso alpino.

L’idea è quella di dotare ciascun soccorritore di uno speciale computer palmare, resistente agli agenti atmosferici e contenente un navigatore satellitare (oggi ricevitore del segnale GPS, domani del segnale Galileo) insieme a un trasmettitore GPRS.

Per sicurezza, poiché in alta montagna il GPRS può non funzionare, ogni soccorritore avrà anche una radio che trasmette su un canale a 70 MHz.

Grazie a queste dotazioni e ai relativi collegamenti, la persona che coordina i soccorsi potrà avere sul proprio computer portatile una vera e propria centrale di controllo.

Saprà cioè in ogni istante con grande precisione dove si trova ciascun soccorritore, e potrà perciò dare quelle istruzioni che sono indispensabili in condizioni di cattiva visibilità sul luogo dei soccorsi (per esempio: “i tuoi compagni si trovano a 50 m a ovest”, oppure “l’elicottero è atterrato a 100 m a nord-est della tua posizione attuale”).

Le reti di sensori wireless

Tra i programmi di ricerca di eccellenza che l’Istituto Mario Boella vuole attuare e incentivare, un’enfasi particolare è posta sulle applicazioni wireless, vale a dire sulle tecniche di comunicazione a distanza senza cavi.

Non per nulla l’Istituto è partner, ed è stato tra i propulsori, della Fondazione Torino Wireless dedicata alla creazione d’impresa in questo campo.

Il grande pubblico oggi associa l’espressione wireless principalmente alla tecnologia Bluetooth, che consente ai personal computer di comunicare senza fili, o al cosiddetto wi-fi, che permette di collegare a Internet il proprio portatile negli “hot spot” di aeroporti, alberghi e così via.

Sensori wireless utilizzabili in rete Esistono però anche altre applicazioni di grande rilievo, per esempio nel settore del monitoraggio ambientale (come può essere la misurazione dell’inquinamento atmosferico in molti punti di un territorio, oppure il rilevamento di particolari sostanze chimiche nei diversi reparti di un grande impianto industriale).

Nei laboratori di Tecnologie radiomobili per la multimedialità, gestito dall’Istituto Boella in partnership con il gruppo Telecomunicazioni del Dipartimento di Elettronica del Politecnico, si fa ricerca tra l’altro nel settore delle reti wireless di sensori riconfigurabili.

Si tratta di insiemi formati da un gran numero di sensori, che coprono una certa area geografica e comunicano costantemente tra loro.

Alcuni tra i sensori hanno il ruolo di gateway, cioè ricevono informazioni dagli altri sensori e le comunicano alla centrale che gestisce l’intera rete.

Quando qualche sensore non funziona bene, però, l’intero sistema potrebbe risentirne e alla centrale potrebbe non arrivare più alcun dato.

L’obiettivo della ricerca in corso è progettare la rete in modo tale che essa si sappia riconfigurare da sé: per mezzo di algoritmi predefiniti, la rete deve saper decidere qual è la strada migliore per far arrivare i segnali al gateway, così da diventare tollerante ai guasti.

Le fibre ottiche

Le fibre ottiche di cui si parla di solito sono cavetti cilindrici di vetro, più sottili di un capello, al cui interno viaggiano impulsi luminosi (grazie al fenomeno fisico della riflessione totale della luce sulle pareti interne del cilindro).

Una torre di filatura con cui si producono fibre ottiche a partire da silice fusa Rispetto agli impulsi elettrici che si trasmettono negli impianti tradizionali basati su cavi di rame, a parità di dimensione del cavo le fibre ottiche possono trasportare una quantità molto maggiore di informazioni.

I sistemi a fibre ottiche già in commercio possono avere fino a 80 canali, ciascuno capace di trasferire 10 gigabyte al secondo, grazie all’uso di segnali luminosi di frequenza diversa in una stessa fibra.

La trasmissione normalmente è in modulazione di ampiezza (AM) e si realizza semplicemente con un meccanismo on/off, cioè accendendo e spegnendo con grande frequenza il laser che costituisce la sorgente di luce all’estremità della fibra.

Questo sistema consente per l’appunto di arrivare fino a 10 GB/s, ma è possibile aumentare ancora il flusso di dati usando opportuni modulatori inseriti direttamente nella fibra.

Una delle possibili applicazioni di queste fibre superveloci sta nelle schede a commutazione ottica per le centrali telefoniche: si stima che per l’intera rete telefonica fissa italiana potrebbe bastare una decina di queste schede ad altissima velocità, che occuperebbero uno spazio ridottissimo (le centrali Telecom richiederebbero ancora grandi locali, ma soltanto per ospitare l’enorme numero di fili tradizionali in arrivo).

Negli ultimi anni però, con lo sviluppo dei trasmettitori di dati wireless, le prospettive per la diffusione delle fibre ottiche nel settore delle telecomunicazioni della vita quotidiana sono state fortemente ridimensionate.

Oggi ci si concentra su altre applicazioni, per esempio sull’uso delle fibre ottiche vetrose come sensori.

Rispetto ai sistemi basati su segnali elettrici, infatti, le fibre ottiche non risentono delle interferenze elettromagnetiche e sono ideali per quegli ambienti ostili dove ci sono gas o fumi di vernici dispersi nell’aria.

Per comprendere l’importanza di questa evoluzione, basti pensare all’incendio del 1997 nella Cappella della Sindone, che è stato causato probabilmente dalle scintille prodotte da un sensore elettronico stato lasciato acceso durante la notte.

Tra le ricerche a cui partecipa l’Istituto Mario Boella c’è l’impiego di laser a elevata potenza per incidere il vetro delle fibre ottiche e inserirvi opportune particelle non vetrose.

Con l’aggiunta di impurità di tellurio, per esempio, la fibra emette luce di un colore particolare in presenza di ossigeno: si possono quindi creare fibre “drogate” che sono utili come sensori per rivelare l’ossigeno.

L’aggiunta di impurità di erbio, invece, fa amplificare il segnale alle frequenze tipiche dei segnali ottici, riducendo così la necessità di amplificatori lungo le linee di trasmissione.

Infine esistono importanti applicazioni biomediche, come negli endoscopi, che richiedono però fibre particolarmente sottili e poco invasive.

A questo riguardo l’Istituto Boella ha collaborazioni con laboratori del Regno Unito, dove le fibre vengono “stirate” fino ad avere diametri ben al di sotto dei 10 µm. Forse in futuro si riuscirà a produrre veri e propri “nano-fili” di vetro.

I vantaggi delle fibre ottiche di plastica

Nei laboratori di Fotonica dell’Istituto Mario Boella si lavora anche sulle fibre ottiche plastiche, in collaborazione con Pirelli, Cisco, Fastweb e con la Luceat di Brescia (che attualmente è l’unico produttore europeo).

Laboratorio di ricerca sulle fibre ottiche di vetro e di plastica Le fibre ottiche realizzate con polimeri, anziché silice, esistono da una quindicina d’anni e i componenti dei relativi sistemi sono ormai diventati molto economici: i laser rossi utilizzabili come sorgenti sono oggettini più piccoli di un’unghia, che costano 10–15 euro sul mercato al dettaglio.

Rispetto alle fibre ottiche di vetro hanno dimensioni maggiori (con anima interna da 1 mm di diametro) e sono molto più facili da installare, collegare e pulire, anche se hanno prestazioni minori in termini di velocità del segnale e di distanza su cui lo si può trasmettere senza doverlo amplificare.

Molti produttori di automobili hanno già adottato le fibre in materiale plastico, usandole in particolare per i sistemi di intrattenimento (impianti stereo, video e navigatori) di circa 8 milioni di vetture oggi in circolazione.

In questo modo si possono rimpiazzare kilometri di cavetti di rame, riducendo nello stesso tempo anche il peso del veicolo.

Negli aerei ovviamente questo guadagno sul peso è ancora più importante, e inoltre l’uso delle fibre plastiche consente di eliminare anche i rischi di intercettazione delle comunicazioni e di sabotaggio elettromagnetico.

La formazione

L’Istituto Mario Boella accoglie e sostiene con borse di studio tesisti e dottorandi italiani e stranieri, per esempio i cinesi che hanno riassemblato e messo in funzione la torre di filatura delle fibre ottiche che si trova nell’ingresso dell’Istituto.

Uffici dell’Istituto Superiore Mario Boella Dal 2004 è attivo anche un corso di master universitario annuale di 2° livello che, caso forse unico al mondo, è sponsorizzato anche dall’ONU.

Gli studenti sono tra i 16 e i 18 all’anno, a seconda di quante borse di studio sono disponibili, e per metà sono extraeuropei.

Il corso è formato da 8 mesi di lezioni in aula seguiti da 4 mesi di stage in aziende, generalmente dell’area torinese.

Insieme al Politecnico di Torino, inoltre, l’Istituto finanzia un master che si svolge in America Latina ed è destinato ai giovani ingegneri di quel continente.

Lo stimolo alla creazione di nuove imprese

A fianco dell’Istituto Mario Boella sta sorgendo l’incubatore di nuove imprese I3P, che sarà cruciale per le attività di incentivazione della nuova imprenditoria nel settore delle ICT.

Già ora la Fondazione Torino Wireless finanzia singoli progetti di ricerca particolarmente promettenti, sostenendoli con un investimento a fondo perduto che può arrivare fino a 100.000 euro (questo è il limite stabilito dalle normative europee per le ricerche che iniettano innovazione nelle piccole e medie imprese).

L’obiettivo è far sì che le ricerche sostenute dall’Istituto diano origine a nuove aziende, tramite l’incubatore I3P e con il coinvolgimento di fondi di venture capital (come Piemontech e Innogest Angel Investors) e attirando investimenti diretti esteri tramite l’agenzia ITP (Invest in Turin and Piedmont).

Suggerimenti