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Alimentazione come causa di malattia

Allergie e intolleranze di origine alimentare appaiono in costante crescita nella popolazione adulta e sono collegabili con le abitudini alimentari e con i mutati stili di vita.

Presso l’Accademia di Medicina di Torino si è svolta il 26 aprile scorso l'ottava seduta scientifica del 2007 dal titolo “Alimentazione come causa di malattia“. Al consesso, organizzato in collaborazione con l'Accademia delle Scienze e l'Accademia di Agricoltura di Torino, sono state presentate le relazioni del professor Franco Valfrè, del professor Giovanni Rolla e del professor Mario Umberto Dianziani.

Il professor Valfrè del Dipartimento di Scienze e tecnologie Veterinarie per la sicurezza alimentare dell’Università di Milano ha illustrato le principali categorie di allergeni - sostanze in grado di indurre ipersensibilità e dare luogo ad allergie e intolleranze alimentari - che ad oggi sono reperibili negli alimenti primari, come la frutta e la verdura, ed in quelli trasformati, come i formaggi. Partendo dall’assunto che la salute deve significare non solo la mancanza di malattie, ma deve corrispondere anche ad uno stato di benessere fisico e mentale, il professore ha ribadito la necessità di considerare l’alimentazione moderna come il gesto quotidiano in grado sia di soddisfare le esigenze nutritive ma anche di prevenire le malattie che possono avere origine dagli alimenti stessi.

Una bottiglia di latte Per far fronte a questa esigenza la Comunità Europea ha vagliato la direttiva 2003/89/CE, cosiddetta “direttiva allergeni”, che obbliga la dicitura in etichetta, su prodotti primari e trasformati, per le sostanze allergizzanti in essi contenute. L’elenco comprende i cereali contenenti glutine (come grano, segale, orzo, avena, ecc.), i crostacei, le uova, il pesce, le arachidi, la soia, il latte e i prodotti a base di latte (compreso il lattosio), la frutta a guscio (mandorle, nocciole, noci, ecc), il sedano, la senape, i semi di sesamo, l’anidride solforosa e solfiti quando superiori a determinate concentrazioni. Le forme allergiche sono sostenute da strutture proteiche capaci, se riescono ad entrare nel circolo sanguigno, di essere riconosciute come estranee dall’organismo, che mette in moto il proprio sistema immunitario di difesa.

L’intervento del professor Valfrè ha sottolineato come una allergia, ad esempio quella da polline, possa rendere più sensibili ad un allergene presente in un alimento, o viceversa. Quindi i pollini, come anche oggetti in lattice, muffe, insetti (quali gli acari nelle abitazioni) possono indurre ipersensibilità alle più frequenti sostanze allergizzanti presenti negli alimenti di origine animale o vegetale. In queste sostanze sono più di seimila le molecole capaci di indurre, in soggetti predisposti ed in particolari condizioni, fenomeni allergici di varia natura e gravità. Per fortuna però il numero di sostanze realmente in grado di dare vere forme allergiche è ridotto, ed oggi si riesce ad indagare con strumenti sempre più specifici il meccanismo d’azione per trovare terapie mirate.

Il professor Rolla ha affrontato il problema centrale del convegno, partendo dalla distinzione che occorre fare quando si è di fronte a reazioni avverse ai cibi. Ci possono essere reazioni tossiche e le reazioni non tossiche, cui appartengono le reazioni allergiche e le intolleranze. Negli ultimi anni si sono fatti molti progressi nella comprensione di questo tipo di patologie: la caratterizzazione molecolare, cioè l’analisi della struttura, di molti allergeni alimentari ha contribuito a chiarire importanti aspetti immunopatogenetici delle malattie allergiche e porterà presto ad un rinnovamento dell’approccio diagnostico e terapeutico. Al momento si sa che le allergie alimentari sono comunque sempre sostenute da un meccanismo immunologico e possono essere di due tipi: le allergie IgE mediate, che si manifestano in tempi ristretti con disturbi gastrointestinali, manifestazioni cutanee, problemi respiratori e a volte shock anafilattico, e le IgE non mediate, che danno reazioni ritardate, come dolori articolari e muscolari, di diagnosi più difficoltosa.Modellizzazione molecolare di IgE Partendo dal presupposto che è più corretto parlare di molecole allergiche piuttosto che di cibi allergici, il professore ha ricordato che per la diagnosi, oltre ai test cutanei con i quali oggi è possibile condurre lo screening in pazienti con allergie per valutare il tipo di IgE presente nel sangue, si sta introducendo l’uso di microchip, in grado di elaborare un profilo di sensibilizzazione partendo dall’individuazione delle singole sequenze di molecole.

Il trattamento attuale dell’allergia alimentare consiste soprattutto nell’educare il paziente ad evitare gli allergeni identificati come responsabili delle manifestazioni allergiche, a riconoscere i primi segni di una reazione allergica, in caso di una loro ingestione accidentale e ad iniziare tempestivamente l’appropriata terapia di emergenza, che prevede anche l’uso della siringa autoiniettante di adrenalina per i casi di anafilassi, la più grave tra le reazioni allergiche. Per le terapie future dell’allergia alimentare ci sono buone prospettive già nell’immediato: si potrà fare ricorso all’anticorpo monoclonale anti IgE, che riduce drasticamente la quantità degli anticorpi responsabili delle manifestazioni allergiche, e a nuovi vaccini preparati con molecole allergeniche modificate, in grado di indurre il sistema immunitario a tollerare l’allergene, senza innescare quelle reazioni che conducono alle manifestazioni allergiche.

Ha concluso l’incontro il professor Dianzani, ex preside della Facoltà di Medicina dell’Università di Torino e dell’Accademia di Medicina, afferente al Dipartimento di Oncologia Sperimentale, che ha spiegato, nel suo intervento dal titolo “Danno epatico da alcol”, come il vino, se assunto in quantità moderata e soprattutto quello rosso, faccia bene. Infatti, l’etanolo contenuto nel vino contiene sostanze antiossidanti (polifenoli) in grado di contrastare i processi ossidativi innescati dai radicali liberi, difendendo così il corpo dall’invecchiamento e dalle malattie cardiovascolari. Se l’assunzione di vino oltrepassa la soglia di guardia si possono avere danni al fegato, al cervello ed ai muscoli. I danni possono essere di due tipi: acuto oppure cronico. Il danno acuto (stomia) comporta la statosi (aumento patologico di grasso nelle cellule) del fegato per la durata di 24 / 48 ore, ma non comporta il sostanziale aumento dell'ossidazione lipidica, che è protetto dalle sostanze antiossidanti. Il danno cronico comporta invece la perossidazione lipidica. Le lesioni alle cellule liberano sostanze capaci di far aumentare la produzione di collageno, che a sua volta provoca un aumento del tessuto connettivo del fegato conducendo alla cirrosi epatica.

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